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Postuar nga déjà-vu datë 01 Tetor 2003 - 13:14:

Inferno(canto 6)

6. 1 Al tornar de la mente, che si chiuse
6. 2 dinanzi a la pietÃ_ de'due cognati,
6. 3 che di trestizia tutto mi confuse,

6. 4 novi tormenti e novi tormentati
6. 5 mi veggio intorno, come ch'io mi mova
6. 6 e ch'io mi volga, e come che io guati.

6. 7 Io sono al terzo cerchio, de la piova
6. 8 etterna, maladetta, fredda e greve;
6. 9 regola e qualitÃ_ mai non l'è nova.

6. 10 Grandine grossa, acqua tinta e neve
6. 11 per l'aere tenebroso si riversa;
6. 12 pute la terra che questo riceve.

6. 13 Cerbero, fiera crudele e diversa,
6. 14 con tre gole caninamente latra
6. 15 sovra la gente che quivi è sommersa.

6. 16 Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
6. 17 e 'l ventre largo, e unghiate le mani;
6. 18 graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra.

6. 19 Urlar li fa la pioggia come cani;
6. 20 de l'un de' lati fanno a l'altro schermo;
6. 21 volgonsi spesso i miseri profani.

6. 22 Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
6. 23 le bocche aperse e mostrocci le sanne;
6. 24 non avea membro che tenesse fermo.

6. 25 E 'l duca mio distese le sue spanne,
6. 26 prese la terra, e con piene le pugna
6. 27 la gittò dentro a le bramose canne.

6. 28 Qual è quel cane ch'abbaiando agogna,
6. 29 e si racqueta poi che 'l pasto morde,
6. 30 ché solo a divorarlo intende e pugna,

6. 31 cotai si fecer quelle facce lorde
6. 32 de lo demonio Cerbero, che 'ntrona
6. 33 l'anime sì, ch'esser vorrebber sorde.

6. 34 Noi passavam su per l'ombre che adona
6. 35 la greve pioggia, e ponavam le piante
6. 36 sovra lor vanitÃ_ che par persona.

6. 37 Elle giacean per terra tutte quante,
6. 38 fuor d'una ch'a seder si levò, ratto
6. 39 ch'ella ci vide passarsi davante.

6. 40 «O tu che se' per questo 'nferno tratto»,
6. 41 mi disse, «riconoscimi, se sai:
6. 42 tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto».

6. 43 E io a lui: «L'angoscia che tu hai
6. 44 forse ti tira fuor de la mia mente,
6. 45 sì che non par ch'i' ti vedessi mai.

6. 46 Ma dimmi chi tu se' che 'n sì dolente
6. 47 loco se' messo e hai sì fatta pena,
6. 48 che, s'altra è maggio, nulla è sì spiacente».

6. 49 Ed elli a me: «La tua cittÃ_, ch'è piena
6. 50 d'invidia sì che giÃ_ trabocca il sacco,
6. 51 seco mi tenne in la vita serena.

6. 52 Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
6. 53 per la dannosa colpa de la gola,
6. 54 come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.

6. 55 E io anima trista non son sola,
6. 56 ché tutte queste a simil pena stanno
6. 57 per simil colpa». E più non fé parola.

6. 58 Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno
6. 59 mi pesa sì, ch'a lagrimar mi 'nvita;
6. 60 ma dimmi, se tu sai, a che verranno

6. 61 li cittadin de la cittÃ_ partita;
6. 62 s'alcun v'è giusto; e dimmi la cagione
6. 63 per che l'ha tanta discordia assalita».

6. 64 E quelli a me: «Dopo lunga tencione
6. 65 verranno al sangue, e la parte selvaggia
6. 66 caccerÃ_ l'altra con molta offensione.

6. 67 Poi appresso convien che questa caggia
6. 68 infra tre soli, e che l'altra sormonti
6. 69 con la forza di tal che testé piaggia.

6. 70 Alte terrÃ_ lungo tempo le fronti,
6. 71 tenendo l'altra sotto gravi pesi,
6. 72 come che di ciò pianga o che n'aonti.

6. 73 Giusti son due, e non vi sono intesi;
6. 74 superbia, invidia e avarizia sono
6. 75 le tre faville c'hanno i cuori accesi».

6. 76 Qui puose fine al lagrimabil suono.
6. 77 E io a lui: «Ancor vo' che mi 'nsegni,
6. 78 e che di più parlar mi facci dono.

6. 79 Farinata e 'l Tegghiaio, che fuor sì degni,
6. 80 Iacopo Rusticucci, Arrigo e 'l Mosca
6. 81 e li altri ch'a ben far puoser li 'ngegni,

6. 82 dimmi ove sono e fa ch'io li conosca;
6. 83 ché gran disio mi stringe di savere
6. 84 se 'l ciel li addolcia, o lo 'nferno li attosca».

6. 85 E quelli: «Ei son tra l'anime più nere:
6. 86 diverse colpe giù li grava al fondo:
6. 87 se tanto scendi, lÃ_ i potrai vedere.

6. 88 Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
6. 89 priegoti ch'a la mente altrui mi rechi:
6. 90 più non ti dico e più non ti rispondo».

6. 91 Li diritti occhi torse allora in biechi;
6. 92 guardommi un poco, e poi chinò la testa:
6. 93 cadde con essa a par de li altri ciechi.

6. 94 E 'l duca disse a me: «Più non si desta
6. 95 di qua dal suon de l'angelica tromba,
6. 96 quando verrÃ_ la nimica podesta:

6. 97 ciascun rivederÃ_ la trista tomba,
6. 98 ripiglierÃ_ sua carne e sua figura,
6. 99 udirÃ_ quel ch'in etterno rimbomba».

6.100 Sì trapassammo per sozza mistura
6.101 de l'ombre e de la pioggia, a passi lenti,
6.102 toccando un poco la vita futura;

6.103 per ch'io dissi: «Maestro, esti tormenti
6.104 crescerann'ei dopo la gran sentenza,
6.105 o fier minori, o saran sì cocenti?».

6.106 Ed elli a me: «Ritorna a tua scienza,
6.107 che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
6.108 più senta il bene, e così la doglienza.

6.109 Tutto che questa gente maladetta
6.110 in vera perfezion giÃ_ mai non vada,
6.111 di lÃ_ più che di qua essere aspetta».

6.112 Noi aggirammo a tondo quella strada,
6.113 parlando più assai ch'i' non ridico;
6.114 venimmo al punto dove si digrada:
6.115 quivi trovammo Pluto, il gran nemico.


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