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Regjistruar: 18/12/2002
Vendbanimi: Venezia
Mesazhe: 569

Alessandro Manzoni

Alessandro Manzoni nacque a Milano nel 1785 da Pietro e da Giulia Beccaria, figlia del famoso Cesare, autore dell'opuscolo “Dei delitti e delle pene”. Di nobile e benestante famiglia, fu educato nei collegi di Merate e di Lugano e poi nel convitto “Longone” di Milano. L’educa_zione impartitagli fu rigidamente cattolica e gli studi orientati principalmente in campo umanistico. Il giovane fu piuttosto insofferente verso il tipo di educazione religiosa ma abbastanza soddisfatto dell’istruzione classicheggiante, che lo indusse ad amare in modo particolare il Parini ed il Monti, che considerņ i suoi primi maestri d’arte. Nel 1800 lasciņ la scuola e tornņ in casa del padre, che nel frattempo si era separato dalla moglie, la quale era andata a convive_re a Parigi col ricco conte Carlo Imbonati (lo stesso al quale, giovi_netto reduce da una malattia, il Parini aveva dedicato l’ode “Torna a fiorir la rosa”). Tornato nella casa paterna, Alessandro cominciņ a condurre vita dispendiosa e mondana, frequentando teatri, case da gioco, donne di facili costumi. Si invaghģ anche perdutamente di una certa Luisina, genovese, ed il padre ritenne opportuno allontanarlo da Milano ed inviarlo a studiare a Venezia, dove perņ incappņ in un’altra passione amorosa che lo impegnņ non poco. In questo periodo, tuttavia, non trascurņ gli studi personali orientati ora decisamente verso le letture illuministiche, che lo allontanarono dalla fede cattolica e gli favorirono l’inserimento nella vita intellettuale milanese, parti_colarmente sensibile, dopo Marengo (giugno 1800), alle idee rivoluzio_narie e anticlericali (si ricordi che erano ritornati in cittą il Monti ed il Foscolo).

Nel 1805, morto a Parigi Carlo Imbonati lasciando erede universale dei suoi cospicui beni Giulia Beccaria, questa venne in Italia per far seppellire il conte nella sua villa di Brusuglio, presso Milano, e ripartģ poi per Parigi conducendo con sé Alessandro. A Parigi il Manzoni ebbe l’opportunitą di frequentare i migliori salotti intellettuali e di approfondire la propria cultura di stampo illuministico. Strinse anche rapporti di profonda amicizia con lo storico Claudio Fauriel, che gli fu prodigo di consigli e di incitamenti.

In questo periodo gli avvenimenti pił salienti, destinati ad avere un’influenza notevole su tutta la vita del Manzoni, furono il suo matrimonio con la sedicenne Enrichetta Blondel, figlia di un ricco banchiere ginevrino, che sposņ a Milano nel 1808 col rito protestante (Enrichetta era calvinista), e la sua conversione al cattolicesimo, che si puņ assegnare al 1810, anno in cui celebrņ nuovamente le nozze col rito cattolico in quanto anche Enrichetta era passata al cattolicesimo. Dopo il matrimonio (da cui nacquero ben nove figli) e la conversione, si ebbe la stagione pił fortunata per la creativitą artistica, che durņ sostanzialmente poco pił di un decennio, ma che fu sufficiente a far guadagnare al Manzoni uno dei primissimi posti nel panorama letterario dell’Ottocento italiano ed europeo. Dopo il 1823 la vita del Nostro fu funestata da una lunga catena di disgrazie familiari che spensero in gran parte il calore del sentimento, ma non la luciditą della mente, che fu rivolta a studi prevalentemente dottrinali: il Manzoni vide morire, uno dopo l’altro, ben sei figli, la moglie Enrichetta, la madre e la seconda moglie, Teresa Borri (gią vedova del conte Stefano Stampa). Dal 1823 in poi il Manzoni visse piuttosto appartato, evitando di partecipare in prima persona ad attivitą pubbliche sia intellettuali che politiche e civili, anche se non si astenne dal far conoscere con fermezza e chiarezza i propri punti di vista. Nel 1860 fu nominato dal re Vittorio Emanuele Il senatore del Regno d’Italia e quattro anni dopo partecipņ a Torino a quella storica seduta parlamen_tare in cui fu votato il trasferimento della capitale da Torino a Firenze, primo passo verso Roma.

Visse gli ultimi anni della sua lunga vita onorato da tutti gli italiani e visitato da Cavour, Garibaldi, Mazzini, Verdi. Quest’ultimo compose per la sua morte, avvenuta nel 1873, la famosa “Messa di requiem”.

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Mesazh i vjetėr 09 Shtator 2003 07:42
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Regjistruar: 05/02/2003
Vendbanimi: Rio
Mesazhe: 2547

Il Cinque Maggio - Alessandro Manzoni

Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
cosģ percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrą.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sņnito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al słbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrą.
Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiņ da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
pił vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provņ: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.
Ei si nomņ: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dģ nell'ozio
chiuse in sģ breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietą profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dģ che furono
l'assalse il sovvenir!
E ripensņ le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperņ; ma valida
venne una man dal cielo,
e in pił spirabil aere
pietosa il trasportņ;
e l'avviņ, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'č silenzio e tenebre
la gloria che passņ.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché pił superba altezza
al disonor del Gņlgota
giammai non si chinņ.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posņ.

__________________
Lo scopo della nostra vita č di servire la Forza che ci ha creati,e dalla cui misericordia o approvazione dipende il nostro stesso respiro,servendo con lealtą le Sue creature.Questo significa amore,che dovrebbe sostituire l'odio che si vede ovunque.

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Mesazh i vjetėr 24 Tetor 2003 17:28
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Vagabonding

Regjistruar: 05/02/2003
Vendbanimi: Rio
Mesazhe: 2547

Il Natale - Alessandro Manzoni

Qual masso che dal vertice
Di lunga erta montana,
Abbandonato all'impeto
Di rumorosa frana,
Per lo scheggiato calle
Precipitando a valle,
Batte sul fondo e sta;
Lą dove cadde, immobile
Giace in sua lenta mole;
Né, per mutar di secoli,
Fia che riveda il sole
Della sua cima antica,
Se una virtude amica
In alto nol trarrą:
Tal si giaceva il misero
Figliol del fallo primo,
Dal dģ che un'ineffabile
Ira promessa all'imo
D'ogni malor gravollo,
Donde il superbo collo
Pił non potea levar.
Qual mai tra i nati all'odio
Quale era mai persona
Che al Santo inaccessibile
Potesse dir: perdona?
Far novo patto eterno?
Al vincitore inferno
La preda sua strappar?
Ecco ci č nato un Pargolo,
Ci fu largito un Figlio:
Le avverse forze tremano
Al mover del suo ciglio:
All'uom la mano Ei porge,
Che si ravviva, e sorge
Oltre l'antico onor.
Dalle magioni eteree
Sporga una fonte, e scende
E nel borron de' triboli
Vivida si distende:
Stillano mele i tronchi;
Dove copriano i bronchi,
Ivi germoglia il fior.
O Figlio, o Tu cui genera
L'Eterno, eterno seco;
Qual ti puņ dir de' secoli:
Tu cominciasti meco?
Tu sei: del vasto empiro
Non ti comprende il giro:
La tua parola il fe'.
E Tu degnasti assumere
Questa creata argilla?
Qual merto suo, qual grazia
A tanto onor sortilla?
Se in suo consiglio ascoso
Vince il perdon, pietoso
Immensamente Egli č.
Oggi Egli č nato: ad Efrata,
Vaticinato ostello,
Ascese un'alma Vergine,
La gloria d'Israello,
Grave di tal portato:
Da cui promise č nato,
Donde era atteso uscģ.
La mira Madre in poveri.
Panni il Figliol compose,
E nell'umil presepio
Soavemente il pose;
E l'adorņ: beata!
Innanzi al Dio prostrata
Che il puro sen le aprģ.
L'Angel del cielo, agli uomini
Nunzio di tanta sorte,
Non de' potenti volgesi
Alle vegliate porte;
Ma tra i pastor devoti,
Al duro mondo ignoti,
Subito in luce appar.
E intorno a lui per l'ampia
Notte calati a stuolo,
Mille celesti strinsero
Il fiammeggiante volo;
E accesi in dolce zelo,
Come si canta in cielo,
A Dio gloria cantar.
L'allegro inno seguirono,
Tornando al firmamento:
Tra le varcate nuvole
Allontanossi, e lento
Il suon sacrato ascese,
Fin che pił nulla intese
La compagnia fedel.
Senza indugiar, cercarono
L'albergo poveretto
Que' fortunati, e videro,
Siccome a lor fu detto,
Videro in panni avvolto,
In un presepe accolto,
Vagire il Re del Ciel.
Dormi, o Fanciul; non piangere;
Dormi, o Fanciul celeste:
Sovra il tuo capo stridere
Non osin le tempeste,
Use sull'empia terra,
Come cavalli in guerra,
Correr davanti a Te.
Dormi, o Celeste: i popoli
Chi nato sia non sanno;
Ma il dģ verrą che nobile
Retaggio tuo saranno;
Che in quell'umil riposo,
Che nella polve ascoso,
Conosceranno il Re.

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Il Natale del 1833 - Alessandro Manzoni

Sģ che Tu sei terribile!
Sģ che in quei lini ascoso,
In braccio a quella Vergine,
Sovra quel sen pietoso,
Come da sopra i turbini
Regni, o Fanciul severo!
E fato il tuo pensiero,
Č legge il tuo vagir.

Vedi le nostre lagrime,
Intendi i nostri gridi;
Il voler nostro interroghi,
E a tuo voler decidi.
Mentre a stornar la folgore
Trepido il prego ascende
Sorda la folgor scende
Dove tu vuoi ferir.

Ma tu pur nasci a piangere,
Ma da quel cor ferito
Sorgerą pure un gemito,
Un prego inesaudito:
E questa tua fra gli uomini
Unicamente amata,
Nel guardo tuo beata,
Ebra del tuo respir,

Vezzi or ti fa; ti supplica
Suo pargolo, suo Dio,
Ti stringe al cor, che attonito
Va ripetendo: č mio!
Un dģ con altro palpito,
Un dģ con altra fronte,
Ti seguirą sul monte.
E ti vedrą morir.

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