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Regjistruar: 24/02/2003
Vendbanimi: Tortoreto Lido
Mesazhe: 940

Inferno(canto 3)

3. 1 "Per me si va ne la cittą dolente,
3. 2 per me si va ne l'etterno dolore,
3. 3 per me si va tra la perduta gente.

3. 4 Giustizia mosse il mio alto fattore:
3. 5 fecemi la divina podestate,
3. 6 la somma sapienza e 'l primo amore.

3. 7 Dinanzi a me non fuor cose create
3. 8 se non etterne, e io etterno duro.
3. 9 Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate".
3. 10 Queste parole di colore oscuro
3. 11 vid'io scritte al sommo d'una porta;
3. 12 per ch'io: «Maestro, il senso lor m'č duro».

3. 13 Ed elli a me, come persona accorta:
3. 14 «Qui si convien lasciare ogne sospetto;
3. 15 ogne viltą convien che qui sia morta.

3. 16 Noi siam venuti al loco ov'i' t'ho detto
3. 17 che tu vedrai le genti dolorose
3. 18 c'hanno perduto il ben de l'intelletto».

3. 19 E poi che la sua mano a la mia puose
3. 20 con lieto volto, ond'io mi confortai,
3. 21 mi mise dentro a le segrete cose.

3. 22 Quivi sospiri, pianti e alti guai
3. 23 risonavan per l'aere sanza stelle,
3. 24 per ch'io al cominciar ne lagrimai.

3. 25 Diverse lingue, orribili favelle,
3. 26 parole di dolore, accenti d'ira,
3. 27 voci alte e fioche, e suon di man con elle

3. 28 facevano un tumulto, il qual s'aggira
3. 29 sempre in quell'aura sanza tempo tinta,
3. 30 come la rena quando turbo spira.

3. 31 E io ch'avea d'error la testa cinta,
3. 32 dissi: «Maestro, che č quel ch'i' odo?
3. 33 e che gent'č che par nel duol sģ vinta?».

3. 34 Ed elli a me: «Questo misero modo
3. 35 tegnon l'anime triste di coloro
3. 36 che visser sanza 'nfamia e sanza lodo.

3. 37 Mischiate sono a quel cattivo coro
3. 38 de li angeli che non furon ribelli
3. 39 né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.

3. 40 Caccianli i ciel per non esser men belli,
3. 41 né lo profondo inferno li riceve,
3. 42 ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli».

3. 43 E io: «Maestro, che č tanto greve
3. 44 a lor, che lamentar li fa sģ forte?».
3. 45 Rispuose: «Dicerolti molto breve.

3. 46 Questi non hanno speranza di morte
3. 47 e la lor cieca vita č tanto bassa,
3. 48 che 'nvidiosi son d'ogne altra sorte.

3. 49 Fama di loro il mondo esser non lassa;
3. 50 misericordia e giustizia li sdegna:
3. 51 non ragioniam di lor, ma guarda e passa».

3. 52 E io, che riguardai, vidi una 'nsegna
3. 53 che girando correva tanto ratta,
3. 54 che d'ogne posa mi parea indegna;

3. 55 e dietro le venģa sģ lunga tratta
3. 56 di gente, ch'i' non averei creduto
3. 57 che morte tanta n'avesse disfatta.

3. 58 Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,
3. 59 vidi e conobbi l'ombra di colui
3. 60 che fece per viltade il gran rifiuto.

3. 61 Incontanente intesi e certo fui
3. 62 che questa era la setta d'i cattivi,
3. 63 a Dio spiacenti e a' nemici sui.

3. 64 Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
3. 65 erano ignudi e stimolati molto
3. 66 da mosconi e da vespe ch'eran ivi.

3. 67 Elle rigavan lor di sangue il volto,
3. 68 che, mischiato di lagrime, a' lor piedi
3. 69 da fastidiosi vermi era ricolto.

3. 70 E poi ch'a riguardar oltre mi diedi,
3. 71 vidi genti a la riva d'un gran fiume;
3. 72 per ch'io dissi: «Maestro, or mi concedi

3. 73 ch'i' sappia quali sono, e qual costume
3. 74 le fa di trapassar parer sģ pronte,
3. 75 com'io discerno per lo fioco lume».

3. 76 Ed elli a me: «Le cose ti fier conte
3. 77 quando noi fermerem li nostri passi
3. 78 su la trista riviera d'Acheronte».

3. 79 Allor con li occhi vergognosi e bassi,
3. 80 temendo no 'l mio dir li fosse grave,
3. 81 infino al fiume del parlar mi trassi.

3. 82 Ed ecco verso noi venir per nave
3. 83 un vecchio, bianco per antico pelo,
3. 84 gridando: «Guai a voi, anime prave!

3. 85 Non isperate mai veder lo cielo:
3. 86 i' vegno per menarvi a l'altra riva
3. 87 ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo.

3. 88 E tu che se' costģ, anima viva,
3. 89 pąrtiti da cotesti che son morti».
3. 90 Ma poi che vide ch'io non mi partiva,

3. 91 disse: «Per altra via, per altri porti
3. 92 verrai a piaggia, non qui, per passare:
3. 93 pił lieve legno convien che ti porti».

3. 94 E 'l duca lui: «Caron, non ti crucciare:
3. 95 vuolsi cosģ colą dove si puote
3. 96 ciņ che si vuole, e pił non dimandare».

3. 97 Quinci fuor quete le lanose gote
3. 98 al nocchier de la livida palude,
3. 99 che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote.

3.100 Ma quell'anime, ch'eran lasse e nude,
3.101 cangiar colore e dibattero i denti,
3.102 ratto che 'nteser le parole crude.

3.103 Bestemmiavano Dio e lor parenti,
3.104 l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme
3.105 di lor semenza e di lor nascimenti.

3.106 Poi si ritrasser tutte quante insieme,
3.107 forte piangendo, a la riva malvagia
3.108 ch'attende ciascun uom che Dio non teme.

3.109 Caron dimonio, con occhi di bragia,
3.110 loro accennando, tutte le raccoglie;
3.111 batte col remo qualunque s'adagia.

3.112 Come d'autunno si levan le foglie
3.113 l'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo
3.114 vede a la terra tutte le sue spoglie,

3.115 similemente il mal seme d'Adamo
3.116 gittansi di quel lito ad una ad una,
3.117 per cenni come augel per suo richiamo.

3.118 Cosģ sen vanno su per l'onda bruna,
3.119 e avanti che sien di lą discese,
3.120 anche di qua nuova schiera s'auna.

3.121 «Figliuol mio», disse 'l maestro cortese,
3.122 «quelli che muoion ne l'ira di Dio
3.123 tutti convegnon qui d'ogne paese:

3.124 e pronti sono a trapassar lo rio,
3.125 ché la divina giustizia li sprona,
3.126 sģ che la tema si volve in disio.

3.127 Quinci non passa mai anima buona;
3.128 e perņ, se Caron di te si lagna,
3.129 ben puoi sapere omai che 'l suo dir suona».

3.130 Finito questo, la buia campagna
3.131 tremņ sģ forte, che de lo spavento
3.132 la mente di sudore ancor mi bagna.

3.133 La terra lagrimosa diede vento,
3.134 che balenņ una luce vermiglia
3.135 la qual mi vinse ciascun sentimento
3.136 e caddi come l'uom cui sonno piglia.


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Voglio, avrņ — se non qui, in altro luogo che ancora non so. Niente ho perduto. Tutto sarņ. (Fernando Pessoa)

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Mesazh i vjetėr 01 Tetor 2003 09:03
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Inferno(canto 4)

4. 1 Ruppemi l'alto sonno ne la testa
4. 2 un greve truono, sģ ch'io mi riscossi
4. 3 come persona ch'č per forza desta;

4. 4 e l'occhio riposato intorno mossi,
4. 5 dritto levato, e fiso riguardai
4. 6 per conoscer lo loco dov'io fossi.

4. 7 Vero č che 'n su la proda mi trovai
4. 8 de la valle d'abisso dolorosa
4. 9 che 'ntrono accoglie d'infiniti guai.

4. 10 Oscura e profonda era e nebulosa
4. 11 tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
4. 12 io non vi discernea alcuna cosa.

4. 13 «Or discendiam qua gił nel cieco mondo»,
4. 14 cominciņ il poeta tutto smorto.
4. 15 «Io sarņ primo, e tu sarai secondo».

4. 16 E io, che del color mi fui accorto,
4. 17 dissi: «Come verrņ, se tu paventi
4. 18 che suoli al mio dubbiare esser conforto?».

4. 19 Ed elli a me: «L'angoscia de le genti
4. 20 che son qua gił, nel viso mi dipigne
4. 21 quella pietą che tu per tema senti.

4. 22 Andiam, ché la via lunga ne sospigne».
4. 23 Cosģ si mise e cosģ mi fé intrare
4. 24 nel primo cerchio che l'abisso cigne.

4. 25 Quivi, secondo che per ascoltare,
4. 26 non avea pianto mai che di sospiri,
4. 27 che l'aura etterna facevan tremare;

4. 28 ciņ avvenia di duol sanza martģri
4. 29 ch'avean le turbe, ch'eran molte e grandi,
4. 30 d'infanti e di femmine e di viri.
4. 31 Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi
4. 32 che spiriti son questi che tu vedi?
4. 33 Or vo' che sappi, innanzi che pił andi,

4. 34 ch'ei non peccaro; e s'elli hanno mercedi,
4. 35 non basta, perché non ebber battesmo,
4. 36 ch'č porta de la fede che tu credi;

4. 37 e s'e' furon dinanzi al cristianesmo,
4. 38 non adorar debitamente a Dio:
4. 39 e di questi cotai son io medesmo.

4. 40 Per tai difetti, non per altro rio,
4. 41 semo perduti, e sol di tanto offesi,
4. 42 che sanza speme vivemo in disio».

4. 43 Gran duol mi prese al cor quando lo 'ntesi,
4. 44 perņ che gente di molto valore
4. 45 conobbi che 'n quel limbo eran sospesi.

4. 46 «Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore»,
4. 47 comincia' io per voler esser certo
4. 48 di quella fede che vince ogne errore:

4. 49 «uscicci mai alcuno, o per suo merto
4. 50 o per altrui, che poi fosse beato?».
4. 51 E quei che 'ntese il mio parlar coverto,

4. 52 rispuose: «Io era nuovo in questo stato,
4. 53 quando ci vidi venire un Possente,
4. 54 con segno di vittoria coronato.

4. 55 Trasseci l'ombra del primo parente,
4. 56 d'Abčl suo figlio e quella di Noč,
4. 57 di Moisč legista e ubidente;

4. 58 Abraąm patriarca e Davģd re,
4. 59 Isračl con lo padre e co' suoi nati
4. 60 e con Rachele, per cui tanto fé;

4. 61 e altri molti, e feceli beati.
4. 62 E vo' che sappi che, dinanzi ad essi,
4. 63 spiriti umani non eran salvati».

4. 64 Non lasciavam l'andar perch'ei dicessi,
4. 65 ma passavam la selva tuttavia,
4. 66 la selva, dico, di spiriti spessi.

4. 67 Non era lunga ancor la nostra via
4. 68 di qua dal sonno, quand'io vidi un foco
4. 69 ch'emisperio di tenebre vincia.

4. 70 Di lungi n'eravamo ancora un poco,
4. 71 ma non sģ ch'io non discernessi in parte
4. 72 ch'orrevol gente possedea quel loco.

4. 73 «O tu ch'onori scienzia e arte,
4. 74 questi chi son c'hanno cotanta onranza,
4. 75 che dal modo de li altri li diparte?».

4. 76 E quelli a me: «L'onrata nominanza
4. 77 che di lor suona sł ne la tua vita,
4. 78 grazia acquista in ciel che sģ li avanza».

4. 79 Intanto voce fu per me udita:
4. 80 «Onorate l'altissimo poeta:
4. 81 l'ombra sua torna, ch'era dipartita».

4. 82 Poi che la voce fu restata e queta,
4. 83 vidi quattro grand'ombre a noi venire:
4. 84 sembianz'avevan né trista né lieta.

4. 85 Lo buon maestro cominciņ a dire:
4. 86 «Mira colui con quella spada in mano,
4. 87 che vien dinanzi ai tre sģ come sire:

4. 88 quelli č Omero poeta sovrano;
4. 89 l'altro č Orazio satiro che vene;
4. 90 Ovidio č 'l terzo, e l'ultimo Lucano.

4. 91 Perņ che ciascun meco si convene
4. 92 nel nome che sonņ la voce sola,
4. 93 fannomi onore, e di ciņ fanno bene».

4. 94 Cosģ vid'i' adunar la bella scola
4. 95 di quel segnor de l'altissimo canto
4. 96 che sovra li altri com'aquila vola.

4. 97 Da ch'ebber ragionato insieme alquanto,
4. 98 volsersi a me con salutevol cenno,
4. 99 e 'l mio maestro sorrise di tanto;

4.100 e pił d'onore ancora assai mi fenno,
4.101 ch'e' sģ mi fecer de la loro schiera,
4.102 sģ ch'io fui sesto tra cotanto senno.

4.103 Cosģ andammo infino a la lumera,
4.104 parlando cose che 'l tacere č bello,
4.105 sģ com'era 'l parlar colą dov'era.

4.106 Venimmo al pič d'un nobile castello,
4.107 sette volte cerchiato d'alte mura,
4.108 difeso intorno d'un bel fiumicello.

4.109 Questo passammo come terra dura;
4.110 per sette porte intrai con questi savi:
4.111 giugnemmo in prato di fresca verdura.

4.112 Genti v'eran con occhi tardi e gravi,
4.113 di grande autoritą ne' lor sembianti:
4.114 parlavan rado, con voci soavi.

4.115 Traemmoci cosģ da l'un de' canti,
4.116 in loco aperto, luminoso e alto,
4.117 sģ che veder si potien tutti quanti.

4.118 Colą diritto, sovra 'l verde smalto,
4.119 mi fuor mostrati li spiriti magni,
4.120 che del vedere in me stesso m'essalto.

4.121 I' vidi Eletra con molti compagni,
4.122 tra ' quai conobbi Ettņr ed Enea,
4.123 Cesare armato con li occhi grifagni.

4.124 Vidi Cammilla e la Pantasilea;
4.125 da l'altra parte, vidi 'l re Latino
4.126 che con Lavina sua figlia sedea.

4.127 Vidi quel Bruto che cacciņ Tarquino,
4.128 Lucrezia, Iulia, Marzia e Corniglia;
4.129 e solo, in parte, vidi 'l Saladino.

4.130 Poi ch'innalzai un poco pił le ciglia,
4.131 vidi 'l maestro di color che sanno
4.132 seder tra filosofica famiglia.

4.133 Tutti lo miran, tutti onor li fanno:
4.134 quivi vid'io Socrate e Platone,
4.135 che 'nnanzi a li altri pił presso li stanno;

4.136 Democrito, che 'l mondo a caso pone,
4.137 Diogenés, Anassagora e Tale,
4.138 Empedoclčs, Eraclito e Zenone;

4.139 e vidi il buono accoglitor del quale,
4.140 Diascoride dico; e vidi Orfeo,
4.141 Tulio e Lino e Seneca morale;

4.142 Euclide geomčtra e Tolomeo,
4.143 Ipocrąte, Avicenna e Galieno,
4.144 Averoģs, che 'l gran comento feo.

4.145 Io non posso ritrar di tutti a pieno,
4.146 perņ che sģ mi caccia il lungo tema,
4.147 che molte volte al fatto il dir vien meno.

4.148 La sesta compagnia in due si scema:
4.149 per altra via mi mena il savio duca,
4.150 fuor de la queta, ne l'aura che trema.
4.151 E vegno in parte ove non č che luca.


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Mesazhe: 940

Inferno(canto 5)

5. 1 Cosģ discesi del cerchio primaio
5. 2 gił nel secondo, che men loco cinghia,
5. 3 e tanto pił dolor, che punge a guaio.

5. 4 Stavvi Minņs orribilmente, e ringhia:
5. 5 essamina le colpe ne l'intrata;
5. 6 giudica e manda secondo ch'avvinghia.

5. 7 Dico che quando l'anima mal nata
5. 8 li vien dinanzi, tutta si confessa;
5. 9 e quel conoscitor de le peccata

5. 10 vede qual loco d'inferno č da essa;
5. 11 cignesi con la coda tante volte
5. 12 quantunque gradi vuol che gił sia messa.

5. 13 Sempre dinanzi a lui ne stanno molte;
5. 14 vanno a vicenda ciascuna al giudizio;
5. 15 dicono e odono, e poi son gił volte.

5. 16 «O tu che vieni al doloroso ospizio»,
5. 17 disse Minņs a me quando mi vide,
5. 18 lasciando l'atto di cotanto offizio,

5. 19 «guarda com'entri e di cui tu ti fide;
5. 20 non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!».
5. 21 E 'l duca mio a lui: «Perché pur gride?

5. 22 Non impedir lo suo fatale andare:
5. 23 vuolsi cosģ colą dove si puote
5. 24 ciņ che si vuole, e pił non dimandare».

5. 25 Or incomincian le dolenti note
5. 26 a farmisi sentire; or son venuto
5. 27 lą dove molto pianto mi percuote.

5. 28 Io venni in loco d'ogne luce muto,
5. 29 che mugghia come fa mar per tempesta,
5. 30 se da contrari venti č combattuto.

5. 31 La bufera infernal, che mai non resta,
5. 32 mena li spirti con la sua rapina;
5. 33 voltando e percotendo li molesta.

5. 34 Quando giungon davanti a la ruina,
5. 35 quivi le strida, il compianto, il lamento;
5. 36 bestemmian quivi la virtł divina.

5. 37 Intesi ch'a cosģ fatto tormento
5. 38 enno dannati i peccator carnali,
5. 39 che la ragion sommettono al talento.

5. 40 E come li stornei ne portan l'ali
5. 41 nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
5. 42 cosģ quel fiato li spiriti mali

5. 43 di qua, di lą, di gił, di sł li mena;
5. 44 nulla speranza li conforta mai,
5. 45 non che di posa, ma di minor pena.

5. 46 E come i gru van cantando lor lai,
5. 47 faccendo in aere di sé lunga riga,
5. 48 cosģ vid'io venir, traendo guai,

5. 49 ombre portate da la detta briga;
5. 50 per ch'i' dissi: «Maestro, chi son quelle
5. 51 genti che l'aura nera sģ gastiga?».

5. 52 «La prima di color di cui novelle
5. 53 tu vuo' saper», mi disse quelli allotta,
5. 54 «fu imperadrice di molte favelle.

5. 55 A vizio di lussuria fu sģ rotta,
5. 56 che libito fé licito in sua legge,
5. 57 per tņrre il biasmo in che era condotta.

5. 58 Ell'č Semiramģs, di cui si legge
5. 59 che succedette a Nino e fu sua sposa:
5. 60 tenne la terra che 'l Soldan corregge.

5. 61 L'altra č colei che s'ancise amorosa,
5. 62 e ruppe fede al cener di Sicheo;
5. 63 poi č Cleopatrąs lussuriosa.

5. 64 Elena vedi, per cui tanto reo
5. 65 tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
5. 66 che con amore al fine combatteo.

5. 67 Vedi Parģs, Tristano»; e pił di mille
5. 68 ombre mostrommi e nominommi a dito,
5. 69 ch'amor di nostra vita dipartille.

5. 70 Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito
5. 71 nomar le donne antiche e ' cavalieri,
5. 72 pietą mi giunse, e fui quasi smarrito.

5. 73 I' cominciai: «Poeta, volontieri
5. 74 parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
5. 75 e paion sģ al vento esser leggieri».

5. 76 Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
5. 77 pił presso a noi; e tu allor li priega
5. 78 per quello amor che i mena, ed ei verranno».

5. 79 Sģ tosto come il vento a noi li piega,
5. 80 mossi la voce: «O anime affannate,
5. 81 venite a noi parlar, s'altri nol niega!».

5. 82 Quali colombe dal disio chiamate
5. 83 con l'ali alzate e ferme al dolce nido
5. 84 vegnon per l'aere, dal voler portate;

5. 85 cotali uscir de la schiera ov'č Dido,
5. 86 a noi venendo per l'aere maligno,
5. 87 sģ forte fu l'affettuoso grido.

5. 88 «O animal grazioso e benigno
5. 89 che visitando vai per l'aere perso
5. 90 noi che tignemmo il mondo di sanguigno,

5. 91 se fosse amico il re de l'universo,
5. 92 noi pregheremmo lui de la tua pace,
5. 93 poi c'hai pietą del nostro mal perverso.

5. 94 Di quel che udire e che parlar vi piace,
5. 95 noi udiremo e parleremo a voi,
5. 96 mentre che 'l vento, come fa, ci tace.

5. 97 Siede la terra dove nata fui
5. 98 su la marina dove 'l Po discende
5. 99 per aver pace co' seguaci sui.

5.100 Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende
5.101 prese costui de la bella persona
5.102 che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.

5.103 Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
5.104 mi prese del costui piacer sģ forte,
5.105 che, come vedi, ancor non m'abbandona.

5.106 Amor condusse noi ad una morte:
5.107 Caina attende chi a vita ci spense».
5.108 Queste parole da lor ci fuor porte.

5.109 Quand'io intesi quell'anime offense,
5.110 china' il viso e tanto il tenni basso,
5.111 fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?».

5.112 Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
5.113 quanti dolci pensier, quanto disio
5.114 menņ costoro al doloroso passo!».

5.115 Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
5.116 e cominciai: «Francesca, i tuoi martģri
5.117 a lagrimar mi fanno tristo e pio.

5.118 Ma dimmi: al tempo de' dolci sospiri,
5.119 a che e come concedette amore
5.120 che conosceste i dubbiosi disiri?».

5.121 E quella a me: «Nessun maggior dolore
5.122 che ricordarsi del tempo felice
5.123 ne la miseria; e ciņ sa 'l tuo dottore.

5.124 Ma s'a conoscer la prima radice
5.125 del nostro amor tu hai cotanto affetto,
5.126 dirņ come colui che piange e dice.

5.127 Noi leggiavamo un giorno per diletto
5.128 di Lancialotto come amor lo strinse;
5.129 soli eravamo e sanza alcun sospetto.

5.130 Per pił fiate li occhi ci sospinse
5.131 quella lettura, e scolorocci il viso;
5.132 ma solo un punto fu quel che ci vinse.

5.133 Quando leggemmo il disiato riso
5.134 esser basciato da cotanto amante,
5.135 questi, che mai da me non fia diviso,

5.136 la bocca mi basciņ tutto tremante.
5.137 Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
5.138 quel giorno pił non vi leggemmo avante».

5.139 Mentre che l'uno spirto questo disse,
5.140 l'altro piangea; sģ che di pietade
5.141 io venni men cosģ com'io morisse.
5.142 E caddi come corpo morto cade.


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Inferno(canto 6)

6. 1 Al tornar de la mente, che si chiuse
6. 2 dinanzi a la pietą de'due cognati,
6. 3 che di trestizia tutto mi confuse,

6. 4 novi tormenti e novi tormentati
6. 5 mi veggio intorno, come ch'io mi mova
6. 6 e ch'io mi volga, e come che io guati.

6. 7 Io sono al terzo cerchio, de la piova
6. 8 etterna, maladetta, fredda e greve;
6. 9 regola e qualitą mai non l'č nova.

6. 10 Grandine grossa, acqua tinta e neve
6. 11 per l'aere tenebroso si riversa;
6. 12 pute la terra che questo riceve.

6. 13 Cerbero, fiera crudele e diversa,
6. 14 con tre gole caninamente latra
6. 15 sovra la gente che quivi č sommersa.

6. 16 Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
6. 17 e 'l ventre largo, e unghiate le mani;
6. 18 graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra.

6. 19 Urlar li fa la pioggia come cani;
6. 20 de l'un de' lati fanno a l'altro schermo;
6. 21 volgonsi spesso i miseri profani.

6. 22 Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
6. 23 le bocche aperse e mostrocci le sanne;
6. 24 non avea membro che tenesse fermo.

6. 25 E 'l duca mio distese le sue spanne,
6. 26 prese la terra, e con piene le pugna
6. 27 la gittņ dentro a le bramose canne.

6. 28 Qual č quel cane ch'abbaiando agogna,
6. 29 e si racqueta poi che 'l pasto morde,
6. 30 ché solo a divorarlo intende e pugna,

6. 31 cotai si fecer quelle facce lorde
6. 32 de lo demonio Cerbero, che 'ntrona
6. 33 l'anime sģ, ch'esser vorrebber sorde.

6. 34 Noi passavam su per l'ombre che adona
6. 35 la greve pioggia, e ponavam le piante
6. 36 sovra lor vanitą che par persona.

6. 37 Elle giacean per terra tutte quante,
6. 38 fuor d'una ch'a seder si levņ, ratto
6. 39 ch'ella ci vide passarsi davante.

6. 40 «O tu che se' per questo 'nferno tratto»,
6. 41 mi disse, «riconoscimi, se sai:
6. 42 tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto».

6. 43 E io a lui: «L'angoscia che tu hai
6. 44 forse ti tira fuor de la mia mente,
6. 45 sģ che non par ch'i' ti vedessi mai.

6. 46 Ma dimmi chi tu se' che 'n sģ dolente
6. 47 loco se' messo e hai sģ fatta pena,
6. 48 che, s'altra č maggio, nulla č sģ spiacente».

6. 49 Ed elli a me: «La tua cittą, ch'č piena
6. 50 d'invidia sģ che gią trabocca il sacco,
6. 51 seco mi tenne in la vita serena.

6. 52 Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
6. 53 per la dannosa colpa de la gola,
6. 54 come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.

6. 55 E io anima trista non son sola,
6. 56 ché tutte queste a simil pena stanno
6. 57 per simil colpa». E pił non fé parola.

6. 58 Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno
6. 59 mi pesa sģ, ch'a lagrimar mi 'nvita;
6. 60 ma dimmi, se tu sai, a che verranno

6. 61 li cittadin de la cittą partita;
6. 62 s'alcun v'č giusto; e dimmi la cagione
6. 63 per che l'ha tanta discordia assalita».

6. 64 E quelli a me: «Dopo lunga tencione
6. 65 verranno al sangue, e la parte selvaggia
6. 66 caccerą l'altra con molta offensione.

6. 67 Poi appresso convien che questa caggia
6. 68 infra tre soli, e che l'altra sormonti
6. 69 con la forza di tal che testé piaggia.

6. 70 Alte terrą lungo tempo le fronti,
6. 71 tenendo l'altra sotto gravi pesi,
6. 72 come che di ciņ pianga o che n'aonti.

6. 73 Giusti son due, e non vi sono intesi;
6. 74 superbia, invidia e avarizia sono
6. 75 le tre faville c'hanno i cuori accesi».

6. 76 Qui puose fine al lagrimabil suono.
6. 77 E io a lui: «Ancor vo' che mi 'nsegni,
6. 78 e che di pił parlar mi facci dono.

6. 79 Farinata e 'l Tegghiaio, che fuor sģ degni,
6. 80 Iacopo Rusticucci, Arrigo e 'l Mosca
6. 81 e li altri ch'a ben far puoser li 'ngegni,

6. 82 dimmi ove sono e fa ch'io li conosca;
6. 83 ché gran disio mi stringe di savere
6. 84 se 'l ciel li addolcia, o lo 'nferno li attosca».

6. 85 E quelli: «Ei son tra l'anime pił nere:
6. 86 diverse colpe gił li grava al fondo:
6. 87 se tanto scendi, lą i potrai vedere.

6. 88 Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
6. 89 priegoti ch'a la mente altrui mi rechi:
6. 90 pił non ti dico e pił non ti rispondo».

6. 91 Li diritti occhi torse allora in biechi;
6. 92 guardommi un poco, e poi chinņ la testa:
6. 93 cadde con essa a par de li altri ciechi.

6. 94 E 'l duca disse a me: «Pił non si desta
6. 95 di qua dal suon de l'angelica tromba,
6. 96 quando verrą la nimica podesta:

6. 97 ciascun rivederą la trista tomba,
6. 98 ripiglierą sua carne e sua figura,
6. 99 udirą quel ch'in etterno rimbomba».

6.100 Sģ trapassammo per sozza mistura
6.101 de l'ombre e de la pioggia, a passi lenti,
6.102 toccando un poco la vita futura;

6.103 per ch'io dissi: «Maestro, esti tormenti
6.104 crescerann'ei dopo la gran sentenza,
6.105 o fier minori, o saran sģ cocenti?».

6.106 Ed elli a me: «Ritorna a tua scienza,
6.107 che vuol, quanto la cosa č pił perfetta,
6.108 pił senta il bene, e cosģ la doglienza.

6.109 Tutto che questa gente maladetta
6.110 in vera perfezion gią mai non vada,
6.111 di lą pił che di qua essere aspetta».

6.112 Noi aggirammo a tondo quella strada,
6.113 parlando pił assai ch'i' non ridico;
6.114 venimmo al punto dove si digrada:
6.115 quivi trovammo Pluto, il gran nemico.


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Inferno(canto 7)

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7. 1 «*Papé Satąn, pape Satąn aleppe!*»,
7. 2 cominciņ Pluto con la voce chioccia;
7. 3 e quel savio gentil, che tutto seppe,

7. 4 disse per confortarmi: «Non ti noccia
7. 5 la tua paura; ché, poder ch'elli abbia,
7. 6 non ci torrą lo scender questa roccia».

7. 7 Poi si rivolse a quella 'nfiata labbia,
7. 8 e disse: «Taci, maladetto lupo!
7. 9 consuma dentro te con la tua rabbia.

7. 10 Non č sanza cagion l'andare al cupo:
7. 11 vuolsi ne l'alto, lą dove Michele
7. 12 fé la vendetta del superbo strupo».

7. 13 Quali dal vento le gonfiate vele
7. 14 caggiono avvolte, poi che l'alber fiacca,
7. 15 tal cadde a terra la fiera crudele.

7. 16 Cosģ scendemmo ne la quarta lacca
7. 17 pigliando pił de la dolente ripa
7. 18 che 'l mal de l'universo tutto insacca.

7. 19 Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa
7. 20 nove travaglie e pene quant'io viddi?
7. 21 e perché nostra colpa sģ ne scipa?

7. 22 Come fa l'onda lą sovra Cariddi,
7. 23 che si frange con quella in cui s'intoppa,
7. 24 cosģ convien che qui la gente riddi.

7. 25 Qui vid'i' gente pił ch'altrove troppa,
7. 26 e d'una parte e d'altra, con grand'urli,
7. 27 voltando pesi per forza di poppa.

7. 28 Percoteansi 'ncontro; e poscia pur lģ
7. 29 si rivolgea ciascun, voltando a retro,
7. 30 gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?».

7. 31 Cosģ tornavan per lo cerchio tetro
7. 32 da ogne mano a l'opposito punto,
7. 33 gridandosi anche loro ontoso metro;

7. 34 poi si volgea ciascun, quand'era giunto,
7. 35 per lo suo mezzo cerchio a l'altra giostra.
7. 36 E io, ch'avea lo cor quasi compunto,

7. 37 dissi: «Maestro mio, or mi dimostra
7. 38 che gente č questa, e se tutti fuor cherci
7. 39 questi chercuti a la sinistra nostra».

7. 40 Ed elli a me: «Tutti quanti fuor guerci
7. 41 sģ de la mente in la vita primaia,
7. 42 che con misura nullo spendio ferci.

7. 43 Assai la voce lor chiaro l'abbaia
7. 44 quando vegnono a' due punti del cerchio
7. 45 dove colpa contraria li dispaia.

7. 46 Questi fuor cherci, che non han coperchio
7. 47 piloso al capo, e papi e cardinali,
7. 48 in cui usa avarizia il suo soperchio».

7. 49 E io: «Maestro, tra questi cotali
7. 50 dovre' io ben riconoscere alcuni
7. 51 che furo immondi di cotesti mali».

7. 52 Ed elli a me: «Vano pensiero aduni:
7. 53 la sconoscente vita che i fé sozzi
7. 54 ad ogne conoscenza or li fa bruni.

7. 55 In etterno verranno a li due cozzi:
7. 56 questi resurgeranno del sepulcro
7. 57 col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi.

7. 58 Mal dare e mal tener lo mondo pulcro
7. 59 ha tolto loro, e posti a questa zuffa:
7. 60 qual ella sia, parole non ci appulcro.

7. 61 Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
7. 62 d'i ben che son commessi a la fortuna,
7. 63 per che l'umana gente si rabbuffa;

7. 64 ché tutto l'oro ch'č sotto la luna
7. 65 e che gią fu, di quest'anime stanche
7. 66 non poterebbe farne posare una».

7. 67 «Maestro mio», diss'io, «or mi dģ anche:
7. 68 questa fortuna di che tu mi tocche,
7. 69 che č, che i ben del mondo ha sģ tra branche?».

7. 70 E quelli a me: «Oh creature sciocche,
7. 71 quanta ignoranza č quella che v'offende!
7. 72 Or vo' che tu mia sentenza ne 'mbocche.

7. 73 Colui lo cui saver tutto trascende,
7. 74 fece li cieli e dič lor chi conduce
7. 75 sģ ch'ogne parte ad ogne parte splende,

7. 76 distribuendo igualmente la luce.
7. 77 Similemente a li splendor mondani
7. 78 ordinņ general ministra e duce

7. 79 che permutasse a tempo li ben vani
7. 80 di gente in gente e d'uno in altro sangue,
7. 81 oltre la difension d'i senni umani;

7. 82 per ch'una gente impera e l'altra langue,
7. 83 seguendo lo giudicio di costei,
7. 84 che č occulto come in erba l'angue.

7. 85 Vostro saver non ha contasto a lei:
7. 86 questa provede, giudica, e persegue
7. 87 suo regno come il loro li altri dči.

7. 88 Le sue permutazion non hanno triegue;
7. 89 necessitą la fa esser veloce;
7. 90 sģ spesso vien chi vicenda consegue.

7. 91 Quest'č colei ch'č tanto posta in croce
7. 92 pur da color che le dovrien dar lode,
7. 93 dandole biasmo a torto e mala voce;

7. 94 ma ella s'č beata e ciņ non ode:
7. 95 con l'altre prime creature lieta
7. 96 volve sua spera e beata si gode.

7. 97 Or discendiamo omai a maggior pieta;
7. 98 gią ogne stella cade che saliva
7. 99 quand'io mi mossi, e 'l troppo star si vieta».

7.100 Noi ricidemmo il cerchio a l'altra riva
7.101 sovr'una fonte che bolle e riversa
7.102 per un fossato che da lei deriva.

7.103 L'acqua era buia assai pił che persa;
7.104 e noi, in compagnia de l'onde bige,
7.105 intrammo gił per una via diversa.

7.106 In la palude va c'ha nome Stige
7.107 questo tristo ruscel, quand'č disceso
7.108 al pič de le maligne piagge grige.

7.109 E io, che di mirare stava inteso,
7.110 vidi genti fangose in quel pantano,
7.111 ignude tutte, con sembiante offeso.

7.112 Queste si percotean non pur con mano,
7.113 ma con la testa e col petto e coi piedi,
7.114 troncandosi co' denti a brano a brano.

7.115 Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi
7.116 l'anime di color cui vinse l'ira;
7.117 e anche vo' che tu per certo credi

7.118 che sotto l'acqua č gente che sospira,
7.119 e fanno pullular quest'acqua al summo,
7.120 come l'occhio ti dice, u' che s'aggira.
7.121 Fitti nel limo, dicon: "Tristi fummo
7.122 ne l'aere dolce che dal sol s'allegra,
7.123 portando dentro accidioso fummo:

7.124 or ci attristiam ne la belletta negra".
7.125 Quest'inno si gorgoglian ne la strozza,
7.126 ché dir nol posson con parola integra».

7.127 Cosģ girammo de la lorda pozza
7.128 grand'arco tra la ripa secca e 'l mézzo,
7.129 con li occhi vņlti a chi del fango ingozza.
7.130 Venimmo al pič d'una torre al da sezzo.


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Inferno(canto 8)

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8. 1 Io dico, seguitando, ch'assai prima
8. 2 che noi fossimo al pič de l'alta torre,
8. 3 li occhi nostri n'andar suso a la cima

8. 4 per due fiammette che i vedemmo porre
8. 5 e un'altra da lungi render cenno
8. 6 tanto ch'a pena il potea l'occhio tņrre.

8. 7 E io mi volsi al mar di tutto 'l senno;
8. 8 dissi: «Questo che dice? e che risponde
8. 9 quell'altro foco? e chi son quei che 'l fenno?».

8. 10 Ed elli a me: «Su per le sucide onde
8. 11 gią scorgere puoi quello che s'aspetta,
8. 12 se 'l fummo del pantan nol ti nasconde».

8. 13 Corda non pinse mai da sé saetta
8. 14 che sģ corresse via per l'aere snella,
8. 15 com'io vidi una nave piccioletta

8. 16 venir per l'acqua verso noi in quella,
8. 17 sotto 'l governo d'un sol galeoto,
8. 18 che gridava: «Or se' giunta, anima fella!».

8. 19 «Flegiąs, Flegiąs, tu gridi a vņto»,
8. 20 disse lo mio segnore «a questa volta:
8. 21 pił non ci avrai che sol passando il loto».

8. 22 Qual č colui che grande inganno ascolta
8. 23 che li sia fatto, e poi se ne rammarca,
8. 24 fecesi Flegiąs ne l'ira accolta.

8. 25 Lo duca mio discese ne la barca,
8. 26 e poi mi fece intrare appresso lui;
8. 27 e sol quand'io fui dentro parve carca.

8. 28 Tosto che 'l duca e io nel legno fui,
8. 29 segando se ne va l'antica prora
8. 30 de l'acqua pił che non suol con altrui.

8. 31 Mentre noi corravam la morta gora,
8. 32 dinanzi mi si fece un pien di fango,
8. 33 e disse: «Chi se' tu che vieni anzi ora?».

8. 34 E io a lui: «S'i' vegno, non rimango;
8. 35 ma tu chi se', che sģ se' fatto brutto?».
8. 36 Rispuose: «Vedi che son un che piango».

8. 37 E io a lui: «Con piangere e con lutto,
8. 38 spirito maladetto, ti rimani;
8. 39 ch'i' ti conosco, ancor sie lordo tutto».

8. 40 Allor distese al legno ambo le mani;
8. 41 per che 'l maestro accorto lo sospinse,
8. 42 dicendo: «Via costą con li altri cani!».

8. 43 Lo collo poi con le braccia mi cinse;
8. 44 basciommi 'l volto, e disse: «Alma sdegnosa,
8. 45 benedetta colei che 'n te s'incinse!

8. 46 Quei fu al mondo persona orgogliosa;
8. 47 bontą non č che sua memoria fregi:
8. 48 cosģ s'č l'ombra sua qui furiosa.

8. 49 Quanti si tegnon or lą sł gran regi
8. 50 che qui staranno come porci in brago,
8. 51 di sé lasciando orribili dispregi!».

8. 52 E io: «Maestro, molto sarei vago
8. 53 di vederlo attuffare in questa broda
8. 54 prima che noi uscissimo del lago».

8. 55 Ed elli a me: «Avante che la proda
8. 56 ti si lasci veder, tu sarai sazio:
8. 57 di tal disio convien che tu goda».

8. 58 Dopo ciņ poco vid'io quello strazio
8. 59 far di costui a le fangose genti,
8. 60 che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.

8. 61 Tutti gridavano: «A Filippo Argenti!»;
8. 62 e 'l fiorentino spirito bizzarro
8. 63 in sé medesmo si volvea co' denti.

8. 64 Quivi il lasciammo, che pił non ne narro;
8. 65 ma ne l'orecchie mi percosse un duolo,
8. 66 per ch'io avante l'occhio intento sbarro.

8. 67 Lo buon maestro disse: «Omai, figliuolo,
8. 68 s'appressa la cittą c'ha nome Dite,
8. 69 coi gravi cittadin, col grande stuolo».

8. 70 E io: «Maestro, gią le sue meschite
8. 71 lą entro certe ne la valle cerno,
8. 72 vermiglie come se di foco uscite

8. 73 fossero». Ed ei mi disse: «Il foco etterno
8. 74 ch'entro l'affoca le dimostra rosse,
8. 75 come tu vedi in questo basso inferno».

8. 76 Noi pur giugnemmo dentro a l'alte fosse
8. 77 che vallan quella terra sconsolata:
8. 78 le mura mi parean che ferro fosse.

8. 79 Non sanza prima far grande aggirata,
8. 80 venimmo in parte dove il nocchier forte
8. 81 «Usciteci», gridņ: «qui č l'intrata».

8. 82 Io vidi pił di mille in su le porte
8. 83 da ciel piovuti, che stizzosamente
8. 84 dicean: «Chi č costui che sanza morte

8. 85 va per lo regno de la morta gente?».
8. 86 E 'l savio mio maestro fece segno
8. 87 di voler lor parlar segretamente.

8. 88 Allor chiusero un poco il gran disdegno,
8. 89 e disser: «Vien tu solo, e quei sen vada,
8. 90 che sģ ardito intrņ per questo regno.

8. 91 Sol si ritorni per la folle strada:
8. 92 pruovi, se sa; ché tu qui rimarrai
8. 93 che li ha' iscorta sģ buia contrada».

8. 94 Pensa, lettor, se io mi sconfortai
8. 95 nel suon de le parole maladette,
8. 96 ché non credetti ritornarci mai.

8. 97 «O caro duca mio, che pił di sette
8. 98 volte m'hai sicurtą renduta e tratto
8. 99 d'alto periglio che 'ncontra mi stette,

8.100 non mi lasciar», diss'io, «cosģ disfatto;
8.101 e se 'l passar pił oltre ci č negato,
8.102 ritroviam l'orme nostre insieme ratto».

8.103 E quel segnor che lģ m'avea menato,
8.104 mi disse: «Non temer; ché 'l nostro passo
8.105 non ci puņ tņrre alcun: da tal n'č dato.

8.106 Ma qui m'attendi, e lo spirito lasso
8.107 conforta e ciba di speranza buona,
8.108 ch'i' non ti lascerņ nel mondo basso».

8.109 Cosģ sen va, e quivi m'abbandona
8.110 lo dolce padre, e io rimagno in forse,
8.111 che sģ e no nel capo mi tenciona.

8.112 Udir non potti quello ch'a lor porse;
8.113 ma ei non stette lą con essi guari,
8.114 che ciascun dentro a pruova si ricorse.

8.115 Chiuser le porte que' nostri avversari
8.116 nel petto al mio segnor, che fuor rimase,
8.117 e rivolsesi a me con passi rari.

8.118 Li occhi a la terra e le ciglia avea rase
8.119 d'ogne baldanza, e dicea ne' sospiri:
8.120 «Chi m'ha negate le dolenti case!».

8.121 E a me disse: «Tu, perch'io m'adiri,
8.122 non sbigottir, ch'io vincerņ la prova,
8.123 qual ch'a la difension dentro s'aggiri.

8.124 Questa lor tracotanza non č nova;
8.125 ché gią l'usaro a men segreta porta,
8.126 la qual sanza serrame ancor si trova.

8.127 Sovr'essa vedestł la scritta morta:
8.128 e gią di qua da lei discende l'erta,
8.129 passando per li cerchi sanza scorta,
8.130 tal che per lui ne fia la terra aperta».


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Eugenio Delacroix ''Dante e Virgilio''

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Inferno (canto 9)

9. 1 Quel color che viltą di fuor mi pinse
9. 2 veggendo il duca mio tornare in volta,
9. 3 pił tosto dentro il suo novo ristrinse.

9. 4 Attento si fermņ com'uom ch'ascolta;
9. 5 ché l'occhio nol potea menare a lunga
9. 6 per l'aere nero e per la nebbia folta.

9. 7 «Pur a noi converrą vincer la punga»,
9. 8 cominciņ el, «se non... Tal ne s'offerse.
9. 9 Oh quanto tarda a me ch'altri qui giunga!».

9. 10 I' vidi ben sģ com'ei ricoperse
9. 11 lo cominciar con l'altro che poi venne,
9. 12 che fur parole a le prime diverse;

9. 13 ma nondimen paura il suo dir dienne,
9. 14 perch'io traeva la parola tronca
9. 15 forse a peggior sentenzia che non tenne.

9. 16 «In questo fondo de la trista conca
9. 17 discende mai alcun del primo grado,
9. 18 che sol per pena ha la speranza cionca?».

9. 19 Questa question fec'io; e quei «Di rado
9. 20 incontra», mi rispuose, «che di noi
9. 21 faccia il cammino alcun per qual io vado.

9. 22 Ver č ch'altra fiata qua gił fui,
9. 23 congiurato da quella Eritón cruda
9. 24 che richiamava l'ombre a' corpi sui.

9. 25 Di poco era di me la carne nuda,
9. 26 ch'ella mi fece intrar dentr'a quel muro,
9. 27 per trarne un spirto del cerchio di Giuda.

9. 28 Quell'č 'l pił basso loco e 'l pił oscuro,
9. 29 e 'l pił lontan dal ciel che tutto gira:
9. 30 ben so 'l cammin; perņ ti fa sicuro.

9. 31 Questa palude che 'l gran puzzo spira
9. 32 cigne dintorno la cittą dolente,
9. 33 u' non potemo intrare omai sanz'ira».

9. 34 E altro disse, ma non l'ho a mente;
9. 35 perņ che l'occhio m'avea tutto tratto
9. 36 ver' l'alta torre a la cima rovente,

9. 37 dove in un punto furon dritte ratto
9. 38 tre furie infernal di sangue tinte,
9. 39 che membra feminine avieno e atto,

9. 40 e con idre verdissime eran cinte;
9. 41 serpentelli e ceraste avien per crine,
9. 42 onde le fiere tempie erano avvinte.

9. 43 E quei, che ben conobbe le meschine
9. 44 de la regina de l'etterno pianto,
9. 45 «Guarda», mi disse, «le feroci Erine.

9. 46 Quest'č Megera dal sinistro canto;
9. 47 quella che piange dal destro č Aletto;
9. 48 Tesifón č nel mezzo»; e tacque a tanto.

9. 49 Con l'unghie si fendea ciascuna il petto;
9. 50 battiensi a palme, e gridavan sģ alto,
9. 51 ch'i' mi strinsi al poeta per sospetto.

9. 52 «Vegna Medusa: sģ 'l farem di smalto»,
9. 53 dicevan tutte riguardando in giuso;
9. 54 «mal non vengiammo in Teseo l'assalto».

9. 55 «Volgiti 'n dietro e tien lo viso chiuso;
9. 56 ché se 'l Gorgón si mostra e tu 'l vedessi,
9. 57 nulla sarebbe di tornar mai suso».

9. 58 Cosģ disse 'l maestro; ed elli stessi
9. 59 mi volse, e non si tenne a le mie mani,
9. 60 che con le sue ancor non mi chiudessi.

9. 61 O voi ch'avete li 'ntelletti sani,
9. 62 mirate la dottrina che s'asconde
9. 63 sotto 'l velame de li versi strani.

9. 64 E gią venia su per le torbide onde
9. 65 un fracasso d'un suon, pien di spavento,
9. 66 per cui tremavano amendue le sponde,

9. 67 non altrimenti fatto che d'un vento
9. 68 impetuoso per li avversi ardori,
9. 69 che fier la selva e sanz'alcun rattento

9. 70 li rami schianta, abbatte e porta fori;
9. 71 dinanzi polveroso va superbo,
9. 72 e fa fuggir le fiere e li pastori.

9. 73 Li occhi mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbo
9. 74 del viso su per quella schiuma antica
9. 75 per indi ove quel fummo č pił acerbo».

9. 76 Come le rane innanzi a la nimica
9. 77 biscia per l'acqua si dileguan tutte,
9. 78 fin ch'a la terra ciascuna s'abbica,

9. 79 vid'io pił di mille anime distrutte
9. 80 fuggir cosģ dinanzi ad un ch'al passo
9. 81 passava Stige con le piante asciutte.

9. 82 Dal volto rimovea quell'aere grasso,
9. 83 menando la sinistra innanzi spesso;
9. 84 e sol di quell'angoscia parea lasso.

9. 85 Ben m'accorsi ch'elli era da ciel messo,
9. 86 e volsimi al maestro; e quei fé segno
9. 87 ch'i' stessi queto ed inchinassi ad esso.

9. 88 Ahi quanto mi parea pien di disdegno!
9. 89 Venne a la porta, e con una verghetta
9. 90 l'aperse, che non v'ebbe alcun ritegno.

9. 91 «O cacciati del ciel, gente dispetta»,
9. 92 cominciņ elli in su l'orribil soglia,
9. 93 «ond'esta oltracotanza in voi s'alletta?

9. 94 Perché recalcitrate a quella voglia
9. 95 a cui non puote il fin mai esser mozzo,
9. 96 e che pił volte v'ha cresciuta doglia?

9. 97 Che giova ne le fata dar di cozzo?
9. 98 Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
9. 99 ne porta ancor pelato il mento e 'l gozzo».

9.100 Poi si rivolse per la strada lorda,
9.101 e non fé motto a noi, ma fé sembiante
9.102 d'omo cui altra cura stringa e morda

9.103 che quella di colui che li č davante;
9.104 e noi movemmo i piedi inver' la terra,
9.105 sicuri appresso le parole sante.

9.106 Dentro li 'ntrammo sanz'alcuna guerra;
9.107 e io, ch'avea di riguardar disio
9.108 la condizion che tal fortezza serra,

9.109 com'io fui dentro, l'occhio intorno invio;
9.110 e veggio ad ogne man grande campagna
9.111 piena di duolo e di tormento rio.

9.112 Sģ come ad Arli, ove Rodano stagna,
9.113 sģ com'a Pola, presso del Carnaro
9.114 ch'Italia chiude e suoi termini bagna,

9.115 fanno i sepulcri tutt'il loco varo,
9.116 cosģ facevan quivi d'ogne parte,
9.117 salvo che 'l modo v'era pił amaro;

9.118 ché tra gli avelli fiamme erano sparte,
9.119 per le quali eran sģ del tutto accesi,
9.120 che ferro pił non chiede verun'arte.

9.121 Tutti li lor coperchi eran sospesi,
9.122 e fuor n'uscivan sģ duri lamenti,
9.123 che ben parean di miseri e d'offesi.

9.124 E io: «Maestro, quai son quelle genti
9.125 che, seppellite dentro da quell'arche,
9.126 si fan sentir coi sospiri dolenti?».

9.127 Ed elli a me: «Qui son li eresiarche
9.128 con lor seguaci, d'ogne setta, e molto
9.129 pił che non credi son le tombe carche.

9.130 Simile qui con simile č sepolto,
9.131 e i monimenti son pił e men caldi».
9.132 E poi ch'a la man destra si fu vņlto,
9.133 passammo tra i martiri e li alti spaldi.


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Inferno (canto 10)

10. 1 Ora sen va per un secreto calle,
10. 2 tra 'l muro de la terra e li martģri,
10. 3 lo mio maestro, e io dopo le spalle.

10. 4 «O virtł somma, che per li empi giri
10. 5 mi volvi», cominciai, «com'a te piace,
10. 6 parlami, e sodisfammi a' miei disiri.

10. 7 La gente che per li sepolcri giace
10. 8 potrebbesi veder? gią son levati
10. 9 tutt'i coperchi, e nessun guardia face».

10. 10 E quelli a me: «Tutti saran serrati
10. 11 quando di Iosafąt qui torneranno
10. 12 coi corpi che lą sł hanno lasciati.

10. 13 Suo cimitero da questa parte hanno
10. 14 con Epicuro tutti suoi seguaci,
10. 15 che l'anima col corpo morta fanno.

10. 16 Perņ a la dimanda che mi faci
10. 17 quinc'entro satisfatto sarą tosto,
10. 18 e al disio ancor che tu mi taci».

10. 19 E io: «Buon duca, non tegno riposto
10. 20 a te mio cuor se non per dicer poco,
10. 21 e tu m'hai non pur mo a ciņ disposto».

10. 22 «O Tosco che per la cittą del foco
10. 23 vivo ten vai cosģ parlando onesto,
10. 24 piacciati di restare in questo loco.

10. 25 La tua loquela ti fa manifesto
10. 26 di quella nobil patria natio
10. 27 a la qual forse fui troppo molesto».

10. 28 Subitamente questo suono uscģo
10. 29 d'una de l'arche; perņ m'accostai,
10. 30 temendo, un poco pił al duca mio.

10. 31 Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
10. 32 Vedi lą Farinata che s'č dritto:
10. 33 da la cintola in sł tutto 'l vedrai».

10. 34 Io avea gią il mio viso nel suo fitto;
10. 35 ed el s'ergea col petto e con la fronte
10. 36 com'avesse l'inferno a gran dispitto.

10. 37 E l'animose man del duca e pronte
10. 38 mi pinser tra le sepulture a lui,
10. 39 dicendo: «Le parole tue sien conte».

10. 40 Com'io al pič de la sua tomba fui,
10. 41 guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
10. 42 mi dimandņ: «Chi fuor li maggior tui?».

10. 43 Io ch'era d'ubidir disideroso,
10. 44 non gliel celai, ma tutto gliel'apersi;
10. 45 ond'ei levņ le ciglia un poco in suso;

10. 46 poi disse: «Fieramente furo avversi
10. 47 a me e a miei primi e a mia parte,
10. 48 sģ che per due fiate li dispersi».

10. 49 «S'ei fur cacciati, ei tornar d'ogne parte»,
10. 50 rispuos'io lui, «l'una e l'altra fiata;
10. 51 ma i vostri non appreser ben quell'arte».

10. 52 Allor surse a la vista scoperchiata
10. 53 un'ombra, lungo questa, infino al mento:
10. 54 credo che s'era in ginocchie levata.

10. 55 Dintorno mi guardņ, come talento
10. 56 avesse di veder s'altri era meco;
10. 57 e poi che 'l sospecciar fu tutto spento,

10. 58 piangendo disse: «Se per questo cieco
10. 59 carcere vai per altezza d'ingegno,
10. 60 mio figlio ov'č? e perché non č teco?».

10. 61 E io a lui: «Da me stesso non vegno:
10. 62 colui ch'attende lą, per qui mi mena
10. 63 forse cui Guido vostro ebbe a disdegno».

10. 64 Le sue parole e 'l modo de la pena
10. 65 m'avean di costui gią letto il nome;
10. 66 perņ fu la risposta cosģ piena.

10. 67 Di subito drizzato gridņ: «Come?
10. 68 dicesti "elli ebbe"? non viv'elli ancora?
10. 69 non fiere li occhi suoi lo dolce lume?».

10. 70 Quando s'accorse d'alcuna dimora
10. 71 ch'io facea dinanzi a la risposta,
10. 72 supin ricadde e pił non parve fora.

10. 73 Ma quell'altro magnanimo, a cui posta
10. 74 restato m'era, non mutņ aspetto,
10. 75 né mosse collo, né piegņ sua costa:

10. 76 e sé continuando al primo detto,
10. 77 «S'elli han quell'arte», disse, «male appresa,
10. 78 ciņ mi tormenta pił che questo letto.

10. 79 Ma non cinquanta volte fia raccesa
10. 80 la faccia de la donna che qui regge,
10. 81 che tu saprai quanto quell'arte pesa.

10. 82 E se tu mai nel dolce mondo regge,
10. 83 dimmi: perché quel popolo č sģ empio
10. 84 incontr'a' miei in ciascuna sua legge?».

10. 85 Ond'io a lui: «Lo strazio e 'l grande scempio
10. 86 che fece l'Arbia colorata in rosso,
10. 87 tal orazion fa far nel nostro tempio».

10. 88 Poi ch'ebbe sospirando il capo mosso,
10. 89 «A ciņ non fu' io sol», disse, «né certo
10. 90 sanza cagion con li altri sarei mosso.

10. 91 Ma fu' io solo, lą dove sofferto
10. 92 fu per ciascun di tņrre via Fiorenza,
10. 93 colui che la difesi a viso aperto».

10. 94 «Deh, se riposi mai vostra semenza»,
10. 95 prega' io lui, «solvetemi quel nodo
10. 96 che qui ha 'nviluppata mia sentenza.

10. 97 El par che voi veggiate, se ben odo,
10. 98 dinanzi quel che 'l tempo seco adduce,
10. 99 e nel presente tenete altro modo».

10.100 «Noi veggiam, come quei c'ha mala luce,
10.101 le cose», disse, «che ne son lontano;
10.102 cotanto ancor ne splende il sommo duce.

10.103 Quando s'appressano o son, tutto č vano
10.104 nostro intelletto; e s'altri non ci apporta,
10.105 nulla sapem di vostro stato umano.

10.106 Perņ comprender puoi che tutta morta
10.107 fia nostra conoscenza da quel punto
10.108 che del futuro fia chiusa la porta».

10.109 Allor, come di mia colpa compunto,
10.110 dissi: «Or direte dunque a quel caduto
10.111 che 'l suo nato č co'vivi ancor congiunto;

10.112 e s'i' fui, dianzi, a la risposta muto,
10.113 fate i saper che 'l fei perché pensava
10.114 gią ne l'error che m'avete soluto».

10.115 E gią 'l maestro mio mi richiamava;
10.116 per ch'i' pregai lo spirto pił avaccio
10.117 che mi dicesse chi con lu' istava.

10.118 Dissemi: «Qui con pił di mille giaccio:
10.119 qua dentro č 'l secondo Federico,
10.120 e 'l Cardinale; e de li altri mi taccio».

10.121 Indi s'ascose; e io inver' l'antico
10.122 poeta volsi i passi, ripensando
10.123 a quel parlar che mi parea nemico.

10.124 Elli si mosse; e poi, cosģ andando,
10.125 mi disse: «Perché se' tu sģ smarrito?».
10.126 E io li sodisfeci al suo dimando.

10.127 «La mente tua conservi quel ch'udito
10.128 hai contra te», mi comandņ quel saggio.
10.129 «E ora attendi qui», e drizzņ 'l dito:

10.130 «quando sarai dinanzi al dolce raggio
10.131 di quella il cui bell'occhio tutto vede,
10.132 da lei saprai di tua vita il viaggio».

10.133 Appresso mosse a man sinistra il piede:
10.134 lasciammo il muro e gimmo inver' lo mezzo
10.135 per un sentier ch'a una valle fiede,
10.136 che 'nfin lą sł facea spiacer suo lezzo.


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Purgatorio

Purgatorio (canto 1)


1. 1 Per correr miglior acque alza le vele
1. 2 omai la navicella del mio ingegno,
1. 3 che lascia dietro a sé mar sģ crudele;

1. 4 e canterņ di quel secondo regno
1. 5 dove l'umano spirito si purga
1. 6 e di salire al ciel diventa degno.

1. 7 Ma qui la morta poesģ resurga,
1. 8 o sante Muse, poi che vostro sono;
1. 9 e qui Caliopč alquanto surga,

1. 10 seguitando il mio canto con quel suono
1. 11 di cui le Piche misere sentiro
1. 12 lo colpo tal, che disperar perdono.

1. 13 Dolce color d'oriental zaffiro,
1. 14 che s'accoglieva nel sereno aspetto
1. 15 del mezzo, puro infino al primo giro,

1. 16 a li occhi miei ricominciņ diletto,
1. 17 tosto ch'io usci' fuor de l'aura morta
1. 18 che m'avea contristati li occhi e 'l petto.

1. 19 Lo bel pianeto che d'amar conforta
1. 20 faceva tutto rider l'oriente,
1. 21 velando i Pesci ch'erano in sua scorta.

1. 22 I' mi volsi a man destra, e puosi mente
1. 23 a l'altro polo, e vidi quattro stelle
1. 24 non viste mai fuor ch'a la prima gente.

1. 25 Goder pareva 'l ciel di lor fiammelle:
1. 26 oh settentrional vedovo sito,
1. 27 poi che privato se' di mirar quelle!

1. 28 Com'io da loro sguardo fui partito,
1. 29 un poco me volgendo a l'altro polo,
1. 30 lą onde il Carro gią era sparito,

1. 31 vidi presso di me un veglio solo,
1. 32 degno di tanta reverenza in vista,
1. 33 che pił non dee a padre alcun figliuolo.

1. 34 Lunga la barba e di pel bianco mista
1. 35 portava, a' suoi capelli simigliante,
1. 36 de' quai cadeva al petto doppia lista.

1. 37 Li raggi de le quattro luci sante
1. 38 fregiavan sģ la sua faccia di lume,
1. 39 ch'i' 'l vedea come 'l sol fosse davante.

1. 40 «Chi siete voi che contro al cieco fiume
1. 41 fuggita avete la pregione etterna?»,
1. 42 diss'el, movendo quelle oneste piume.

1. 43 «Chi v'ha guidati, o che vi fu lucerna,
1. 44 uscendo fuor de la profonda notte
1. 45 che sempre nera fa la valle inferna?

1. 46 Son le leggi d'abisso cosģ rotte?
1. 47 o č mutato in ciel novo consiglio,
1. 48 che, dannati, venite a le mie grotte?».

1. 49 Lo duca mio allor mi dič di piglio,
1. 50 e con parole e con mani e con cenni
1. 51 reverenti mi fé le gambe e 'l ciglio.

1. 52 Poscia rispuose lui: «Da me non venni:
1. 53 donna scese del ciel, per li cui prieghi
1. 54 de la mia compagnia costui sovvenni.

1. 55 Ma da ch'č tuo voler che pił si spieghi
1. 56 di nostra condizion com'ell'č vera,
1. 57 esser non puote il mio che a te si nieghi.

1. 58 Questi non vide mai l'ultima sera;
1. 59 ma per la sua follia le fu sģ presso,
1. 60 che molto poco tempo a volger era.

1. 61 Sģ com'io dissi, fui mandato ad esso
1. 62 per lui campare; e non lģ era altra via
1. 63 che questa per la quale i' mi son messo.

1. 64 Mostrata ho lui tutta la gente ria;
1. 65 e ora intendo mostrar quelli spirti
1. 66 che purgan sé sotto la tua balģa.

1. 67 Com'io l'ho tratto, saria lungo a dirti;
1. 68 de l'alto scende virtł che m'aiuta
1. 69 conducerlo a vederti e a udirti.

1. 70 Or ti piaccia gradir la sua venuta:
1. 71 libertą va cercando, ch'č sģ cara,
1. 72 come sa chi per lei vita rifiuta.

1. 73 Tu 'l sai, ché non ti fu per lei amara
1. 74 in Utica la morte, ove lasciasti
1. 75 la vesta ch'al gran dģ sarą sģ chiara.

1. 76 Non son li editti etterni per noi guasti,
1. 77 ché questi vive, e Minņs me non lega;
1. 78 ma son del cerchio ove son li occhi casti

1. 79 di Marzia tua, che 'n vista ancor ti priega,
1. 80 o santo petto, che per tua la tegni:
1. 81 per lo suo amore adunque a noi ti piega.

1. 82 Lasciane andar per li tuoi sette regni;
1. 83 grazie riporterņ di te a lei,
1. 84 se d'esser mentovato lą gił degni».

1. 85 «Marzia piacque tanto a li occhi miei
1. 86 mentre ch'i' fu' di lą», diss'elli allora,
1. 87 «che quante grazie volse da me, fei.

1. 88 Or che di lą dal mal fiume dimora,
1. 89 pił muover non mi puņ, per quella legge
1. 90 che fatta fu quando me n'usci' fora.

1. 91 Ma se donna del ciel ti muove e regge,
1. 92 come tu di', non c'č mestier lusinghe:
1. 93 bastisi ben che per lei mi richegge.

1. 94 Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
1. 95 d'un giunco schietto e che li lavi 'l viso,
1. 96 sģ ch'ogne sucidume quindi stinghe;

1. 97 ché non si converria, l'occhio sorpriso
1. 98 d'alcuna nebbia, andar dinanzi al primo
1. 99 ministro, ch'č di quei di paradiso.

1.100 Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
1.101 lą gił colą dove la batte l'onda,
1.102 porta di giunchi sovra 'l molle limo;

1.103 null'altra pianta che facesse fronda
1.104 o indurasse, vi puote aver vita,
1.105 perņ ch'a le percosse non seconda.

1.106 Poscia non sia di qua vostra reddita;
1.107 lo sol vi mosterrą, che surge omai,
1.108 prendere il monte a pił lieve salita».

1.109 Cosģ sparģ; e io sł mi levai
1.110 sanza parlare, e tutto mi ritrassi
1.111 al duca mio, e li occhi a lui drizzai.

1.112 El cominciņ: «Figliuol, segui i miei passi:
1.113 volgianci in dietro, ché di qua dichina
1.114 questa pianura a' suoi termini bassi».

1.115 L'alba vinceva l'ora mattutina
1.116 che fuggia innanzi, sģ che di lontano
1.117 conobbi il tremolar de la marina.

1.118 Noi andavam per lo solingo piano
1.119 com'om che torna a la perduta strada,
1.120 che 'nfino ad essa li pare ire in vano.

1.121 Quando noi fummo lą 've la rugiada
1.122 pugna col sole, per essere in parte
1.123 dove, ad orezza, poco si dirada,

1.124 ambo le mani in su l'erbetta sparte
1.125 soavemente 'l mio maestro pose:
1.126 ond'io, che fui accorto di sua arte,

1.127 porsi ver' lui le guance lagrimose:
1.128 ivi mi fece tutto discoverto
1.129 quel color che l'inferno mi nascose.

1.130 Venimmo poi in sul lito diserto,
1.131 che mai non vide navicar sue acque
1.132 omo, che di tornar sia poscia esperto.

1.133 Quivi mi cinse sģ com'altrui piacque:
1.134 oh maraviglia! ché qual elli scelse
1.135 l'umile pianta, cotal si rinacque
1.136 subitamente lą onde l'avelse.


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Voglio, avrņ — se non qui, in altro luogo che ancora non so. Niente ho perduto. Tutto sarņ. (Fernando Pessoa)

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Purgatorio (canto 2)

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2. 1 Gią era 'l sole a l'orizzonte giunto
2. 2 lo cui meridian cerchio coverchia
2. 3 Ierusalčm col suo pił alto punto;

2. 4 e la notte, che opposita a lui cerchia,
2. 5 uscia di Gange fuor con le Bilance,
2. 6 che le caggion di man quando soverchia;

2. 7 sģ che le bianche e le vermiglie guance,
2. 8 lą dov'i' era, de la bella Aurora
2. 9 per troppa etate divenivan rance.

2. 10 Noi eravam lunghesso mare ancora,
2. 11 come gente che pensa a suo cammino,
2. 12 che va col cuore e col corpo dimora.

2. 13 Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,
2. 14 per li grossi vapor Marte rosseggia
2. 15 gił nel ponente sovra 'l suol marino,

2. 16 cotal m'apparve, s'io ancor lo veggia,
2. 17 un lume per lo mar venir sģ ratto,
2. 18 che 'l muover suo nessun volar pareggia.

2. 19 Dal qual com'io un poco ebbi ritratto
2. 20 l'occhio per domandar lo duca mio,
2. 21 rividil pił lucente e maggior fatto.

2. 22 Poi d'ogne lato ad esso m'appario
2. 23 un non sapeva che bianco, e di sotto
2. 24 a poco a poco un altro a lui uscio.

2. 25 Lo mio maestro ancor non facea motto,
2. 26 mentre che i primi bianchi apparver ali;
2. 27 allor che ben conobbe il galeotto,

2. 28 gridņ: «Fa, fa che le ginocchia cali.
2. 29 Ecco l'angel di Dio: piega le mani;
2. 30 omai vedrai di sģ fatti officiali.

2. 31 Vedi che sdegna li argomenti umani,
2. 32 sģ che remo non vuol, né altro velo
2. 33 che l'ali sue, tra liti sģ lontani.

2. 34 Vedi come l'ha dritte verso 'l cielo,
2. 35 trattando l'aere con l'etterne penne,
2. 36 che non si mutan come mortal pelo».

2. 37 Poi, come pił e pił verso noi venne
2. 38 l'uccel divino, pił chiaro appariva:
2. 39 per che l'occhio da presso nol sostenne,

2. 40 ma chinail giuso; e quei sen venne a riva
2. 41 con un vasello snelletto e leggero,
2. 42 tanto che l'acqua nulla ne 'nghiottiva.

2. 43 Da poppa stava il celestial nocchiero,
2. 44 tal che faria beato pur descripto;
2. 45 e pił di cento spirti entro sediero.

2. 46 "*In exitu Israel de Aegypto*"
2. 47 cantavan tutti insieme ad una voce
2. 48 con quanto di quel salmo č poscia scripto.

2. 49 Poi fece il segno lor di santa croce;
2. 50 ond'ei si gittar tutti in su la piaggia;
2. 51 ed el sen gģ, come venne, veloce.

2. 52 La turba che rimase lģ, selvaggia
2. 53 parea del loco, rimirando intorno
2. 54 come colui che nove cose assaggia.

2. 55 Da tutte parti saettava il giorno
2. 56 lo sol, ch'avea con le saette conte
2. 57 di mezzo 'l ciel cacciato Capricorno,

2. 58 quando la nova gente alzņ la fronte
2. 59 ver' noi, dicendo a noi: «Se voi sapete,
2. 60 mostratene la via di gire al monte».

2. 61 E Virgilio rispuose: «Voi credete
2. 62 forse che siamo esperti d'esto loco;
2. 63 ma noi siam peregrin come voi siete.

2. 64 Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
2. 65 per altra via, che fu sģ aspra e forte,
2. 66 che lo salire omai ne parrą gioco».

2. 67 L'anime, che si fuor di me accorte,
2. 68 per lo spirare, ch'i' era ancor vivo,
2. 69 maravigliando diventaro smorte.

2. 70 E come a messagger che porta ulivo
2. 71 tragge la gente per udir novelle,
2. 72 e di calcar nessun si mostra schivo,

2. 73 cosģ al viso mio s'affisar quelle
2. 74 anime fortunate tutte quante,
2. 75 quasi obliando d'ire a farsi belle.

2. 76 Io vidi una di lor trarresi avante
2. 77 per abbracciarmi con sģ grande affetto,
2. 78 che mosse me a far lo somigliante.

2. 79 Ohi ombre vane, fuor che ne l'aspetto!
2. 80 tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
2. 81 e tante mi tornai con esse al petto.

2. 82 Di maraviglia, credo, mi dipinsi;
2. 83 per che l'ombra sorrise e si ritrasse,
2. 84 e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.
2. 85 Soavemente disse ch'io posasse;
2. 86 allor conobbi chi era, e pregai
2. 87 che, per parlarmi, un poco s'arrestasse.

2. 88 Rispuosemi: «Cosģ com'io t'amai
2. 89 nel mortal corpo, cosģ t'amo sciolta:
2. 90 perņ m'arresto; ma tu perché vai?».

2. 91 «Casella mio, per tornar altra volta
2. 92 lą dov'io son, fo io questo viaggio»,
2. 93 diss'io; «ma a te com'č tanta ora tolta?».

2. 94 Ed elli a me: «Nessun m'č fatto oltraggio,
2. 95 se quei che leva quando e cui li piace,
2. 96 pił volte m'ha negato esto passaggio;

2. 97 ché di giusto voler lo suo si face:
2. 98 veramente da tre mesi elli ha tolto
2. 99 chi ha voluto intrar, con tutta pace.

2.100 Ond'io, ch'era ora a la marina vņlto
2.101 dove l'acqua di Tevero s'insala,
2.102 benignamente fu' da lui ricolto.

2.103 A quella foce ha elli or dritta l'ala,
2.104 perņ che sempre quivi si ricoglie
2.105 qual verso Acheronte non si cala».

2.106 E io: «Se nuova legge non ti toglie
2.107 memoria o uso a l'amoroso canto
2.108 che mi solea quetar tutte mie doglie,

2.109 di ciņ ti piaccia consolare alquanto
2.110 l'anima mia, che, con la sua persona
2.111 venendo qui, č affannata tanto!».

2.112 "*Amor che ne la mente mi ragiona*"
2.113 cominciņ elli allor sģ dolcemente,
2.114 che la dolcezza ancor dentro mi suona.

2.115 Lo mio maestro e io e quella gente
2.116 ch'eran con lui parevan sģ contenti,
2.117 come a nessun toccasse altro la mente.

2.118 Noi eravam tutti fissi e attenti
2.119 a le sue note; ed ecco il veglio onesto
2.120 gridando: «Che č ciņ, spiriti lenti?

2.121 qual negligenza, quale stare č questo?
2.122 Correte al monte a spogliarvi lo scoglio
2.123 ch'esser non lascia a voi Dio manifesto».

2.124 Come quando, cogliendo biado o loglio,
2.125 li colombi adunati a la pastura,
2.126 queti, sanza mostrar l'usato orgoglio,

2.127 se cosa appare ond'elli abbian paura,
2.128 subitamente lasciano star l'esca,
2.129 perch'assaliti son da maggior cura;

2.130 cosģ vid'io quella masnada fresca
2.131 lasciar lo canto, e fuggir ver' la costa,
2.132 com'om che va, né sa dove riesca:
2.133 né la nostra partita fu men tosta.


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Modifikuar nga déją-vu datė 01/10/2003 ora 23:14

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Mesazh i vjetėr 01 Tetor 2003 11:20
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