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Regjistruar: 18/12/2002
Vendbanimi: Venezia
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Francesco Petrarca

Francesco Petrarca nacque ad Arezzo nel 1304 da Eletta Canigiani e da ser Petracco, notaio fiorentino che due anni prima era stato esiliato dalla sua città perché appartenente alla fazione dei Bianchi. A sette anni seguì, con la famiglia, il padre prima a Pisa e poi ad Avignone, in Francia, allora sede del Papato. Il padre fu assunto presso la curia, ma per mancanza di case la famiglia dovette sistemarsi nella cittadina di Carpentras, dove il Poeta compì i suoi primi studi sotto la guida del dotto maestro Convenevole da Prato. Fu poi avviato agli studi giuridici, prima a Montpellier e poi a Bologna, ma con scarso profitto perché attratto dagli studi classici e distratto dalla vita mondana. Alla morte della madre, nel 1326, tornò ad Avignone e intraprese la carriera ecclesiastica negli ordini minori, mentre il fratello Gherardo divenne sacerdote per abbracciare poi la vita monastica. Il venerdì santo dell'anno dopo Francesco vide per la prima volta, nella chiesa di S. Chiara, la donna destinata a divenire l'ispiratrice del "Canzoniere", Laura (forse Laura de Noves andata sposa ad Ugo de Sade). Nel 1330, assunto al servizio dell'amico cardinale Giacomo di Stefano Colonna, seguì il suo signore in Guascogna. Ritornato ad Avignone nel 1333 fu al servizio del cardinale Giovanni Colonna, che gli consentì di effettuare numerosi viaggi in Europa. Nel 1336, durante un'ascensione sul monte Ventoso, in compagnia del fratello Gherardo, lesse una pagina di S. Agostino che lo turbò profondamente e segnò l'origine di una crisi morale e religiosa, che lo accompagnò per tutta la vita. Nel 1340 fu invitato sia dall'Università di Parigi che dal Senato di Roma per essere incoronato poeta: preferì Roma, ove l'anno dopo fu incoronato sul Campidoglio, dopo aver sostenuto un severo esame, durato tre giorni, da parte del dotto re Roberto d'Angiò. Sempre irrequieto, viaggiò ancora a lungo in Italia ed all'estero, finché si fermò ad Arquà, sui Colli Euganei, ove visse gli ultimi anni in compagnia della figlia Francesca (aveva anche un figlio di nome Giovanni). Morì il 19 luglio 1374, il giorno prima del suo settantesimo compleanno.

Come abbiamo già detto, Francesco Petrarca nacque ad Arezzo da esuli fiorentini: questo vuol dire che si sentiva ed era estraneo al suo stesso luogo natio. A ciò si aggiunga che viaggiò molto per l'Italia e l'Europa e così facilmente ci spieghiamo perché non partecipasse attivamente alla politica di nessuna città italiana e non avesse sogni universalistici come Dante: egli molto più concretamente vedeva realizzabile in Italia una federazione di Stati che, pur conservando ciascuno la propria autonomia interna, fossero però uniti nella difesa del suolo italiano dalle invasioni barbariche. Egli perciò fu uno dei primi a vagheggiare idee nazionalistiche ed a considerare l'Italia, e non altri, l'erede della romanità. Ecco perché egli asserì pure che l'eventuale federazione di Stati italiani dovesse avere come sua capitale e guida una Roma repubblicana (quindi non papale) che si ispirasse ai valori dell'antica Roma repubblicana, quella che aveva gettato le basi della futura Roma imperiale, dando alle genti un grande esempio di operosità, di saggezza politica, di coraggio, di genialità.

Naturalmente questa passione per la più autentica romanità egli l'aveva maturata attraverso gli studi dei classici antichi, dei quali fu solerte ricercatore, accurato restauratore, profondo interprete e grande ammiratore. A tal riguardo bisogna sottolineare che il Petrarca fu l'iniziatore della nuova filologia, che rese giustizia ai classici antichi delle tante false interpretazioni che ne avevano, lungo tutto il Medioevo, fortemente manipolata l'autentica fisionomia.

Il Petrarca fu dunque un uomo moderno per i suoi tempi non solo dal punto di vista politico, ma anche dal punto di vista culturale. Egli fu il primo animatore di quel vasto movimento di idee che contribuì ad accelerare il crollo definitivo degli ideali medievali e ad avviare una nuova concezione di vita, che verrà poi definita "umanesimo" perché largamente attinta dal pensiero degli antichi autori delle "Humanae litterae".

Il Petrarca ha ancora il grande merito di aver intuito che non ci può essere vera cultura, non ci può essere progresso scientifico senza la possibilità di condurre i propri studi liberamente, senza la disposizione a cercare nuove avventure del pensiero e dell'azione: la lezione degli antichi è preziosa per chi sa attingervi la capacita di andare avanti; può invece divenire opprimente e negatrice di ogni progresso se la si vuole considerare definitiva e perfetta. Sotto questo aspetto il Petrarca ci appare più moderno anche di molti umanisti che vennero dopo di lui!

Il Petrarca, però, non comprese compiutamente il grande contributo che stava dando al cammino della civiltà e più volte tentennò, si mostrò insicuro, incerto: tutto questo non è dovuto alla fragilità dell'intelletto, ma piuttosto alla fragilità della coscienza, che forse non seppe affrontare con determinazione il rapporto tra fede e scienza. I turbamenti che ne derivarono non valsero, però, ad inficiare l'apporto positivo che il suo pensiero diede al progresso della cultura e furono invece una fonte preziosa di ispirazione per la sua poesia: senza quel tormento interiore, senza quello che i critici chiamano il suo "dissidio interiore" forse non avremmo avuto quelle pagine meravigliose del "Canzoniere".

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1

Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond'io nudriva 'l core
in sul mio primo giovenile errore
quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono,

del vario stile in ch'io piango et ragiono
fra le vane speranze e 'l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.

Ma ben veggio or sí come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me mesdesmo meco mi vergogno;

et del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,
e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.


2

Per fare una leggiadra sua vendetta
et punire in un dí ben mille offese,
celatamente Amor l'arco riprese,
come huom ch'a nocer luogo et tempo aspetta.

Era la mia virtute al cor ristretta
per far ivi et ne gli occhi sue difese,
quando 'l colpo mortal là giú discese
ove solea spuntarsi ogni saetta.

Però, turbata nel primiero assalto,
non ebbe tanto né vigor né spazio
che potesse al bisogno prender l'arme,

overo al poggio faticoso et alto
ritrarmi accortamente da lo strazio
del quale oggi vorrebbe, et non pò, aitarme.


3

Era il giorno ch'al sol si scoloraro
per la pietà del suo factore i rai,
quando i' fui preso, et non me ne guardai,
ché i be' vostr'occhi, donna, mi legaro.

Tempo non mi parea da far riparo
contra colpi d'Amor: però m'andai
secur, senza sospetto; onde i miei guai
nel commune dolor s'incominciaro.

Trovommi Amor del tutto disarmato
et aperta la via per gli occhi al core,
che di lagrime son fatti uscio et varco:

però al mio parer non li fu honore
ferir me de saetta in quello stato,
a voi armata non mostrar pur l'arco.


4

Que' ch'infinita providentia et arte
mostrò nel suo mirabil magistero,
che crïò questo et quell'altro hemispero,
et mansüeto piú Giove che Marte,

vegnendo in terra a 'lluminar le carte
ch'avean molt'anni già celato il vero,
tolse Giovanni da la rete et Piero,
et nel regno del ciel fece lor parte.

Di sé nascendo a Roma non fe' gratia,
a Giudea sí, tanto sovr'ogni stato
humiltate exaltar sempre gli piacque;

ed or di picciol borgo un sol n'à dato,
tal che natura e 'l luogo si ringratia
onde sí bella donna al mondo nacque.


5

Quando io movo i sospiri a chiamar voi,
e 'l nome che nel cor mi scrisse Amore,
LAUdando s'incomincia udir di fore
il suon de' primi dolci accenti suoi.

Vostro stato REal, che 'ncontro poi,
raddoppia a l'alta impresa il mio valore;
ma: TAci, grida il fin, ché farle honore
è d'altri homeri soma che da' tuoi.

Cosí LAUdare et REverire insegna
la voce stessa, pur ch'altri vi chiami,
o d'ogni reverenza et d'onor degna:

se non che forse Apollo si disdegna
ch'a parlar de' suoi sempre verdi rami
lingua mortal presumptüosa vegna.

6

Sí travïato è 'l folle mi' desio
a seguitar costei che 'n fuga è volta,
et de' lacci d'Amor leggiera et sciolta
vola dinanzi al lento correr mio,

che quanto richiamando piú l'envio
per la secura strada, men m'ascolta:
né mi vale spronarlo, o dargli volta,
ch'Amor per sua natura il fa restio.

Et poi che 'l fren per forza a sé raccoglie,
i' mi rimango in signoria di lui,
che mal mio grado a morte mi trasporta:

sol per venir al lauro onde si coglie
acerbo frutto, che le piaghe altrui
gustando afflige piú che non conforta.


7

La gola e 'l sonno et l'otïose piume
ànno del mondo ogni vertú sbandita,
ond'è dal corso suo quasi smarrita
nostra natura vinta dal costume;

et è sí spento ogni benigno lume
del ciel, per cui s'informa humana vita,
che per cosa mirabile s'addita
chi vòl far d'Elicona nascer fiume.

Qual vaghezza di lauro, qual di mirto?
Povera et nuda vai philosophia,
dice la turba al vil guadagno intesa.

Pochi compagni avrai per l'altra via:
tanto ti prego piú, gentile spirto,
non lassar la magnanima tua impresa.


8

A pie' de' colli ove la bella vesta
prese de le terrene membra pria
la donna che colui ch'a te ne 'nvia
spesso dal somno lagrimando desta,

libere in pace passavam per questa
vita mortal, ch'ogni animal desia,
senza sospetto di trovar fra via
cosa ch'al nostr'andar fosse molesta.

Ma del misero stato ove noi semo
condotte da la vita altra serena
un sol conforto, et de la morte, avemo:

che vendetta è di lui ch'a ciò ne mena,
lo qual in forza altrui presso a l'extremo
riman legato con maggior catena.


9

Quando 'l pianeta che distingue l'ore
ad albergar col Tauro si ritorna,
cade vertú da l'infiammate corna
che veste il mondo di novel colore;

et non pur quel che s'apre a noi di fore,
le rive e i colli, di fioretti adorna,
ma dentro dove già mai non s'aggiorna
gravido fa di sé il terrestro humore,

onde tal fructo et simile si colga:
così costei, ch'è tra le donne un sole,
in me movendo de' begli occhi i rai

crïa d'amor penseri, atti et parole;
ma come ch'ella gli governi o volga,
primavera per me pur non è mai.


10

Glorïosa columna in cui s'appoggia
nostra speranza e 'l gran nome latino,
ch'ancor non torse del vero camino
l'ira di Giove per ventosa pioggia,

qui non palazzi, non theatro o loggia,
ma 'n lor vece un abete, un faggio, un pino
tra l'erba verde e 'l bel monte vicino,
onde si scende poetando et poggia,

levan di terra al ciel nostr'intellecto;
e 'l rosigniuol che dolcemente all'ombra
tutte le notti si lamenta et piagne,

d'amorosi penseri il cor ne 'ngombra:
ma tanto bel sol tronchi, et fai imperfecto,
tu che da noi, signor mio, ti scompagne.


11

Lassare il velo o per sole o per ombra,
donna, non vi vid'io
poi che in me conosceste il gran desio
ch'ogni altra voglia d'entr'al cor mi sgombra.

Mentr'io portava i be' pensier' celati,
ch'ànno la mente desïando morta,
vidivi di pietate ornare il volto;
ma poi ch'Amor di me vi fece accorta,
fuor i biondi capelli allor velati,
et l'amoroso sguardo in sé raccolto.
Quel ch'i' piú desiava in voi m'è tolto:
sí mi governa il velo
che per mia morte, et al caldo et al gielo,
de' be' vostr'occhi il dolce lume adombra.


12

Se la mia vita da l'aspro tormento
si può tanto schermire, et dagli affanni,
ch'i' veggia per vertù de gli ultimi anni,
donna, de' be' vostr'occhi il lume spento,

e i cape' d'oro fin farsi d'argento,
et lassar le ghirlande e i verdi panni,
e 'l viso scolorir che ne' miei danni
a llamentar mi fa pauroso et lento:

pur mi darà tanta baldanza Amore
ch'i' vi discovrirò de' mei martiri
qua' sono stati gli anni, e i giorni et l'ore;

et se 'l tempo è contrario ai be' desiri,
non fia ch'almen non giunga al mio dolore
alcun soccorso di tardi sospiri.


13

Quando fra l'altre donne ad ora ad ora
Amor vien nel bel viso di costei,
quanto ciascuna è men bella di lei
tanto cresce 'l desio che m'innamora.

I' benedico il loco e 'l tempo et l'ora
che sí alto miraron gli occhi mei,
et dico: Anima, assai ringratiar dêi
che fosti a tanto honor degnata allora.

Da lei ti vèn l'amoroso pensero,
che mentre 'l segui al sommo ben t'invia,
pocho prezando quel ch'ogni huom desia;

da lei vien l'animosa leggiadria
ch'al ciel ti scorge per destro sentero,
sí ch'i' vo già de la speranza altero.


14

Occhi miei lassi, mentre ch'io vi giro
nel bel viso di quella che v'à morti,
pregovi siate accorti,
ché già vi sfida Amore, ond'io sospiro.

Morte pò chiuder sola a' miei penseri
l'amoroso camin che gli conduce
al dolce porto de la lor salute;
ma puossi a voi celar la vostra luce
per meno obgetto, perché meno interi
siete formati, et di minor virtute.
Però, dolenti, anzi che sian venute
l'ore del pianto, che son già vicine,
prendete or a la fine
breve conforto a sí lungo martiro.


15

Io mi rivolgo indietro a ciascun passo
col corpo stancho ch'a gran pena porto,
et prendo allor del vostr'aere conforto
che 'l fa gir oltra dicendo: Oimè lasso!

Poi ripensando al dolce ben ch'io lasso,
al camin lungo et al mio viver corto,
fermo le piante sbigottito et smorto,
et gli occhi in terra lagrimando abasso.

Talor m'assale in mezzo a'tristi pianti
un dubbio: come posson queste membra
da lo spirito lor viver lontane?

Ma rispondemi Amor: Non ti rimembra
che questo è privilegio degli amanti,
sciolti da tutte qualitati humane?


16

Movesi il vecchierel canuto et biancho
del dolce loco ov'à sua età fornita
et da la famigliuola sbigottita
che vede il caro padre venir manco;

indi trahendo poi l'antiquo fianco
per l'extreme giornate di sua vita,
quanto piú pò, col buon voler s'aita,
rotto dagli anni, et dal cammino stanco;

et viene a Roma, seguendo 'l desio,
per mirar la sembianza di colui
ch'ancor lassú nel ciel vedere spera:

cosí, lasso, talor vo cerchand'io,
donna, quanto è possibile, in altrui
la disïata vostra forma vera.


17

Piovonmi amare lagrime dal viso
con un vento angoscioso di sospiri,
quando in voi adiven che gli occhi giri
per cui sola dal mondo i' son diviso.

Vero è che 'l dolce mansüeto riso
pur acqueta gli ardenti miei desiri,
et mi sottragge al foco de' martiri,
mentr'io son a mirarvi intento et fiso.

Ma gli spiriti miei s'aghiaccian poi
ch'i' veggio al departir gli atti soavi
torcer da me le mie fatali stelle.

Largata alfin co l'amorose chiavi
l'anima esce del cor per seguir voi;
et con molto pensiero indi si svelle.


18

Quand'io son tutto vòlto in quella parte
ove 'l bel viso di madonna luce,
et m'è rimasa nel pensier la luce
che m'arde et strugge dentro a parte a parte,

i' che temo del cor che mi si parte,
et veggio presso il fin de la mia luce,
vommene in guisa d'orbo, senza luce,
che non sa ove si vada et pur si parte.

Cosí davanti ai colpi de la morte
fuggo: ma non sí ratto che 'l desio
meco non venga come venir sòle.

Tacito vo, ché le parole morte
farian pianger la gente; et i' desio
che le lagrime mie si spargan sole.


19

Son animali al mondo de sí altera
vista che 'ncontra 'l sol pur si difende;
altri, però che 'l gran lume gli offende,
non escon fuor se non verso la sera;

et altri, col desio folle che spera
gioir forse nel foco, perché splende,
provan l'altra vertú, quella che 'encende:
lasso, e 'l mio loco è 'n questa ultima schera.

Ch'i' non son forte ad aspectar la luce
di questa donna, et non so fare schermi
di luoghi tenebrosi, o d' ore tarde:

però con gli occhi lagrimosi e 'nfermi
mio destino a vederla mi conduce;
et so ben ch'i' vo dietro a quel che m'arde.


20

Vergognando talor ch'ancor si taccia,
donna, per me vostra bellezza in rima,
ricorro al tempo ch'i' vi vidi prima,
tal che null'altra fia mai che mi piaccia.

Ma trovo peso non da le mie braccia,
né ovra da polir colla mia lima:
però l'ingegno che sua forza extima
ne l'operatïon tutto s'agghiaccia.

Piú volte già per dir le labbra apersi,
poi rimase la voce in mezzo 'l pecto:
ma qual sòn poria mai salir tant'alto?


Piú volte incominciai di scriver versi:
ma la penna et la mano et l'intellecto
rimaser vinti nel primier assalto.


21

Mille fïate, o dolce mia guerrera,
per aver co' begli occhi vostri pace
v'aggio proferto il cor; mâ voi non piace
mirar sí basso colla mente altera.

Et se di lui fors'altra donna spera,
vive in speranza debile et fallace:
mio, perché sdegno ciò ch'a voi dispiace,
esser non può già mai cosí com'era.

Or s'io lo scaccio, et e' non trova in voi
ne l'exilio infelice alcun soccorso,
né sa star sol, né gire ov'altri il chiama,

poria smarrire il suo natural corso:
che grave colpa fia d'ambeduo noi,
et tanto piú de voi, quanto piú v'ama.


22

A qualunque animale alberga in terra,
se non se alquanti ch'ànno in odio il sole,
tempo da travagliare è quanto è 'l giorno;
ma poi che 'l ciel accende le sue stelle,
qual torna a casa et qual s'anida in selva
per aver posa almeno infin a l'alba.


Et io, da che comincia la bella alba
a scuoter l'ombra intorno de la terra
svegliando gli animali in ogni selva,
non ò mai triegua di sospir' col sole;
pur quand'io veggio fiammeggiar le stelle
vo lagrimando, et disïando il giorno.


Quando la sera scaccia il chiaro giorno,
et le tenebre nostre altrui fanno alba,
miro pensoso le crudeli stelle,
che m'ànno facto di sensibil terra;
et maledico il dí ch'i' vidi 'l sole,
e che mi fa in vista un huom nudrito in selva.

Non credo che pascesse mai per selva
sí aspra fera, o di nocte o di giorno,
come costei ch'i 'piango a l'ombra e al sole;
et non mi stancha primo sonno od alba:
ché, bench'i' sia mortal corpo di terra,
lo mi fermo desir vien da le stelle.


Prima ch'i' torni a voi, lucenti stelle,
o torni giú ne l'amorosa selva,
lassando il corpo che fia trita terra,
vedess'io in lei pietà, che 'n un sol giorno
può ristorar molt'anni, e 'nanzi l'alba
puommi arichir dal tramontar del sole.


Con lei foss'io da che si parte il sole,
et non ci vedess'altri che le stelle,
sol una nocte, et mai non fosse l'alba;
et non se transformasse in verde selva
per uscirmi di braccia, come il giorno
ch'Apollo la seguia qua giú per terra.


Ma io sarò sotterra in secca selva
e 'l giorno andrà pien di minute stelle
prima ch'a sí dolce alba arrivi il sole.


23

Nel dolce tempo de la prima etade,
che nascer vide et anchor quasi in herba
la fera voglia che per mio mal crebbe,
perché cantando il duol si disacerba,
canterò com'io vissi in libertade,
mentre Amor nel mio albergo a sdegno s'ebbe.
Poi seguirò sí come a lui ne 'ncrebbe
troppo altamente, e che di ciò m'avvenne,
di ch'io son facto a molta gente exempio:
benché 'l mio duro scempio
sia scripto altrove, sí che mille penne
ne son già stanche, et quasi in ogni valle
rimbombi il suon de' miei gravi sospiri,
ch'aquistan fede a la penosa vita.
E se qui la memoria non m'aita
come suol fare, iscúsilla i martiri,
et un penser che solo angoscia dàlle,
tal ch'ad ogni altro fa voltar le spalle,
e mi face oblïar me stesso a forza:
ché tèn di me quel d'entro, et io la scorza.

I' dico che dal dí che 'l primo assalto
mi diede Amor, molt'anni eran passati,
sí ch'io cangiava il giovenil aspetto;
e d'intorno al mio cor pensier' gelati
facto avean quasi adamantino smalto
ch'allentar non lassava il duro affetto.
Lagrima anchor non mi bagnava il petto
né rompea il sonno, et quel che in me non era,
mi pareva un miracolo in altrui.
Lasso, che son! che fui!
La vita el fin, e 'l dí loda la sera.
Ché sentendo il crudel di ch'io ragiono
infin allor percossa di suo strale
non essermi passato oltra la gonna,
prese in sua scorta una possente donna,
ver' cui poco già mai mi valse o vale
ingegno, o forza, o dimandar perdono;
e i duo mi trasformaro in quel ch'i' sono,
facendomi d'uom vivo un lauro verde,
che per fredda stagion foglia non perde.

Qual mi fec'io quando primier m'accorsi
de la trasfigurata mia persona,
e i capei vidi far di quella fronde
di che sperato avea già lor corona,
e i piedi in ch'io mi stetti, et mossi, et corsi,
com'ogni membro a l'anima risponde,
diventar due radici sovra l'onde
non di Peneo, ma d'un piú altero fiume,
e n' duo rami mutarsi ambe le braccia!
Né meno anchor m' agghiaccia
l'esser coverto poi di bianche piume
allor che folminato et morto giacque
il mio sperar che tropp'alto montava:
ché perch'io non sapea dove né quando
me 'l ritrovasse, solo lagrimando
là 've tolto mi fu, dí e nocte andava,
ricercando dallato, et dentro a l'acque;
et già mai poi la mia lingua non tacque
mentre poteo del suo cader maligno:
ond'io presi col suon color d'un cigno.

Cosí lungo l'amate rive andai,
che volendo parlar, cantava sempre
mercé chiamando con estrania voce;
né mai in sí dolci o in sí soavi tempre
risonar seppi gli amorosi guai,
che 'l cor s'umilïasse aspro et feroce.
Qual fu a sentir? ché 'l ricordar mi coce:
ma molto piú di quel, che per inanzi
de la dolce et acerba mia nemica
è bisogno ch'io dica,
benché sia tal ch'ogni parlare avanzi.
Questa che col mirar gli animi fura,
m'aperse il petto, e 'l cor prese con mano,
dicendo a me: Di ciò non far parola.
Poi la rividi in altro habito sola,
tal ch'i' non la conobbi, oh senso humano,
anzi le dissi 'l ver pien di paura;
ed ella ne l'usata sua figura
tosto tornando, fecemi, oimè lasso,
d'un quasi vivo et sbigottito sasso.

Ella parlava sí turbata in vista,
che tremar mi fea dentro a quella petra,
udendo: I' non son forse chi tu credi.
E dicea meco: Se costei mi spetra,
nulla vita mi fia noiosa o trista;
a farmi lagrimar, signor mio, riedi.
Come non so: pur io mossi indi i piedi,
non altrui incolpando che me stesso,
mezzo tutto quel dí tra vivo et morto.
Ma perché 'l tempo è corto,
la penna al buon voler non pò gir presso:
onde piú cose ne la mente scritte
vo trapassando, et sol d'alcune parlo
che meraviglia fanno a chi l'ascolta.
Morte mi s'era intorno al cor avolta,
né tacendo potea di sua man trarlo,
o dar soccorso a le vertuti afflitte;
le vive voci m'erano interditte;
ond'io gridai con carta et con incostro:
Non son mio, no. S'io moro, il danno è vostro.

Ben mi credea dinanzi agli occhi suoi
d'indegno far cosí di mercé degno,
et questa spene m'avea fatto ardito:
ma talora humiltà spegne disdegno,
talor l'enfiamma; et ciò sepp'io da poi,
lunga stagion di tenebre vestito:
ch'a quei preghi il mio lume era sparito.
Ed io non ritrovando intorno intorno
ombra di lei, né pur de' suoi piedi orma,
come huom che tra via dorma,
gittaimi stancho sovra l'erba un giorno.
Ivi accusando il fugitivo raggio,
a le lagrime triste allargai 'l freno,
et lasciaile cader come a lor parve;
né già mai neve sotto al sol disparve
com'io sentí' me tutto venir meno,
et farmi una fontana a pie' d'un faggio.
Gran tempo humido tenni quel vïaggio.
Chi udí mai d'uom vero nascer fonte?
E parlo cose manifeste et conte.

L'alma ch'è sol da Dio facta gentile,
ché già d'altrui non pò venir tal gratia,
simile al suo factor stato ritene:
però di perdonar mai non è sacia
a chi col core et col sembiante humile
dopo quantunque offese a mercé vène.
Et se contra suo stile essa sostene
d'esser molto pregata, in Lui si specchia,
et fal perché 'l peccar piú si pavente:
ché non ben si ripente
de l'un mal chi de l'altro s'apparecchia.
Poi che madonna da pietà commossa
degnò mirarme, et ricognovve et vide
gir di pari la pena col peccato,
benigna mi redusse al primo stato.
Ma nulla à 'l mondo in ch'uom saggio si fide:
ch'ancor poi ripregando, i nervi et l'ossa
mi volse in dura selce; et così scossa
voce rimasi de l'antiche some,
chiamando Morte, et lei sola per nome.

Spirto doglioso errante (mi rimembra)
per spelunche deserte et pellegrine,
piansi molt'anni il mio sfrenato ardire:
et anchor poi trovai di quel mal fine,
et ritornai ne le terrene membra,
credo per piú dolore ivi sentire.
I' seguí' tanto avanti il mio desire
ch'un dí cacciando sí com'io solea
mi mossi; e quella fera bella et cruda
in una fonte ignuda
si stava, quando 'l sol piú forte ardea.
Io, perché d'altra vista non m'appago,
stetti a mirarla: ond'ella ebbe vergogna;
et per farne vendetta, o per celarse,
l'acqua nel viso co le man' mi sparse.
Vero dirò (forse e' parrà menzogna)
ch'i' sentí' trarmi de la propria imago,
et in un cervo solitario et vago
di selva in selva ratto mi trasformo:
et anchor de' miei can' fuggo lo stormo.

Canzon, i' non fu' mai quel nuvol d'oro
che poi discese in pretïosa pioggia,
sí che 'l foco di Giove in parte spense;
ma fui ben fiamma ch'un bel guardo accense,
et fui l'uccel che piú per l'aere poggia,
alzando lei che ne' miei detti honoro:
né per nova figura il primo alloro
seppi lassar, ché pur la sua dolce ombra
ogni men bel piacer del cor mi sgombra.


24

Se l'onorata fronde che prescrive
l'ira del ciel, quando 'l gran Giove tona,
non m'avesse disdetta la corona
che suole ornar chi poetando scrive,

i'era amico a queste vostre dive
le qua' vilmente il secolo abandona;
ma quella ingiuria già lunge mi sprona
da l'inventrice de le prime olive:

ché non bolle la polver d'Ethïopia
sotto 'l più ardente sol, com'io sfavillo,
perdendo tanto amata cosa propia.

Cercate dunque fonte piú tranquillo,
ché 'l mio d'ogni liquor sostene inopia,
salvo di quel che lagrimando stillo.


25

Amor piangeva, et io con lui talvolta,
dal qual miei passi non fur mai lontani,
mirando per gli effecti acerbi et strani
l'anima vostra dei suoi nodi sciolta.

Or ch'al dritto camin l'à Dio rivolta,
col cor levando al cielo ambe le mani
ringratio lui che' giusti preghi humani
benignamente, sua mercede, ascolta.

Et se tornando a l'amorosa vita,
per farvi al bel desio volger le spalle,
trovaste per la via fossati o poggi,

fu per mostrar quanto è spinoso calle,
et quanto alpestra et dura la salita,
onde al vero valor conven ch'uom poggi.


26

Piú di me lieta non si vede a terra
nave da l'onde combattuta et vinta,
quando la gente di pietà depinta
su per la riva a ringratiar s'atterra;

né lieto piú del carcer si diserra
chi 'ntorno al collo ebbe la corda avinta,
di me, veggendo quella spada scinta
che fece al segnor mio sí lunga guerra.

Et tutti voi ch'Amor laudate in rima,
al buon testor de gli amorosi detti
rendete honor, ch'era smarrito in prima:

ché piú gloria è nel regno degli electi
d'un spirito converso, et più s'estima,
che di novantanove altri perfecti.


27

Il successor di Karlo, che la chioma
co la corona del suo antiquo adorna,
prese à già l'arme per fiacchar le corna
a Babilonia, et chi da lei si noma;

e 'l vicario de Cristo colla soma
de le chiavi et del manto al nido torna,
sí che s'altro accidente nol distorna,
vedrà Bologna, et poi la nobil Roma.

La mansüeta vostra et gentil agna
abbatte i fieri lupi: et cosí vada
chïunque amor legitimo scompagna.

Consolate lei dunque ch'anchor bada,
et Roma che del suo sposo si lagna,
et per Jesú cingete ormai la spada.


28

O aspectata in ciel beata et bella
anima che di nostra humanitade
vestita vai, non come l'altre carca:
perché ti sian men dure omai le strade,
a Dio dilecta, obedïente ancella,
onde al suo regno di qua giú si varca,
ecco novellamente a la tua barca,
ch'al cieco mondo ha già volte le spalle
per gir al miglior porto,
d'un vento occidental dolce conforto;
lo qual per mezzo questa oscura valle,
ove piangiamo il nostro et l'altrui torto,
la condurrà de' lacci antichi sciolta,
per drittissimo calle,
al verace orïente ov'ella è volta.

Forse i devoti et gli amorosi preghi
et le lagrime sancte de' mortali
son giunte inanzi a la pietà superna;
et forse non fur mai tante né tali
che per merito lor punto si pieghi
fuor de suo corso la giustitia eterna;
ma quel benigno re che 'l ciel governa
al sacro loco ove fo posto in croce
gli occhi per gratia gira,
onde nel petto al novo Karlo spira
la vendetta ch'a noi tardata nòce,
sí che molt'anni Europa ne sospira:
cosí soccorre a la sua amata sposa
tal che sol de la voce
fa tremar Babilonia, et star pensosa.

Chïunque alberga tra Garona e 'l monte
e 'ntra 'l Rodano e 'l Reno et l'onde salse
le 'nsegne cristianissime accompagna;
et a cui mai di vero pregio calse,
del Pireneo a l'ultimo orizonte
con Aragon lassarà vòta Hispagna;
Inghilterra con l'isole che bagna
l'Occeano intra 'l Carro et le Colonne,
infin là dove sona
doctrina del sanctissimo Elicona,
varie di lingue et d'arme, et de le gonne,
a l'alta impresa caritate sprona.
Deh qual amor sí licito o sí degno,
qua' figli mai, qua' donne
furon materia a sí giusto disdegno?

Una parte del mondo è che si giace
mai sempre in ghiaccio et in gelate nevi
tutta lontana dal camin del sole:
là sotto i giorni nubilosi et brevi,
nemica natural-mente di pace,
nasce una gente a cui il morir non dole.
Questa se, piú devota che non sòle,
col tedesco furor la spada cigne,
turchi, arabi et caldei,
con tutti quei che speran nelli dèi
di qua dal mar che fa l'onde sanguigne,
quanto sian da prezzar, conoscer dêi:
popolo ignudo paventoso et lento,
che ferro mai non strigne,
ma tutt'i colpi suoi commette al vento.

Dunque ora è 'l tempo da ritrare il collo
dal giogo antico, et da squarciare il velo
ch'è stato avolto intorno agli occhi nostri,
et che 'l nobile ingegno che dal cielo
per gratia tien' de l'immortale Apollo,
et l'eloquentia sua vertú qui mostri
or con la lingua, or co'laudati incostri:
perché d'Orpheo leggendo et d'Amphïone
se non ti meravigli,
assai men fia ch'Italia co' suoi figli
si desti al suon del tuo chiaro sermone,
tanto che per Jesú la lancia pigli;
che s'al ver mira questa anticha madre,
in nulla sua tentione
fur mai cagion sí belle o sí leggiadre.

Tu ch'ài, per arricchir d'un bel thesauro,
volte le antiche et le moderne carte,
volando al ciel colla terrena soma,
sai da l'imperio del figliuol de Marte
al grande Augusto che di verde lauro
tre volte trïumphando ornò la chioma,
ne l'altrui ingiurie del suo sangue Roma
spesse fïate quanto fu cortese:
et or perché non fia
cortese no, ma conoscente et pia
a vendicar le dispietate offese,
col figliuol glorïoso di Maria?
Che dunque la nemica parte spera
ne l'umane difese,
se Cristo sta da la contraria schiera?

Pon' mente al temerario ardir di Xerse,
che fece per calcare i nostri liti
di novi ponti oltraggio a la marina;
et vedrai ne la morte de' mariti
tutte vestite a brun le donne perse,
et tinto in rosso il mar di Salamina.
Et non pur questa misera rüina
del popol infelice d'orïente
victoria t'empromette,
ma Marathona, et le mortali strette
che difese il leon con poca gente,
et altre mille ch'ài ascoltate et lette:
Perché inchinare a Dio molto convene
le ginocchia et la mente,
che gli anni tuoi riserva a tanto bene.

Tu vedrai Italia et l'onorata riva,
canzon, ch'agli occhi miei cela et contende
non mar, non poggio o fiume,
ma solo Amor che del suo altero lume
piú m'invaghisce dove piú m'incende:
né Natura può star contra'l costume.
Or movi, non smarrir l'altre compagne,
ché non pur sotto bende
alberga Amor, per cui si ride et piagne.


29

Verdi panni, sanguigni, oscuri o persi
non vestí donna unquancho
né d'or capelli in bionda treccia attorse,
sí bella com'è questa che mi spoglia
d'arbitrio, et dal camin de libertade
seco mi tira, sí ch'io non sostegno
alcun giogo men grave.

Et se pur s'arma talor a dolersi
l'anima a cui vien mancho
consiglio, ove 'l martir l'adduce in forse,
rappella lei da la sfrenata voglia
súbita vista, ché del cor mi rade
ogni delira impresa, et ogni sdegno
fa 'l veder lei soave.

Di quanto per Amor già mai soffersi,
et aggio a soffrir ancho,
fin che mi sani 'l cor colei che 'l morse,
rubella di mercé, che pur l'envoglia,
vendetta fia, sol che contra Humiltade
Orgoglio et Ira il bel passo ond'io vegno
non chiuda et non inchiave.

Ma l'ora e 'l giorno ch'io le luci apersi
nel bel nero et nel biancho
che mi scacciâr di là dove Amor corse,
novella d'esta vita che m' addoglia
furon radice, et quella in cui l'etade
nostra si mira, la qual piombo o legno
vedendo è chi non pave.

Lagrima dunque che da gli occhi versi
per quelle, che nel mancho
lato mi bagna chi primier s'accorse,
quadrella, dal voler mio non mi svoglia,
ché 'n giusta parte la sententia cade:
per lei sospira l'alma, et ella è degno
che le sue piaghe lave.

Da me son fatti i miei pensier' diversi:
tal già, qual io mi stancho,
l'amata spada in se stessa contorse;
né quella prego che però mi scioglia,
ché men son dritte al ciel tutt'altre strade
et non s'aspira al glorïoso regno
certo in piú salda nave.

Benigne stelle che compagne fersi
al fortunato fianco
quando 'l bel parto giú nel mondo scórse!
ch'è stella in terra, et come in lauro foglia
conserva verde il pregio d'onestade,
ove non spira folgore, né indegno
vento mai che l'aggrave.

So io ben ch'a voler chiuder in versi
suo laudi, fôra stancho
chi piú degna la mano a scriver porse:
qual cella è di memoria in cui s'accoglia
quanta vede vertú, quanta beltade,
chi gli occhi mira d'ogni valor segno,
dolce del mio cor chiave?

Quando il sol gira, Amor piú caro pegno,
donna, di voi non ave.


30

Giovene donna sotto un verde lauro
vidi più biancha et piú fredda che neve
non percossa dal sol molti et molt'anni;
e 'l suo parlare, e 'l bel viso, et le chiome
mi piacquen sí ch'i' l'ò dinanzi agli occhi,
ed avrò sempre, ov'io sia, in poggio o 'n riva.

Allor saranno i miei pensier a riva
che foglia verde non si trovi in lauro;
quando avrò queto il core, asciutti gli occhi,
vedrem ghiacciare il foco, arder la neve:
non ò tanti capelli in queste chiome
quanti vorrei quel giorno attender anni.

Ma perché vola il tempo, et fuggon gli anni,
sí ch'a la morte in un punto s'arriva,
o colle brune o colle bianche chiome,
seguirò l'ombra di quel dolce lauro
per lo piú ardente sole et per la neve,
fin che l'ultimo dí chiuda quest'occhi.

Non fur già mai veduti sí begli occhi
o ne la nostra etade o ne' prim'anni,
che mi struggon cosí come 'l sol neve;
onde procede lagrimosa riva
ch'Amor conduce a pie' del duro lauro
ch'à i rami di diamante, et d'òr le chiome.

I' temo di cangiar pria volto et chiome
che con vera pietà mi mostri gli occhi
l'idolo mio, scolpito in vivo lauro:
ché s'al contar non erro, oggi à sett'anni
che sospirando vo di riva in riva
la notte e 'l giorno, al caldo ed a la neve.

Dentro pur foco, et for candida neve,
sol con questi pensier', con altre chiome,
sempre piangendo andrò per ogni riva,
per far forse pietà venir negli occhi
di tal che nascerà dopo mill'anni,
se tanto viver pò ben cólto lauro.

L'auro e i topacii al sol sopra la neve
vincon le bionde chiome presso agli occhi
che menan gli anni miei sí tosto a riva.


31

Questa anima gentil che si diparte,
anzi tempo chiamata a l'altra vita,
se lassuso è quanto esser dê gradita,
terrà del ciel la piú beata parte.

S'ella riman fra 'l terzo lume et Marte,
fia la vista del sole scolorita,
poi ch'a mirar sua bellezza infinita
l'anime degne intorno a lei fien sparte.

Se si posasse sotto al quarto nido,
ciascuna de le tre saria men bella,
et essa sola avria la fama e 'l grido;

nel quinto giro non habitrebbe ella;
ma se vola piú alto, assai mi fido
che con Giove sia vinta ogni altra stella.


32

Quanto piú m'avicino al giorno extremo
che l'umana miseria suol far breve,
piú veggio il tempo andar veloce et leve,
e 'l mio di lui sperar fallace et scemo.

I' dico a' miei pensier': Non molto andremo
d'amor parlando omai, ché 'l duro et greve
terreno incarco come frescha neve
si va struggendo; onde noi pace avremo:

perché co llui cadrà quella speranza
che ne fe' vaneggiar sí lungamente,
e 'l riso e 'l pianto, et la paura et l'ira;

sí vedrem chiaro poi come sovente
per le cose dubbiose altri s'avanza,
et come spesso indarno si sospira.


33

Già fiammeggiava l'amorosa stella
per l'orïente, et l'altra che Giunone
suol far gelosa nel septentrïone,
rotava i raggi suoi lucente et bella;

levata era a filar la vecchiarella,
discinta et scalza, et desto avea 'l carbone,
et gli amanti pungea quella stagione
che per usanza a lagrimar gli appella:

quando mia speme già condutta al verde
giunse nel cor, non per l'usata via,
che 'l sonno tenea chiusa, e 'l dolor molle;

quanto cangiata, oimè, da quel di pria!
Et parea dir: Perché tuo valor perde?
Veder quest'occhi anchor non ti si tolle.


34

Apollo, s'anchor vive il bel desio
che t'infiammava a le thesaliche onde,
et se non ài l'amate chiome bionde,
volgendo gli anni, già poste in oblio:

dal pigro gielo et dal tempo aspro et rio,
che dura quanto 'l tuo viso s'asconde,
difendi or l'onorata et sacra fronde,
ove tu prima, et poi fu' invescato io;

et per vertú de l'amorosa speme,
che ti sostenne ne la vita acerba,
di queste impressïon l'aere disgombra;

sí vedrem poi per meraviglia inseme
seder la donna nostra sopra l'erba,
et far de le sue braccia a se stessa ombra.


35

Solo et pensoso i piú deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l'arena stampi.

Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d'alegrezza spenti
di fuor si legge com'io dentro avampi:

sí ch'io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch'è celata altrui.

Ma pur sí aspre vie né sí selvagge
cercar non so ch'Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co llui.


36

S'io credesse per morte essere scarco
del pensiero amoroso che m'atterra,
colle mie mani avrei già posto in terra
queste mie membra noiose, et quello incarco;

ma perch'io temo che sarrebbe un varco
di pianto in pianto, et d'una in altra guerra,
di qua dal passo anchor che mi si serra
mezzo rimango, lasso, et mezzo il varco.

Tempo ben fôra omai d'avere spinto
l'ultimo stral la dispietata corda
ne l'altrui sangue già bagnato et tinto;

et io ne prego Amore, et quella sorda
che mi lassò de' suoi color' depinto,
et di chiamarmi a sé non le ricorda.


37

Sí è debile il filo a cui s'attene
la gravosa mia vita
che, s'altri non l'aita,
ella fia tosto di suo corso a riva;
però che dopo l'empia dipartita
che dal dolce mio bene
feci, sol una spene
è stato infin a qui cagion ch'io viva,
dicendo: Perché priva
sia de l'amata vista,
mantienti, anima trista;
che sai s'a miglior tempo ancho ritorni
et a piú lieti giorni,
o se 'l perduto ben mai si racquista?
Questa speranza mi sostenne un tempo:
or vien mancando, et troppo in lei m'attempo.

Il tempo passa, et l'ore son sí pronte
a fornire il vïaggio,
ch'assai spacio non aggio
pur a pensar com'io corro a la morte:
a pena spunta in orïente un raggio
di sol, ch'a l'altro monte
de l'adverso orizonte
giunto il vedrai per vie lunghe et distorte.
Le vite son sí corte,
sí gravi i corpi et frali
degli uomini mortali,
che quando io mi ritrovo dal bel viso
cotanto esser diviso,
col desio non possendo mover l'ali,
poco m'avanza del conforto usato,
né so quant'io mi viva in questo stato.

Ogni loco m'atrista ov'io non veggio
quei begli occhi soavi
che portaron le chiavi
de' miei dolci pensier', mentre a Dio piacque;
et perché 'l duro exilio piú m'aggravi,
s'io dormo o vado o seggio,
altro già mai non cheggio,
et ciò ch'i' vidi dopo lor mi spiacque.
Quante montagne et acque,
quanto mar, quanti fiumi
m'ascondon que' duo lumi,
che quasi un bel sereno a mezzo 'l die
fer le tenebre mie,
a ciò che 'l rimembrar piú mi consumi,
et quanto era mia vita allor gioiosa
m'insegni la presente aspra et noiosa!

Lasso, se ragionando si rinfresca
quel' ardente desio
che nacque il giorno ch'io
lassai di me la miglior parte a dietro,
et s'Amor se ne va per lungo oblio,
chi mi conduce a l'ésca,
onde 'l mio dolor cresca?
Et perché pria tacendo non m'impetro?
Certo cristallo o vetro
non mostrò mai di fore
nascosto altro colore,
che l'alma sconsolata assai non mostri
piú chiari i pensier' nostri,
et la fera dolcezza ch'è nel core,
per gli occhi che di sempre pianger vaghi
cercan dí et nocte pur chi glien'appaghi.

Novo piacer che ne gli umani ingegni
spesse volte si trova,
d'amar qual cosa nova
piú folta schiera di sospiri accoglia!
Et io son un di quei che 'l pianger giova;
et par ben ch'io m'ingegni
che di lagrime pregni
sien gli occhi miei sí come 'l cor di doglia;
et perché a cciò m'invoglia
ragionar de' begli occhi,
né cosa è che mi tocchi
o sentir mi si faccia cosí a dentro,
corro spesso, et rïentro,
colà donde piú largo il duol trabocchi,
et sien col cor punite ambe le luci,
ch'a la strada d'Amor mi furon duci.

Le treccie d'òr che devrien fare il sole
d'invidia molta ir pieno,
e 'l bel guardo sereno,
ove i raggi d'Amor sí caldi sono
che mi fanno anzi tempo venir meno,
et l'accorte parole,
rade nel mondo o sole,
che mi fer già di sé cortese dono,
mi son tolte; et perdono
piú lieve ogni altra offesa,
che l'essermi contesa
quella benigna angelica salute
che 'l mio cor a vertute
destar solea con una voglia accesa:
tal ch'io non penso udir cosa già mai
che mi conforte ad altro ch'a trar guai.

Et per pianger anchor con piú diletto,
le man' bianche sottili
et le braccia gentili,
et gli atti suoi soavemente alteri,
e i dolci sdegni alteramente humili,
e 'l bel giovenil petto,
torre d'alto intellecto,
mi celan questi luoghi alpestri et feri;
et non so s'io mi speri
vederla anzi ch'io mora:
però ch'ad ora ad ora
s'erge la speme, et poi non sa star ferma,
ma ricadendo afferma
di mai non veder lei che 'l ciel honora,
ov'alberga Honestade et Cortesia,
et dov'io prego che 'l mio albergo sia.

Canzon, s'al dolce loco
la donna nostra vedi,
credo ben che tu credi
ch'ella ti porgerà la bella mano,
ond'io son sí lontano.
Non la toccar; ma reverente ai piedi
le di' ch'io sarò là tosto ch'io possa,
o spirto ignudo od uom di carne et d'ossa.


38

Orso, e' non furon mai fiumi né stagni,
né mare, ov'ogni rivo si disgombra,
né di muro o di poggio o di ramo ombra,
né nebbia che 'l ciel copra e 'l mondo bagni,

né altro impedimento, ond'io mi lagni,
qualunque piú l'umana vista ingombra,
quanto d'un vel che due begli occhi adombra,
et par che dica: Or ti consuma et piagni.

Et quel lor inchinar ch'ogni mia gioia
spegne o per humiltate o per argoglio,
cagion sarà che 'nanzi tempo i' moia.

Et d'una bianca mano ancho mi doglio,
ch'è stata sempre accorta a farmi noia,
et contra gli occhi miei s'è fatta scoglio.


39

Io temo sí de' begli occhi l'assalto
ne' quali Amore et la mia morte alberga,
ch'i' fuggo lor come fanciul la verga,
et gran tempo è ch'i' presi il primier salto.

Da ora inanzi faticoso od alto
loco non fia, dove 'l voler non s'erga
per no scontrar chî miei sensi disperga
lassando come suol me freddo smalto.

Dunque s'a veder voi tardo mi volsi
per non ravvicinarmi a chi mi strugge,
fallir forse non fu di scusa indegno.

Piú dico, che 'l tornare a quel ch'uom fugge,
e 'l cor che di paura tanta sciolsi,
fur de la mia fede non leggier pegno.


40

S'Amore o Morte non dà qualche stroppio
a la tela novella ch'ora ordisco,
et s'io mi svolvo dal tenace visco,
mentre che l'un coll'altro vero accoppio,

i' farò forse un mio lavor sí doppio
tra lo stil de' moderni e 'l sermon prisco,
che, paventosamente a dirlo ardisco,
infin a Roma n'udirai lo scoppio.

Ma però che mi mancha a fornir l'opra
alquanto de le fila benedette
ch'avanzaro a quel mio dilecto padre,

perché tien' verso me le man' sí strette,
contra tua usanza? I' prego che tu l'opra,
e vedrai rïuscir cose leggiadre.


FRANCESCO PETRARCA:

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41

Quando dal proprio sito si rimove
l'arbor ch'amò già Phebo in corpo humano,
sospira et suda a l'opera Vulcano,
per rinfrescar l'aspre saette a Giove:

il qual or tona, or nevicha et or piove,
senza honorar piú Cesare che Giano;
la terra piange, e 'l sol ci sta lontano,
che la sua cara amica ved'altrove.

Allor riprende ardir Saturno et Marte,
crudeli stelle, et Orïone armato
spezza a' tristi nocchier' governi et sarte;

Eolo a Neptuno et a Giunon turbato
fa sentire, et a noi, come si parte
il bel viso dagli angeli aspectato.


42

Ma poi che 'l dolce riso humile et piano
piú non asconde sue bellezze nove,
le braccia a la fucina indarno move
l'antiquissimo fabbro ciciliano,

ch'a Giove tolte son l'arme di mano
temprate in Mongibello a tutte prove,
et sua sorella par che si rinove
nel bel guardo d'Apollo a mano a mano.

Del lito occidental si move un fiato,
che fa securo il navigar senza arte,
et desta i fior' tra l'erba in ciascun prato.

Stelle noiose fuggon d'ogni parte,
disperse dal bel viso inamorato,
per cui lagrime molte son già sparte.


43

Il figliuol di Latona avea già nove
volte guardato dal balcon sovrano,
per quella ch'alcun tempo mosse invano
i suoi sospiri, et or gli altrui commove.

Poi che cercando stanco non seppe ove
s'albergasse, da presso o di lontano,
mostrossi a noi qual huom per doglia insano,
che molto amata cosa non ritrove.

Et cosí tristo standosi in disparte,
tornar non vide il viso, che laudato
sarà s'io vivo in piú di mille carte;

et pietà lui medesmo avea cangiato,
sí che' begli occhi lagrimavan parte:
però l'aere ritenne il primo stato.


44

Que'che 'n Tesaglia ebbe le man' sí pronte
a farla del civil sangue vermiglia,
pianse morto il marito di sua figlia,
raffigurato a le fatezze conte;

e 'l pastor ch'a Golia ruppe la fronte,
pianse la ribellante sua famiglia,
et sopra 'l buon Saúl cangiò le ciglia,
ond'assai può dolersi il fiero monte.

Ma voi che mai pietà non discolora,
et ch'avete gli schermi sempre accorti
contra l'arco d'Amor che 'ndarno tira,

mi vedete straziare a mille morti:
né lagrima però discese anchora
da' be' vostr'occhi, ma disdegno et ira.


45

Il mio adversario in cui veder solete
gli occhi vostri ch'Amore e 'l ciel honora,
colle non sue bellezze v'innamora
piú che 'n guisa mortal soavi et liete.

Per consiglio di lui, donna, m'avete
scacciato del mio dolce albergo fora:
misero exilio, avegna ch'i' non fôra
d'abitar degno ove voi sola siete.

Ma s'io v'era con saldi chiovi fisso,
non devea specchio farvi per mio danno,
a voi stessa piacendo, aspra et superba.

Certo, se vi rimembra di Narcisso,
questo et quel corso ad un termino vanno,
benché di sí bel fior sia indegna l'erba.


46

L'oro et le perle e i fior' vermigli e i bianchi,
che 'l verno devria far languidi et secchi,
son per me acerbi et velenosi stecchi,
ch'io provo per lo petto et per li fianchi.

Però i dí miei fien lagrimosi et manchi,
ché gran duol rade volte aven che 'nvecchi:
ma piú ne colpo i micidiali specchi,
che 'n vagheggiar voi stessa avete stanchi.

Questi poser silentio al signor mio,
che per me vi pregava, ond'ei si tacque,
veggendo in voi finir vostro desio;

questi fuor fabbricati sopra l'acque
d'abisso, et tinti ne l'eterno oblio,
onde 'l principio de mia morte nacque.


47

Io sentia dentr'al cor già venir meno
gli spirti che da voi ricevon vita;
et perché natural-mente s'aita
contra la morte ogni animal terreno,

largai 'l desio, ch'i teng'or molto a freno,
et misil per la via quasi smarrita:
però che dí et notte indi m'invita,
et io contra sua voglia altronde 'l meno.

Et mi condusse, vergognoso et tardo,
a riveder gli occhi leggiadri, ond'io
per non esser lor grave assai mi guardo.

Vivrommi un tempo omai, ch'al viver mio
tanta virtute à sol un vostro sguardo;
et poi morrò, s'io non credo al desio.


48

Se mai foco per foco non si spense,
né fiume fu già mai secco per pioggia,
ma sempre l'un per l'altro simil poggia,
et spesso l'un contrario l'altro accense,

Amor, tu che' pensier' nostri dispense,
al qual un'alma in duo corpi s'appoggia,
perché fai in lei con disusata foggia
men per molto voler le voglie intense?

Forse sí come 'l Nil d'alto caggendo
col gran suono i vicin' d'intorno assorda,
e 'l sole abbaglia chi ben fiso 'l guarda,

cosí 'l desio che seco non s'accorda,
ne lo sfrenato obiecto vien perdendo,
et per troppo spronar la fuga è tarda.


49

Perch'io t'abbia guardato di menzogna
a mio podere et honorato assai,
ingrata lingua, già però non m'ài
renduto honor, ma facto ira et vergogna:

ché quando piú 'l tuo aiuto mi bisogna
per dimandar mercede, allor ti stai
sempre piú fredda, et se parole fai,
son imperfecte, et quasi d'uom che sogna.

Lagrime triste, et voi tutte le notti
m'accompagnate, ov'io vorrei star solo,
poi fuggite dinanzi a la mia pace;

et voi sí pronti a darmi angoscia et duolo,
sospiri, allor traete lenti et rotti:
sola la vista mia del cor non tace.


50

Ne la stagion che 'l ciel rapido inchina
verso occidente, et che 'l dí nostro vola
a gente che di là forse l'aspetta,
veggendosi in lontan paese sola,
la stancha vecchiarella pellegrina
raddoppia i passi, et piú et piú s'affretta;
et poi cosí soletta
al fin di sua giornata
talora è consolata
d'alcun breve riposo, ov'ella oblia
la noia e 'l mal de la passata via.
Ma, lasso, ogni dolor che 'l dí m'adduce
cresce qualor s'invia
per partirsi da noi l'eterna luce.

Come 'l sol volge le 'nfiammate rote
per dar luogo a la notte, onde discende
dagli altissimi monti maggior l'ombra,
l'avaro zappador l'arme riprende,
et con parole et con alpestri note
ogni gravezza del suo petto sgombra;
et poi la mensa ingombra
di povere vivande,
simili a quelle ghiande,
le qua' fuggendo tutto 'l mondo honora.
Ma chi vuol si rallegri ad ora ad ora,
ch'i' pur non ebbi anchor, non dirò lieta,
ma riposata un'hora,
né per volger di ciel né di pianeta.

Quando vede 'l pastor calare i raggi
del gran pianeta al nido ov'egli alberga,
e 'nbrunir le contrade d'orïente,
drizzasi in piedi, et co l'usata verga,
lassando l'erba et le fontane e i faggi,
move la schiera sua soavemente;
poi lontan da la gente
o casetta o spelunca
di verdi frondi ingiuncha:
ivi senza pensier' s'adagia et dorme.
Ahi crudo Amor, ma tu allor piú mi 'nforme
a seguir d'una fera che mi strugge,
la voce e i passi et l'orme,
et lei non stringi che s'appiatta et fugge.

E i naviganti in qualche chiusa valle
gettan le menbra, poi che 'l sol s'asconde,
sul duro legno, et sotto a l'aspre gonne.
Ma io, perché s'attuffi in mezzo l'onde,
et lasci Hispagna dietro a le sue spalle,
et Granata et Marroccho et le Colonne,
et gli uomini et le donne
e 'l mondo et gli animali
aquetino i lor mali,
fine non pongo al mio obstinato affanno;
et duolmi ch'ogni giorno arroge al danno,
ch'i' son già pur crescendo in questa voglia
ben presso al decim'anno,
né poss'indovinar chi me ne scioglia.

Et perché un poco nel parlar mi sfogo,
veggio la sera i buoi tornare sciolti
da le campagne et da' solcati colli:
i miei sospiri a me perché non tolti
quando che sia? perché no 'l grave giogo?
perché dí et notte gli occhi miei son molli?
Misero me, che volli
quando primier sí fiso
gli tenni nel bel viso
per iscolpirlo imaginando in parte
onde mai né per forza né per arte
mosso sarà, fin ch'i' sia dato in preda
a chi tutto diparte!
Né so ben ancho che di lei mi creda.

Canzon, se l'esser meco
dal matino a la sera
t'à fatto di mia schiera,
tu non vorrai mostrarti in ciascun loco;
et d'altrui loda curerai sí poco,
ch'assai ti fia pensar di poggio in poggio
come m'à concio 'l foco
di questa viva petra, ov'io m'appoggio.


51

Poco era ad appressarsi agli occhi miei
la luce che da lunge gli abbarbaglia,
che, come vide lei cangiar Thesaglia,
cosí cangiato ogni mia forma avrei.

Et s'io non posso transformarmi in lei
piú ch'i' mi sia (non ch'a mercé mi vaglia),
di qual petra piú rigida si 'ntaglia
pensoso ne la vista oggi sarei,

o di diamante, o d'un bel marmo biancho,
per la paura forse, o d'un dïaspro,
pregiato poi dal vulgo avaro et scioccho;

et sarei fuor del grave giogo et aspro,
per cui i' ò invidia di quel vecchio stancho
che fa con le sue spalle ombra a Marroccho.


52

Non al suo amante piú Dïana piacque,
quando per tal ventura tutta ignuda
la vide in mezzo de le gelide acque,

ch'a me la pastorella alpestra et cruda
posta a bagnar un leggiadretto velo,
ch'a l'aura il vago et biondo capel chiuda,

tal che mi fece, or quand'egli arde 'l cielo,
tutto tremar d'un amoroso gielo.


53

Spirto gentil, che quelle membra reggi
dentro le qua' peregrinando alberga
un signor valoroso, accorto et saggio,
poi che se' giunto a l'onorata verga
colla qual Roma et i suoi erranti correggi,
et la richiami al suo antiquo vïaggio,
io parlo a te, però ch'altrove un raggio
non veggio di vertú, ch'al mondo è spenta,
né trovo chi di mal far si vergogni.
Che s'aspetti non so, né che s'agogni,
Italia, che suoi guai non par che senta:
vecchia, otïosa et lenta,
dormirà sempre, et non fia chi la svegli?
Le man' l'avess'io avolto entro' capegli.

Non spero che già mai dal pigro sonno
mova la testa per chiamar ch'uom faccia,
sí gravemente è oppressa et di tal soma;
ma non senza destino a le tue braccia,
che scuoter forte et sollevarla ponno,
è or commesso il nostro capo Roma.
Pon' man in quella venerabil chioma
securamente, et ne le treccie sparte,
sí che la neghittosa esca del fango.
I' che dí et notte del suo strazio piango,
di mia speranza ò in te la maggior parte:
che se 'l popol di Marte
devesse al proprio honore alzar mai gli occhi,
parmi pur ch'a' tuoi dí la gratia tocchi.

L'antiche mura ch'anchor teme et ama
et trema 'l mondo, quando si rimembra
del tempo andato e 'n dietro si rivolve,
e i sassi dove fur chiuse le membra
di ta' che non saranno senza fama,
se l'universo pria non si dissolve,
et tutto quel ch'una ruina involve,
per te spera saldar ogni suo vitio.
O grandi Scipïoni, o fedel Bruto,
quanto v'aggrada, s'egli è anchor venuto
romor là giú del ben locato officio!
Come cre' che Fabritio
si faccia lieto, udendo la novella!
Et dice: Roma mia sarà anchor bella.

Et se cosa di qua nel ciel si cura,
l'anime che lassú son citadine,
et ànno i corpi abandonati in terra,
del lungo odio civil ti pregan fine,
per cui la gente ben non s'assecura,
onde 'l camin a' lor tecti si serra:
che fur già sí devoti, et ora in guerra
quasi spelunca di ladron' son fatti,
tal ch'a' buon' solamente uscio si chiude,
et tra gli altari et tra le statue ignude
ogni impresa crudel par che se tratti.
Deh quanto diversi atti!
Né senza squille s'incommincia assalto,
che per Dio ringraciar fur poste in alto.

Le donne lagrimose, e 'l vulgo inerme
de la tenera etate, e i vecchi stanchi
ch'ànno sé in odio et la soverchia vita,
e i neri fraticelli e i bigi e i bianchi,
coll'altre schiere travagliate e 'nferme,
gridan: O signor nostro, aita, aita.
Et la povera gente sbigottita
ti scopre le sue piaghe a mille a mille,
ch'Anibale, non ch'altri, farian pio.
Et se ben guardi a la magion di Dio
ch'arde oggi tutta, assai poche faville
spegnendo, fien tranquille
le voglie, che si mostran sí 'nfiammate,
onde fien l'opre tue nel ciel laudate.

Orsi, lupi, leoni, aquile et serpi
ad una gran marmorea colomna
fanno noia sovente, et a sé danno.
Di costor piange quella gentil donna
che t'à chiamato a ciò che di lei sterpi
le male piante, che fiorir non sanno.
Passato è già piú che 'l millesimo anno
che 'n lei mancâr quell'anime leggiadre
che locata l'avean là dov'ell'era.
Ahi nova gente oltra misura altera,
irreverente a tanta et a tal madre!
Tu marito, tu padre:
ogni soccorso di tua man s'attende,
ché 'l maggior padre ad altr'opera intende.

Rade volte adiven ch'a l'alte imprese
fortuna ingiurïosa non contrasti,
ch'agli animosi fatti mal s'accorda.
Ora sgombrando 'l passo onde tu intrasti,
famisi perdonar molt'altre offese,
ch'almen qui da se stessa si discorda:
però che, quanto 'l mondo si ricorda,
ad huom mortal non fu aperta la via
per farsi, come a te, di fama eterno,
che puoi drizzar, s'i' non falso discerno,
in stato la piú nobil monarchia.
Quanta gloria ti fia
dir: Gli altri l'aitâr giovene et forte;
questi in vecchiezza la scampò da morte.

Sopra 'l monte Tarpeio, canzon, vedrai
un cavalier, ch'Italia tutta honora,
pensoso piú d'altrui che di se stesso.
Digli: Un che non ti vide anchor da presso,
se non come per fama huom s'innamora,
dice che Roma ognora
con gli occhi di dolor bagnati et molli
ti chier mercé da tutti sette i colli.


54

Perch'al viso d'Amor portava insegna,
mosse una pellegrina il mio cor vano,
ch'ogni altra mi parea d'onor men degna.

Et lei seguendo su per l'erbe verdi,
udí' dir alta voce di lontano:
Ahi, quanti passi per la selva perdi!

Allor mi strinsi a l'ombra d'un bel faggio,
tutto pensoso; et rimirando intorno,
vidi assai periglioso il mio vïaggio;

et tornai indietro quasi a mezzo 'l giorno.


55

Quel foco ch'i' pensai che fosse spento
dal freddo tempo et da l'età men fresca,
fiamma et martir ne l'anima rinfresca.

Non fur mai tutte spente, a quel ch'i' veggio,
ma ricoperte alquanto le faville,
et temo no 'l secondo error sia peggio.
Per lagrime ch'i' spargo a mille a mille
conven che 'l duol per gli occhi si distille
dal cor, ch'à seco le faville et l'ésca:
non pur qual fu, ma pare a me che cresca.

Qual foco non avrian già spento et morto
l'onde che gli occhi tristi versan sempre?
Amor, avegna mi sia tardi accorto,
vòl che tra duo contrari mi distempre;
et tende lacci in sí diverse tempre,
che quand'ò piú speranza che 'l cor n'esca,
allor piú nel bel viso mi rinvesca.


56

Se col cieco desir che 'l cor distrugge
contando l'ore no m'inganno io stesso,
ora mentre ch'io parlo il tempo fugge
ch'a me fu inseme et a mercé promesso.

Qual ombra è sí crudel che 'l seme adugge,
ch'al disïato frutto era sí presso?
et dentro dal mio ovil qual fera rugge?
tra la spiga et la man qual muro è messo?

Lasso, nol so; ma sí conosco io bene
che per far piú dogliosa la mia vita
amor m'addusse in sí gioiosa spene.

Et or di quel ch'i' ò lecto mi sovene,
che 'nanzi al dí de l'ultima partita
huom beato chiamar non si convene.


57

Mie venture al venir son tarde et pigre,
la speme incerta, e 'l desir monta et cresce,
onde e 'l lassare et l'aspectar m'incresce;
et poi al partir son piú levi che tigre.

Lasso, le nevi fien tepide et nigre,
e 'l mar senz'onda, et per l'alpe ogni pesce,
et corcherassi il sol là oltre ond'esce
d'un medesimo fonte Eufrate et Tigre,

prima ch'i' trovi in ciò pace né triegua,
o Amore o madonna altr'uso impari,
che m'ànno congiurato a torto incontra.

Et s'i' ò alcun dolce, è dopo tanti amari,
che per disdegno il gusto si dilegua:
altro mai di lor gratie non m'incontra.


58

La guancia che fu già piangendo stancha
riposate su l'un, signor mio caro,
et siate ormai di voi stesso piú avaro
a quel crudel che ' suoi seguaci imbiancha.

Coll'altro richiudete da man mancha
la strada a' messi suoi ch'indi passaro,
mostrandovi un d'agosto et di genaro,
perch'a la lunga via tempo ne mancha.

E col terzo bevete un suco d'erba
che purghe ogni pensier che 'l cor afflige,
dolce a la fine, et nel principio acerba.

Me riponete ove 'l piacer si serba,
tal ch'i' non tema del nocchier di Stige,
se la preghiera mia non è superba.


59

Perché quel che mi trasse ad amar prima,
altrui colpa mi toglia,
del mio fermo voler già non mi svoglia.

Tra le chiome de l'òr nascose il laccio,
al qual mi strinse, Amore;
et da' begli occhi mosse il freddo ghiaccio,
che mi passò nel core,
con la vertú d'un súbito splendore,
che d'ogni altra sua voglia
sol rimembrando anchor l'anima spoglia.

Tolta m'è poi di que' biondi capelli,
lasso, la dolce vista;
e 'l volger de' duo lumi honesti et belli
col suo fuggir m'atrista;
ma perché ben morendo honor s'acquista,
per morte né per doglia
non vo' che da tal nodo Amor mi scioglia.


60

L'arbor gentil che forte amai molt'anni,
mentre i bei rami non m'ebber a sdegno
fiorir faceva il mio debile ingegno
e la sua ombra, et crescer negli affanni.

Poi che, securo me di tali inganni,
fece di dolce sé spietato legno,
i' rivolsi i pensier' tutti ad un segno,
che parlan sempre de' lor tristi danni.

Che porà dir chi per amor sospira,
s'altra speranza le mie rime nove
gli avessir data, et per costei la perde?

Né poeta ne colga mai, né Giove
la privilegi, et al Sol venga in ira,
tal che si secchi ogni sua foglia verde.


61

Benedetto sia 'l giorno, et 'l mese, et l'anno,
et la stagione, e 'l tempo, et l'ora, e 'l punto,
e 'l bel paese, e 'l loco ov'io fui giunto
da'duo begli occhi che legato m'ànno;

et benedetto il primo dolce affanno
ch'i' ebbi ad esser con Amor congiunto,
et l'arco, et le saette ond'i' fui punto,
et le piaghe che 'nfin al cor mi vanno.

Benedette le voci tante ch'io
chiamando il nome de mia donna ò sparte,
e i sospiri, et le lagrime, e 'l desio;

et benedette sian tutte le carte
ov'io fama l'acquisto, e 'l pensier mio,
ch'è sol di lei, sí ch'altra non v'à parte.


62

Padre del ciel, dopo i perduti giorni,
dopo le notti vaneggiando spese,
con quel fero desio ch'al cor s'accese,
mirando gli atti per mio mal sí adorni,

piacciati omai col Tuo lume ch'io torni
ad altra vita et a piú belle imprese,
sí ch'avendo le reti indarno tese,
il mio duro adversario se ne scorni.

Or volge, Signor mio, l'undecimo anno
ch'i' fui sommesso al dispietato giogo
che sopra i piú soggetti è piú feroce.

Miserere del mio non degno affanno;
reduci i pensier' vaghi a miglior luogo;
ramenta lor come oggi fusti in croce.


63

Volgendo gli occhi al mio novo colore
che fa di morte rimembrar la gente,
pietà vi mosse; onde, benignamente
salutando, teneste in vita il core.

La fraile vita, ch'ancor meco alberga,
fu de' begli occhi vostri aperto dono,
et de la voce angelica soave.
Da lor conosco l'esser ov'io sono:

ché, come suol pigro animal per verga,
cosí destaro in me l'anima grave.
Del mio cor, donna, l'una et l'altra chiave

avete in mano; et di ciò son contento,
presto di navigare a ciascun vento,
ch'ogni cosa da voi m'è dolce honore.


64

Se voi poteste per turbati segni,
per chinar gli occhi, o per piegar la testa,
o per esser piú d'altra al fuggir presta,
torcendo 'l viso a' preghi honesti et degni,

uscir già mai, over per altri ingegni,
del petto ove dal primo lauro innesta
Amor piú rami, i' direi ben che questa
fosse giusta cagione a' vostri sdegni:

ché gentil pianta in arido terreno
par che si disconvenga, et però lieta
naturalmente quindi si diparte;

ma poi vostro destino a voi pur vieta
l'esser altrove, provedete almeno
di non star sempre in odïosa parte.


65

Lasso, che mal accorto fui da prima
nel giorno ch'a ferir mi venne Amore,
ch'a passo a passo è poi fatto signore
de la mia vita, et posto in su la cima.

Io non credea per forza di sua lima
che punto di fermezza o di valore
mancasse mai ne l'indurato core;
ma cosí va, chi sopra 'l ver s'estima.

Da ora inanzi ogni difesa è tarda,
altra che di provar s'assai o poco
questi preghi mortali Amore sguarda.

Non prego già, né puote aver piú loco,
che mesuratamente il mio cor arda,
ma che sua parte abbia costei del foco.


66

L'aere gravato, et l'importuna nebbia
compressa intorno da rabbiosi vènti
tosto conven che si converta in pioggia;
et già son quasi di cristallo i fiumi,
e 'n vece de l'erbetta per le valli
non se ved'altro che pruine et ghiaccio.

Et io nel cor via piú freddo che ghiaccio
ò di gravi pensier' tal una nebbia,
qual si leva talor di queste valli,
serrate incontra agli amorosi vènti,
et circundate di stagnanti fiumi,
quando cade dal ciel piú lenta pioggia.

In picciol tempo passa ogni gran pioggia,
e 'l caldo fa sparir le nevi e 'l ghiaccio,
di che vanno superbi in vista i fiumi;
né mai nascose il ciel sí folta nebbia
che sopragiunta dal furor d'i vènti
non fugisse dai poggi et da le valli.

Ma, lasso, a me non val fiorir de valli,
anzi piango al sereno et a la pioggia
et a' gelati et a' soavi vènti:
ch'allor fia un dí madonna senza 'l ghiaccio
dentro, et di for senza l'usata nebbia,
ch'i' vedrò secco il mare, e' laghi, e i fiumi.

Mentre ch'al mar descenderanno i fiumi
et le fiere ameranno ombrose valli,
fia dinanzi a' begli occhi quella nebbia
che fa nascer d'i miei continua pioggia,
et nel bel petto l'indurato ghiaccio
che trâ del mio sí dolorosi vènti.

Ben debbo io perdonare a tutti vènti,
per amor d'un che 'n mezzo di duo fiumi
mi chiuse tra 'l bel verde e 'l dolce ghiaccio,
tal ch'i' depinsi poi per mille valli
l'ombra ov'io fui, ché né calor né pioggia
né suon curava di spezzata nebbia.

Ma non fuggío già mai nebbia per vènti,
come quel dí, né mai fiumi per pioggia,
né ghiaccio quando 'l sole apre le valli.


67

Del mar Tirreno a la sinistra riva,
dove rotte dal vento piangon l'onde,
súbito vidi quella altera fronde
di cui conven che 'n tante carte scriva.

Amor, che dentro a l'anima bolliva,
per rimembranza de le treccie bionde
mi spinse, onde in un rio che l'erba asconde
caddi, non già come persona viva.

Solo ov'io era tra boschetti et colli
vergogna ebbi di me, ch'al cor gentile
basta ben tanto, et altro spron non volli.

Piacemi almen d'aver cangiato stile
da gli occhi a' pie', se del lor esser molli
gli altri asciugasse un piú cortese aprile.


68

L'aspetto sacro de la terra vostra
mi fa del mal passato tragger guai,
gridando: Sta' su, misero, che fai?;
et la via de salir al ciel mi mostra.

Ma con questo pensier un altro giostra,
et dice a me: Perché fuggendo vai?
se ti rimembra, il tempo passa omai
di tornar a veder la donna nostra.

I' che 'l suo ragionar intendo, allora
m'agghiaccio dentro, in guisa d'uom ch'ascolta
novella che di súbito l'accora.

Poi torna il primo, et questo dà la volta:
qual vincerà, non so; ma 'nfino ad ora
combattuto ànno, et non pur una volta.


69

Ben sapeva io che natural consiglio,
Amor, contra di te già mai non valse,
tanti lacciuol', tante impromesse false,
tanto provato avea 'l tuo fiero artiglio.

Ma novamente, ond'io mi meraviglio
(diròl, come persona a cui ne calse,
e che 'l notai là sopra l'acque salse,
tra la riva toscana et l'Elba et Giglio),

i' fuggia le tue mani, et per camino,
agitandom'i vènti e 'l ciel et l'onde,
m'andava sconosciuto et pellegrino:

quando ecco i tuoi ministri, i' non so donde,
per darmi a diveder ch'al suo destino
mal chi contrasta, et mal chi si nasconde.


70

Lasso me, ch'i' non so in qual parte pieghi
la speme, ch'è tradita omai più volte:
che se non è chi con pietà m'ascolte,
perché sparger al ciel sí spessi preghi?
Ma s'egli aven ch'anchor non mi si nieghi
finir anzi 'l mio fine
queste voci meschine,
non gravi al mio signor perch'io il ripreghi
di dir libero un dí tra l'erba e i fiori:
Drez et rayson es qu'ieu ciant e 'm demori.

Ragione è ben ch'alcuna volta io canti,
però ch'ò sospirato sí gran tempo
che mai non incomincio assai per tempo
per adequar col riso i dolor' tanti.
Et s'io potesse far ch'agli occhi santi
porgesse alcun dilecto
qualche dolce mio detto,
o me beato sopra gli altri amanti!
Ma piú quand'io dirò senza mentire:
Donna mi priegha, per ch'io voglio dire.

Vaghi pensier' che cosí passo passo
scorto m'avete a ragionar tant'alto,
vedete che madonna à 'l cor di smalto,
sí forte ch'io per me dentro nol passo.
Ella non degna di mirar sí basso
che di nostre parole
curi, ché 'l ciel non vòle,
al qual pur contrastando i' son già lasso:
onde, come nel cor m'induro e n'aspro,
così nel mio parlar voglio esser aspro.

Che parlo? o dove sono? e chi m'inganna,
altri ch'io stesso e 'l desïar soverchio?
Già s'i'trascorro il ciel di cerchio in cerchio,
nessun pianeta a pianger mi condanna.
Se mortal velo il mio veder appanna,
che colpa è de le stelle,
o de le cose belle?
Meco si sta chi dí et notte m'affanna,
poi che del suo piacer mi fe' gir grave
la dolce vista e 'l bel guardo soave.

Tutte le cose, di che 'l mondo è adorno
uscïr buone de man del mastro eterno;
ma me, che cosí adentro non discerno,
abbaglia il bel che mi si mostra intorno;
et s'al vero splendor già mai ritorno,
l'occhio non po' star fermo,
cosí l'à fatto infermo
pur la sua propria colpa, et non quel giorno
ch'i' volsi inver' l'angelica beltade
nel dolce tempo de la prima etade.


71

Perché la vita è breve,
et l'ingegno paventa a l'alta impresa,
né di lui né di lei molto mi fido;
ma spero che sia intesa
là dov'io bramo, et là dove esser deve,
la doglia mia la qual tacendo i' grido.
Occhi leggiadri dove Amor fa nido,
a voi rivolgo il mio debile stile,
pigro da sé, ma 'l gran piacer lo sprona;
et chi di voi ragiona
tien dal soggetto un habito gentile,
che con l'ale amorose
levando il parte d'ogni pensier vile.
Con queste alzato vengo a dir or cose
ch'ò portate nel cor gran tempo ascose.

Non perch'io non m'aveggia
quanto mia laude è 'ngiurïosa a voi:
ma contrastar non posso al gran desio,
lo quale è 'n me da poi
ch'i' vidi quel che pensier non pareggia,
non che l'avagli altrui parlar o mio.
Principio del mio dolce stato rio,
altri che voi so ben che non m'intende.
Quando agli ardenti rai neve divegno,
vostro gentile sdegno
forse ch'allor mia indignitate offende.
Oh, se questa temenza
non temprasse l'arsura che m'incende,
beato venir men! ché 'n lor presenza
m'è più caro il morir che 'l viver senza.

Dunque ch'i' non mi sfaccia,
sí frale obgetto a sí possente foco,
non è proprio valor che me ne scampi;
ma la paura un poco,
che 'l sangue vago per le vene agghiaccia,
risalda 'l cor, perché piú tempo avampi.
O poggi, o valli, o fiumi, o selve, o campi,
o testimon' de la mia grave vita,
quante volte m'udiste chiamar morte!
Ahi dolorosa sorte
lo star mi strugge, e 'l fuggir non m'aita.
Ma se maggior paura
non m'affrenasse, via corta et spedita
trarrebbe a fin questa apra pena et dura;
et la colpa è di tal che non à cura.

Dolor perché mi meni
fuor di camin a dir quel ch'i' non voglio?
Sostien ch'io vada ove 'l piacer mi spigne.
Già di voi non mi doglio,
occhi sopra 'l mortal corso sereni,
né di lui ch'a tal nodo mi distrigne.
Vedete ben quanti color' depigne
Amor sovente in mezzo del mio volto,
et potrete pensar qual dentro fammi,
là 've dí et notte stammi
adosso, col poder ch'a in voi raccolto,
luci beate et liete
se non che 'l veder voi stesse v'è tolto;
ma quante volte a me vi rivolgete,
conoscete in altrui quel che voi siete.

S'a voi fosse sí nota
la divina incredibile bellezza
di ch'io ragiono, come a chi la mira,
misurata allegrezza
non avria 'l cor: però forse è remota
dal vigor natural che v'apre et gira.
Felice l'alma che per voi sospira,
lumi del ciel, per li quali io ringratio
la vita che per altro non m'è a grado!
Oimè, perché sí rado
mi date quel dond'io mai non son satio?
Perché non piú sovente
mirate qual Amor di me fa stracio?
E perché mi spogliate immantanente
del ben ch'ad ora ad or l'anima sente?

Dico ch'ad ora ad ora,
vostra mercede, i' sento in mezzo l'alma
una dolcezza inusitata et nova,
la qual ogni altra salma
di noiosi pensier' disgombra allora,
sí che di mille un sol vi si ritrova:
quel tanto a me, non piú, del viver giova.
Et se questo mio ben durasse alquanto,
nullo stato aguagliarse al mio porrebbe;
ma forse altrui farrebbe
invido, et me superbo l'onor tanto:
però, lasso, convensi
che l'extremo del riso assaglia il pianto,
e 'nterrompendo quelli spirti accensi
a me ritorni, et di me stesso pensi.

L'amoroso pensero
ch'alberga dentro, in voi mi si discopre
tal che mi trâ del cor ogni altra gioia;
onde parole et opre
escon di me sí fatte allor ch'i' spero
farmi immortal, perché la carne moia.
Fugge al vostro apparire angoscia et noia,
et nel vostro partir tornano insieme.
Ma perché la memoria innamorata
chiude lor poi l'entrata,
di là non vanno da le parti extreme;
onde s'alcun bel frutto
nasce di me, da voi vien prima il seme:
io per me son quasi un terreno asciutto,
cólto da voi, e 'l pregio è vostro in tutto.

Canzon, tu non m'acqueti, anzi m'infiammi
a dir di quel ch'a me stesso m'invola:
però sia certa de non esser sola.


72

Gentil mia donna, i' veggio
nel mover de' vostr'occhi un dolce lume
che mi mostra la via ch'al ciel conduce;
et per lungo costume,
dentro là dove sol con Amor seggio,
quasi visibilmente il cor traluce.
Questa è la vista ch'a ben far m'induce,
et che mi scorge al glorïoso fine;
questa sola dal vulgo m'allontana:
né già mai lingua humana
contar poria quel che le due divine
luci sentir mi fanno,
e quando 'l verno sparge le pruine,
et quando poi ringiovenisce l'anno
qual era al tempo del mio primo affanno.

Io penso: se là suso,
onde 'l motor eterno de le stelle
degnò mostrar del suo lavoro in terra,
son l'altr'opre sí belle,
aprasi la pregione, ov'io son chiuso,
et che 'l camino a tal vita mi serra.
Poi mi rivolgo a la mia usata guerra,
ringratiando Natura e 'l dí ch'io nacqui
che reservato m'ànno a tanto bene,
et lei ch'a tanta spene
alzò il mio cor: ché 'nsin allor io giacqui
a me noioso et grave,
da quel dí inanzi a me medesmo piacqui,
empiendo d'un pensier alto et soave
quel core ond'ànno i begli occhi la chiave.

Né mai stato gioioso
Amor o la volubile Fortuna
dieder a chi piú fur nel mondo amici,
ch'i' nol cangiassi ad una
rivolta d'occhi, ond'ogni mio riposo
vien come ogni arbor vien da sue radici.
Vaghe faville, angeliche, beatrici
de la mia vita, ove 'l piacer s'accende
che dolcemente mi consuma et strugge:
come sparisce et fugge
ogni altro lume dove'l vostro splende,
cosí de lo mio core,
quando tanta dolcezza in lui discende,
ogni altra cosa, ogni penser va fore,
et solo ivi con voi rimanse Amore.

Quanta dolcezza unquancho
fu in cor d'aventurosi amanti, accolta
tutta in un loco, a quel ch'i' sento è nulla,
quando voi alcuna volta
soavemente tra 'l bel nero e 'l biancho
volgete il lume in cui Amor si trastulla;
et credo da le fasce et da la culla
al mio imperfecto, a la Fortuna adversa
questo rimedio provedesse il cielo.
Torto mi face il velo
et la man che sí spesso s'atraversa
fra 'l mio sommo dilecto
et gli occhi, onde dí et notte si rinversa
il gran desio per isfogare il petto,
che forma tien dal varïato aspetto.

Perch'io veggio, et mi spiace,
che natural mia dote a me non vale
né mi fa degno d'un sí caro sguardo,
sforzomi d'esser tale
qual a l'alta speranza si conface,
et al foco gentil ond'io tutt'ardo.
S'al ben veloce, et al contrario tardo,
dispregiator di quanto 'l mondo brama
per solicito studio posso farme,
porrebbe forse aitarme
nel benigno iudicio una tal fama:
Certo il fin de' miei pianti,
che non altronde il cor doglioso chiama,
vèn da' begli occhi alfin dolce tremanti,
ultima speme de' cortesi amanti.

Canzon, l'una sorella è poco inanzi,
et l'altra sento in quel medesmo albergo
apparechiarsi; ond'io piú carta vergo.


73

Poi che per mio destino
a dir mi sforza quell'accesa voglia
che m'à sforzato a sospirar mai sempre,
Amor, ch'a ciò m'invoglia,
sia la mia scorta, e 'nsignimi 'l camino,
et col desio le mie rime contempre:
ma non in guisa che lo cor si stempre
di soverchia dolcezza, com'io temo,
per quel ch'i' sento ov'occhio altrui non giugne;
ché 'l dir m'infiamma et pugne,
né per mi' 'ngegno, ond'io pavento et tremo,
sí come talor sòle,
trovo 'l gran foco de la mente scemo,
anzi mi struggo al suon de le parole,
pur com'io fusse un huom di ghiaccio al sole.

Nel cominciar credia
trovar parlando al mio ardente desire
qualche breve riposo et qualche triegua.
Questa speranza ardire
mi porse a ragionar quel ch'i'sentia:
or m'abbandona al tempo, et si dilegua.
Ma pur conven che l'alta impresa segua
continüando l'amorose note,
sí possente è 'l voler che mi trasporta;
et la ragione è morta,
che tenea 'l freno, et contrastar nol pote.
Mostrimi almen ch'io dica
Amor in guisa che, se mai percote
gli orecchi de la dolce mia nemica,
non mia, ma di pietà la faccia amica.

Dico: se 'n quella etate
ch'al vero honor fur gli animi sí accesi,
l'industria d'alquanti huomini s'avolse
per diversi paesi,
poggi et onde passando, et l'onorate
cose cercando, e 'l più bel fior ne colse,
poi che Dio et Natura et Amor volse
locar compitamente ogni virtute
in quei be' lumi, ond'io gioioso vivo,
questo et quell'altro rivo
non conven ch'i' trapasse, et terra mute.
A llor sempre ricorro
come a fontana d'ogni mia salute,
et quando a morte disïando corro,
sol di lor vista al mio stato soccorro.

Come a forza di vènti
stanco nocchier di notte alza la testa
a' duo lumi ch'a sempre il nostro polo,
cosí ne la tempesta
ch'i' sostengo d'Amor, gli occhi lucenti
sono il mio segno e 'l mio conforto solo.
Lasso, ma troppo è piú quel ch'io ne 'nvolo
or quinci or quindi, come Amor m'informa,
che quel che vèn da gratïoso dono;
et quel poco ch'i' sono
mi fa di lor una perpetua norma.
Poi ch'io li vidi in prima,
senza lor a ben far non mossi un'orma:
cosí gli ò di me posti in su la cima,
che 'l mio valor per sé falso s'estima.

I' non poria già mai
imaginar, nonché narrar gli effecti,
che nel mio cor gli occhi soavi fanno:
tutti gli altri diletti
di questa vita ò per minori assai,
et tutte altre bellezze indietro vanno.
Pace tranquilla senza alcuno affanno:
simile a quella ch'è nel ciel eterna,
move da lor inamorato riso.
Cosí vedess'io fiso
come Amor dolcemente gli governa,
sol un giorno da presso
senza volger già mai rota superna,
né pensasse d'altrui né di me stesso,
e 'l batter gli occhi miei non fosse spesso.

Lasso, che disïando
vo quel ch'esser non puote in alcun modo,
et vivo del desir fuor di speranza:
solamente quel nodo
ch'Amor cerconda a la mia lingua quando
l'umana vista il troppo lume avanza,
fosse disciolto, i' prenderei baldanza
di dir parole in quel punto sí nove
che farian lagrimar chi le 'ntendesse;
ma le ferite impresse
volgon per forza il cor piagato altrove,
ond'io divento smorto,
e 'l sangue si nasconde, i' non so dove,
né rimango qual era; et sonmi accorto
che questo è 'l colpo di che Amor m'à morto.

Canzone, i' sento già stancar la penna
del lungo et del dolce ragionar co llei,
ma non di parlar meco i pensier' mei.


74

Io son già stanco di pensar sí come
i miei pensier' in voi stanchi non sono,
et come vita anchor non abbandono
per fuggir de' sospir' sí gravi some;

et come a dir del viso et de le chiome
et de' begli occhi, ond'io sempre ragiono,
non è mancata omai la lingua e 'l suono
dí et notte chiamando il vostro nome;

et che' pie' non son fiaccati et lassi
a seguir l'orme vostre in ogni parte
perdendo inutilmente tanti passi;

et onde vien l'enchiostro, onde le carte
ch'i' vo empiendo di voi: se 'n ciò fallassi,
colpa d'Amor, non già defecto d'arte.


75

I begli occhi ond'i' fui percosso in guisa
ch'e' medesmi porian saldar la piaga,
et non già vertú d'erbe, o d'arte maga,
o di pietra dal mar nostro divisa,

m'ànno la via sí d'altro amor precisa,
ch'un sol dolce penser l'anima appaga;
et se la lingua di seguirlo è vaga,
la scorta pò, non ella, esser derisa.

Questi son que' begli occhi che l'imprese
del mio signor victorïose fanno
in ogni parte, et piú sovra 'l mio fianco;

questi son que' begli occhi che mi stanno
sempre nel cor colle faville accese,
per ch'io di lor parlando non mi stanco.


76

Amor con sue promesse lusingando
mi ricondusse a la prigione antica,
et die' le chiavi a quella mia nemica
ch'anchor me di me stesso tene in bando.

Non me n'avidi, lasso, se non quando
fui in lor forza; et or con gran fatica
(chi 'l crederà perché giurando i' 'l dica?)
in libertà ritorno sospirando.

Et come vero pregioniero afflicto
de le catene mie gran parte porto,
e 'l cor ne gli occhi et ne la fronte ò scritto.

Quando sarai del mio colore accorto,
dirai: S'i' guardo et giudico ben dritto,
questi avea poco andare ad esser morto.


77

Per mirar Policleto a prova fiso
con gli altri ch'ebber fama di quell'arte
mill'anni, non vedrian la minor parte
de la beltà che m'ave il cor conquiso.

Ma certo il mio Simon fu in paradiso
(onde questa gentil donna si parte),
ivi la vide, et la ritrasse in carte
per far fede qua giú del suo bel viso.

L'opra fu ben di quelle che nel cielo
si ponno imaginar, non qui tra noi,
ove le membra fanno a l'alma velo.

Cortesia fe'; né la potea far poi
che fu disceso a provar caldo et gielo,
et del mortal sentiron gli occchi suoi.


78

Quando giunse a Simon l'alto concetto
ch'a mio nome gli pose in man lo stile,
s'avesse dato a l'opera gentile
colla figura voce ed intellecto,

di sospir' molti mi sgombrava il petto,
che ciò ch'altri à piú caro, a me fan vile:
però che 'n vista ella si mostra humile
promettendomi pace ne l'aspetto.

Ma poi ch'i' vengo a ragionar co llei,
benignamente assai par che m'ascolte,
se risponder savesse a' detti miei.

Pigmalïon, quanto lodar ti dêi
de l'imagine tua, se mille volte
n'avesti quel ch'i' sol una vorrei.


79

S'al principio risponde il fine e 'l mezzo
del quartodecimo anno ch'io sospiro,
piú non mi pò scampar l'aura né 'l rezzo,
sí crescer sento 'l mio ardente desiro.

Amor, con cui pensier mai non amezzo,
sotto 'l cui giogo già mai non respiro,
tal mi governa, ch'i' non son già mezzo,
per gli occhi ch'al mio mal sí spesso giro.

Cosí mancando vo di giorno in giorno,
sí chiusamente, ch'i' sol me n'accorgo
et quella che guardando il cor mi strugge.

A pena infin a qui l'anima scorgo,
né so quanto fia meco il mio soggiorno,
ché la morte s'appressa, e 'l viver fugge.


80

Chi è fermato di menar sua vita
su per l'onde fallaci et per gli scogli
scevro da morte con un picciol legno,
non pò molto lontan esser dal fine:
però sarrebbe da ritrarsi in porto
mentre al governo anchor crede la vela.

L'aura soave a cui governo et vela
commisi entrando a l'amorosa vita
et sperando venire a miglior porto,
poi mi condusse in piú di mille scogli;
et le cagion' del mio doglioso fine
non pur d'intorno avea, ma dentro al legno.

Chiuso gran tempo in questo cieco legno
errai, senza levar occhio a la vela
ch'anzi al mio dí mi trasportava al fine;
poi piacque a lui che mi produsse in vita
chiamarme tanto indietro da li scogli
ch'almen da lunge m'apparisse il porto.

Come lume di notte in alcun porto
vide mai d'alto mar nave né legno
se non gliel tolse o tempestate o scogli,
cosí di su da la gomfiata vela
vid'io le 'nsegne di quell'altra vita,
et allor sospirai verso 'l mio fine.

Non perch'io sia securo anchor del fine:
ché volendo col giorno esser a porto
è gran vïaggio in cosí poca vita;
poi temo, ché mi veggio in fraile legno,
et piú che non vorrei piena la vela
del vento che mi pinse in questi scogli.

S'io esca vivo de' dubbiosi scogli,
et arrive il mio exilio ad un bel fine,
ch'i' sarei vago di voltar la vela,
et l'anchore gittar in qualche porto!
Se non ch'i' ardo come acceso legno,
sí m'è duro a lassar l'usata vita.

Signor de la mia fine et de la vita,
prima ch'i' fiacchi il legno tra gli scogli
drizza a buon porto l'affannata vela.

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81

Io son sí stanco sotto 'l fascio antico
de le mie colpe et de l'usanza ria
ch'i' temo forte di mancar tra via,
et di cader in man del mio nemico.

Ben venne a dilivrarmi un grande amico
per somma et ineffabil cortesia;
poi volò fuor de la veduta mia,
sí ch'a mirarlo indarno m'affatico.

Ma la sua voce anchor qua giú rimbomba:
O voi che travagliate, ecco 'l camino;
venite a me, se 'l passo altri non serra.

Qual gratia, qual amore, o qual destino
mi darà penne in guisa di colomba,
ch'i' mi riposi, et levimi da terra?


82

Io non fu' d'amar voi lassato unquancho,
madonna, né sarò mentre ch'io viva;
ma d'odiar me medesmo giunto a riva,
et del continuo lagrimar so' stancho;

et voglio anzi un sepolcro bello et biancho,
che 'l vostro nome a mio danno si scriva
in alcun marmo, ove di spirto priva
sia la mia carne, che pò star seco ancho.

Però, s'un cor pien d'amorosa fede
può contentarve senza farne stracio,
piacciavi omai di questo aver mercede.

Se 'n altro modo cerca d'esser sacio,
vostro sdegno erra, et non fia quel che crede:
di che Amor et me stesso assai ringracio.


83

Se bianche non son prima ambe le tempie
ch'a poco a poco par che 'l tempo mischi,
securo non sarò, bench'io m'arrischi
talor ov'Amor l'arco tira et empie.

Non temo già che piú mi strazi o scempie,
né mi ritenga perch'anchor m'invischi,
né m'apra il cor perché di fuor l'incischi
con sue saette velenose et empie.

Lagrime omai da gli occhi uscir non ponno,
ma di gire infin là sanno il vïaggio,
sí ch'a pena fia mai ch'i' 'l passo chiuda.

Ben mi pò riscaldare il fiero raggio,
non sí ch'i' arda; et può turbarmi il sonno,
ma romper no, l'imagine aspra et cruda.


84

- Occhi piangete: accompagnate il core
che di vostro fallir morte sostene.
- Cosí sempre facciamo; et ne convene
lamentar piú l'altrui, che 'l nostro errore.

- Già prima ebbe per voi l'entrata Amore,
là onde anchor come in suo albergo vène.
- Noi gli aprimmo la via per quella spene
che mosse d 'entro da colui che more.

- Non son, come a voi par, le ragion' pari:
ché pur voi foste ne la prima vista
del vostro et del suo mal cotanto avari.

- Or questo è quel che piú ch'altro n'atrista,
che' perfetti giudicii son sí rari,
et d'altrui colpa altrui biasmo s'acquista.


85

Io amai sempre, et amo forte anchora,
et son per amar piú di giorno in giorno
quel dolce loco, ove piangendo torno
spesse fïate, quando Amor m'accora.

Et son fermo d'amare il tempo et l'ora
ch'ogni vil cura mi levâr d'intorno;
et più colei, lo cui bel viso adorno
di ben far co' suoi exempli m'innamora.

Ma chi pensò veder mai tutti insieme
per assalirmi il core, or quindi or quinci,
questi dolci nemici, ch'i' tant'amo?

Amor, con quanto sforzo oggi mi vinci!
Et se non ch'al desio cresce la speme,
i' cadrei morto, ove più viver bramo.


86

Io avrò sempre in odio la fenestra
onde Amor m'aventò già mille strali,
perch'alquanti di lor non fur mortali:
ch'è bel morir, mentre la vita è dextra.

Ma 'l sovrastar ne la pregion terrestra
cagion m'è, lasso, d'infiniti mali;
et piú mi duol che fien meco immortali,
poi che l'alma dal cor non si scapestra.

Misera, che devrebbe esser accorta
per lunga experïentia omai che 'l tempo
non è chi 'ndietro volga, o chi l'affreni.

Piú volte l'ò con ta' parole scorta:
Vattene, trista, ché non va per tempo
chi dopo lassa i suoi dí piú sereni.


87

Sí tosto come aven che l'arco scocchi,
buon sagittario di lontan discerne
qual colpo è da sprezzare, et qual d'averne
fede ch'al destinato segno tocchi:

similmente il colpo de' vostr'occhi,
donna, sentiste a le mie parti interne
dritto passare, onde conven ch'eterne
lagrime per la piaga il cor trabocchi.

Et certo son che voi diceste allora:
Misero amante, a che vaghezza il mena?
Ecco lo strale onde Amor vòl che mora.

Ora veggendo come 'l duol m'affrena,
quel che mi fanno i miei nemici anchora
non è per morte, ma per piú mia pena.


88

Poi che mia speme è lunga a venir troppo,
et de la vita il trappassar sí corto,
vorreimi a miglior tempo esser accorto,
per fuggir dietro piú che di galoppo;

et fuggo anchor cosí debile et zoppo
da l'un de' lati, ove 'l desio m'à storto:
securo omai, ma pur nel viso porto
segni ch'i'ò presi a l'amoroso intoppo.

Ond'io consiglio: Voi che siete in via,
volgete i passi; et voi ch'Amore avampa,
non v'indugiate su l'extremo ardore;

ché perch'io viva de mille un no scampa;
era ben forte la nemica mia,
et lei vid'io ferita in mezzo 'l core.


89

Fuggendo la pregione ove Amor m'ebbe
molt'anni a far di me quel ch'a lui parve,
donne mie, lungo fôra a ricontarve
quanto la nova libertà m'increbbe.

Diceami il cor che per sé non saprebbe
viver un giorno; et poi tra via m'apparve
quel traditore in sí mentite larve
che piú saggio di me inganato avrebbe.

Onde piú volte sospirando indietro
dissi: Ohimè, il giogo et le catene e i ceppi
eran piú dolci che l'andare sciolto.

Misero me, che tardo il mio mal seppi;
et con quanta faticha oggi mi spetro
de l'errore, ov'io stesso m'era involto!


90

Erano i capei d'oro a l'aura sparsi
che 'n mille dolci nodi gli avolgea,
e l'vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch'or ne son sí scarsi;

e 'l viso di pietosi color' farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i' che l'ésca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di súbito arsi?

Non era l'andar suo cosa mortale,
ma d'angelica forma; et le parole
sonavan altro, che pur voce humana.

Uno spirito celeste, un vivo sole
fu quel ch'i'vidi: et se non fosse or tale,
piagha per allentar d'arco non sana.


91

La bella donna che cotanto amavi
subitamente s'è da noi partita,
et per quel ch'io ne speri al ciel salita,
sí furon gli atti suoi dolci soavi.

Tempo è da ricovrare ambo le chiavi
del tuo cor, ch'ella possedeva in vita,
et seguir lei per via dritta expedita:
peso terren non sia piú che t'aggravi.

Poi che se' sgombro de la maggior salma,
l'altre puoi giuso agevolmente porre,
sallendo quasi un pellegrino scarco.

Ben vedi omai sí come a morte corre
ogni cosa creata, et quanto all'alma
bisogna ir lieve al periglioso varco.


92

Piangete, donne, et con voi pianga Amore;
piangete, amanti, per ciascun paese,
poi ch'è morto collui che tutto intese
in farvi, mentre visse, al mondo honore.

Io per me prego il mio acerbo dolore,
non sian da lui le lagrime contese,
et mi sia di sospir' tanto cortese,
quanto bisogna a disfogare il core.

Piangan le rime anchor, piangano i versi,
perché 'l nostro amoroso messer Cino
novellamente s'è da noi partito.

Pianga Pistoia, e i citadin perversi
che perduto ànno sí dolce vicino;
et rallegresi il cielo, ov'ello è gito.


93

Più volte Amor m'avea già detto: Scrivi,
scrivi quel che vedesti in lettre d'oro,
sí come i miei seguaci discoloro,
e 'n un momento gli fo morti et vivi.

Un tempo fu che 'n te stesso 'l sentivi,
volgare exemplo a l'amoroso choro;
poi di man mi ti tolse altro lavoro;
ma già ti raggiuns'io mentre fuggivi.

E se 'begli occhi, ond'io me ti mostrai
et là dov'era il mio dolce ridutto
quando ti ruppi al cor tanta durezza,

mi rendon l'arco ch'ogni cosa spezza,
forse non avrai sempre il viso asciutto:
ch'i' mi pasco di lagrime, et tu 'l sai.


94

Quando giugne per gli occhi al cor profondo
l'imagin donna, ogni altra indi si parte,
et le vertú che l'anima comparte
lascian le menbra, quasi immobil pondo.

Et del primo miracolo il secondo
nasce talor, che la scacciata parte
da se stessa fuggendo arriva in parte
che fa vendetta e 'l suo exilio giocondo.

Quinci in duo volti un color morto appare,
perché 'l vigor che vivi gli mostrava
da nessun lato è piú là dove stava.

Et di questo in quel dí mi ricordava,
ch'i' vidi duo amanti trasformare,
et far qual io mi soglio in vista fare.


95

Cosí potess'io ben chiuder in versi
i miei pensier', come nel cor gli chiudo,
ch'animo al mondo non fu mai sí crudo
ch'i' non facessi per pietà dolersi.

Ma voi, occhi beati, ond'io soffersi
quel colpo, ove non valse elmo né scudo,
di for et dentro mi vedete ignudo,
benché 'n lamenti il duol non si riversi.

Poi che vostro vedere in me risplende,
come raggio di sol traluce in vetro,
basti dunque il desio senza ch'io dica.

Lasso, non a Maria, non nocque a Pietro
la fede, ch'a me sol tanto è nemica;
et so ch'altri che voi nessun m'intende.


96

Io son de l'aspectar omai sí vinto,
et de la lunga guerra de' sospiri,
ch'i' aggio in odio la speme e i desiri,
ed ogni laccio ond'è 'l mio core avinto.

Ma 'l bel viso leggiadro che depinto
porto nel petto, et veggio ove ch'io miri,
mi sforza; onde ne' primi empii martiri
pur son contra mia voglia risospinto.

Allor errai quando l'antica strada
di libertà mi fu precisa et tolta,
ché mal si segue ciò ch'agli occhi agrada;

allor corse al suo mal libera et sciolta:
ora a posta d'altrui conven che vada
l'anima che peccò sol una volta.


97

Ahi bella libertà, come tu m'ài,
partendoti da me, mostrato quale
era 'l mio stato, quando il primo strale
fece la piagha ond'io non guerrò mai!

Gli occhi invaghiro allor sí de' lor guai,
che 'l fren de la ragione ivi non vale,
perch'ànno a schifo ogni opera mortale:
lasso, cosí da prima gli avezzai!

Né mi lece ascoltar chi non ragiona
de la mia morte; et solo del suo nome
vo empiendo l'aere, che sí dolce sona.

Amor in altra parte non mi sprona,
né i pie' sanno altra via, né le man' come
lodar si possa in carte altra persona.


98

Orso, al vostro destrier si pò ben porre
un fren, che di suo corso indietro il volga;
ma 'l cor chi legherà, che non si sciolga,
se brama honore, e 'l suo contrario abhorre?

Non sospirate: a lui non si pò tôrre
suo pregio, perch'a voi l'andar si tolga;
ché, come fama publica divolga,
egli è già là, ché null'altro il precorre.

Basti che si ritrove in mezzo 'l campo
al destinato dí, sotto quell'arme
che gli dà il tempo, amor, vertute e 'l sangue,

gridando: D'un gentil desire avampo
col signor mio, che non pò seguitarme,
et del non esser qui si strugge et langue.


99

Poi che voi et io piú volte abbiam provato
come 'l nostro sperar torna fallace,
dietro a quel sommo ben che mai non spiace
levate il core a piú felice stato.

Questa vita terrena è quasi un prato,
che 'l serpente tra' fiori et l'erba giace;
et s'alcuna sua vista agli occhi piace,
è per lassar piú l'animo invescato.

Voi dunque, se cercate aver la mente
anzi l'extremo dí queta già mai,
seguite i pochi, et non la volgar gente.

Ben si può dire a me: Frate, tu vai
mostrando altrui la via, dove sovente
fosti smarrito, et or se' piú che mai.


100

Quella fenestra ove l'un sol si vede,
quando a lui piace, et l'altro in su la nona;
et quella dove l'aere freddo suona
ne' brevi giorni, quando borrea 'l fiede;

e 'l sasso, ove a' gran dí pensosa siede
madonna, et sola seco si ragiona,
con quanti luoghi sua bella persona
coprí mai d'ombra, o disegnò col piede;

e 'l fiero passo ove m'agiunse Amore;
e lla nova stagion che d'anno in anno
mi rinfresca in quel dí l'antiche piaghe;

e 'l volto, et le parole che mi stanno
altamente confitte in mezzo 'l core,
fanno le luci mie di pianger vaghe.


101

Lasso, ben so che dolorose prede
di noi fa quella ch'a nullo huom perdona,
et che rapidamente n'abandona
il mondo, et picciol tempo ne tien fede;

veggio a molto languir poca mercede,
et già l'ultimo dí nel cor mi tuona:
per tutto questo Amor non mi spregiona,
che l'usato tributo agli occhi chiede.

So come i dí, come i momenti et l'ore,
ne portan gli anni; et non ricevo inganno,
ma forza assai maggior che d'arti maghe.

La voglia et la ragion combattuto ànno
sette et sette anni; et vincerà il migliore,
s'anime son qua giú del ben presaghe.


102

Cesare, poi che 'l traditor d'Egitto
li fece il don de l'onorata testa,
celando l'allegrezza manifesta,
pianse per gli occhi fuor sí come è scritto;

et Hanibàl, quando a l'imperio afflitto
vide farsi Fortuna sí molesta,
rise fra gente lagrimosa et mesta
per isfogare il suo acerbo despitto.

Et cosí aven che l'animo ciascuna
sua passïon sotto 'l contrario manto
ricopre co la vista or chiara or bruna:

però, s'alcuna volta io rido o canto,
facciol, perch'i' non ò se non quest'una
via da celare il mio angoscioso pianto.


103

Vinse Hanibàl, et non seppe usar poi
ben la vittorïosa sua ventura:
però, signor mio caro, aggiate cura,
che similmente non avegna a voi.

L'orsa, rabbiosa per gli orsacchi suoi,
che trovaron di maggio aspra pastura,
rode sé dentro, e i denti et l'unghie endura
per vendicar suoi danni sopra noi.

Mentre 'l novo dolor dunque l'accora,
non riponete l'onorata spada,
anzi seguite là dove vi chiama

vostra fortuna dritto per la strada
che vi può dar, dopo la morte anchora
mille et mille anni, al mondo honor et fama.


104

L'aspectata vertù, che 'n voi fioriva
quando Amor cominciò darvi bataglia,
produce or frutto, che quel fiore aguaglia,
et che mia speme fa venire a riva.

Però mi dice il cor ch'io in carte scriva
cosa, onde 'l vostro nome in pregio saglia,
ché 'n nulla parte sí saldo s'intaglia
per far di marmo una persona viva.

Credete voi che Cesare o Marcello
o Paolo od Affrican fossin cotali
per incude già mai né per martello?

Pandolfo mio, quest'opere son frali
a ll lungo andar, ma 'l nostro studio è quello
che fa per fama gli uomini immortali.


105

Mai non vo' piú cantar com'io soleva,
ch'altri no m'intendeva, ond'ebbi scorno;
et puossi in bel soggiorno esser molesto.
Il sempre sospirar nulla releva;
già su per l'Alpi neva d'ogn' 'ntorno;
et è già presso al giorno: ond'io son desto.
Un acto dolce honesto è gentil cosa;
et in donna amorosa anchor m'aggrada,
che 'n vista vada altera et disdegnosa,
non superba et ritrosa:
Amor regge suo imperio senza spada.
Chi smarrita à la strada, torni indietro;
chi non à albergo, posisi in sul verde;
chi non à l'auro, o 'l perde,
spenga la sete sua con un bel vetro.

I'die' in guarda a san Pietro; or non piú, no:
intendami chi pò, ch'i' m'intend'io.
Grave soma è un mal fio a mantenerlo:
quando posso mi spetro, et sol mi sto.
Fetonte odo che 'n Po cadde, et morío;
et già di là dal rio passato è 'l merlo:
deh, venite a vederlo. Or i' non voglio:
non è gioco uno scoglio in mezzo l'onde,
e 'ntra le fronde il visco. Assai mi doglio
quando un soverchio orgoglio
molte vertuti in bella donna asconde.
Alcun è che risponde a chi nol chiama;
altri, chi 'il prega, si delegua et fugge;
altri al ghiaccio si strugge;
altri dí et notte la sua morte brama.

Proverbio "ama chi t'ama" è fatto antico.
I' so ben quel ch'io dico: or lass'andare,
ché conven ch'altri impare a le sue spese.
Un' humil donna grama un dolce amico.
Mal si conosce il fico. A me pur pare
senno a non cominciar tropp'alte imprese;
et per ogni paese è bona stanza.
L'infinita speranza occide altrui;
et anch'io fui alcuna volta in danza.
Quel poco che m'avanza
fia chi nol schifi, s'i' 'l vo' dare a lui.
I' mi fido in Colui che 'l mondo regge,
et che' seguaci Suoi nel boscho alberga,
che con pietosa verga
mi meni a passo omai tra le Sue gregge.

Forse ch'ogni uom che legge non s'intende;
et la rete tal tende che non piglia;
et chi troppo assotiglia si scavezza.
Non fia zoppa la legge ov'altri attende.
Per bene star si scende molte miglia.
Tal par gran meraviglia, et poi si sprezza.
Una chiusa bellezza è piú soave.
Benedetta la chiave che s'avvolse
al cor, et sciolse l'alma, et scossa l'ave
di catena sí grave,
e 'nfiniti sospir' del mio sen tolse!
Là dove piú mi dolse, altri si dole,
et dolendo adolcisse il mio dolore:
ond'io ringratio Amore
che piú nol sento, et è non men che suole.

In silentio parole accorte et sagge,
e 'l suon che mi sottragge ogni altra cura,
et la pregione oscura ov'è 'l bel lume;
le nocturne vïole per le piagge,
et le le fere selvagge entr'a le mura,
et la dolce paura, e 'l bel costume,
et di duo fonti un fiume in pace vòlto
dov'io bramo, et raccolto ove che sia:
Amor et Gelosia m'ànno il cor tolto,
e i segni del bel volto
che mi conducon per piú piana via
a la speranza mia, al fin degli affanni.
O riposto mio bene, et quel che segue,
or pace or guerra or triegue,
mai non m'abbandonate in questi panni.

De' passati miei danni piango et rido,
perché molto mi fido in quel ch'i' odo.
Del presente mi godo, et meglio aspetto,
et vo contando gli anni, et taccio et grido.
E 'n bel ramo m'annido, et in tal modo
ch'i' ne ringratio et lodo il gran disdetto
che l'indurato affecto alfine à vinto,
et ne l'alma depinto "I sare' udito,
et mostratone a dito", et ànne extinto
(tanto inanzi son pinto,
ch'i' 'l pur dirò) "Non fostú tant'ardito":
chi m'à 'l fianco ferito, et chi 'l risalda,
per cui nel cor via piú che 'n carta scrivo;
chi mi fa morto et vivo,
chi 'n un punto m'agghiaccia et mi riscalda.


106

Nova angeletta sovra l'ale accorta
scese dal cielo in su la fresca riva,
là 'nd'io passava sol per mio destino.

Poi che senza compagna et senza scorta
mi vide, un laccio che di seta ordiva
tese fra l'erba, ond'è verde il camino.

Allor fui preso; et non mi spiacque poi,
sí dolce lume uscia degli occhi suoi.


107

Non veggio ove scampar mi possa omai:
sí lunga guerra i begli occhi mi fanno,
ch'i' temo, lasso, no 'l soverchio affanno
distruga 'l cor che triegua non à mai.

Fuggir vorrei; ma gli amorosi rai,
che dí et notte ne la mente stanno,
risplendon sí, ch'al quintodecimo anno
m'abbaglian piú che 'l primo giorno assai;

et l'imagine lor son sí cosparte
che volver non mi posso, ov'io non veggia
o quella o simil indi accesa luce.

Solo d'un lauro tal selva verdeggia
che 'l mio adversario con mirabil arte
vago fra i rami ovunque vuol m'adduce.


108

Aventuroso piú d'altro terreno,
ov'Amor vidi già fermar le piante
ver' me volgendo quelle luci sante
che fanno intorno a sé l'aere sereno,

prima poria per tempo venir meno
un'imagine salda di diamante
che l'atto dolce non mi stia davante
del qual ò la memoria e 'l cor sí pieno:

né tante volte ti vedrò già mai
ch'i' non m'inchini a ricercar de l'orme
che 'l bel pie' fece in quel cortese giro.

Ma se 'n cor valoroso Amor non dorme,
prega, Sennuccio mio, quand 'l vedrai,
di qualche lagrimetta, o d'un sospiro.


109

Lasso, quante fïate Amor m'assale,
che fra la notte e 'l dí son piú di mille,
torno dov'arder vidi le faville
che 'l foco del mio cor fanno immortale.

Ivi m'acqueto; et son condotto a tale,
ch'a nona, a vespro, a l'alba et a le squille
le trovo nel pensier tanto tranquille
che di null'altro mi rimembra o cale.

L'aura soave che dal chiaro viso
move col suon de le parole accorte
per far dolce sereno ovunque spira,

quasi un spirto gentil di paradiso
sempre in quell'aere par che mi conforte,
sí che 'l cor lasso altrove non respira.


110

Persequendomi Amor al luogo usato,
ristretto in guisa d'uom ch'aspetta guerra,
che si provede, e i passi intorno serra,
de' miei antichi pensier' mi stava armato.

Volsimi, et vidi un'ombra che da lato
stampava il sole, et riconobbi in terra
quella che, se 'l giudicio mio non erra,
era piú degna d'immortale stato.

I' dicea fra mio cor: Perché paventi?
Ma non fu prima dentro il penser giunto
che i raggi, ov'io mi struggo, eran presenti.

Come col balenar tona in un punto,
cosí fu' io de' begli occhi lucenti
et d'un dolce saluto inseme aggiunto.


111

La donna che 'l mio cor nel viso porta,
là dove sol fra bei pensier' d'amore
sedea, m'apparve; et io per farle honore
mossi con fronte reverente et smorta.

Tosto che del mio stato fussi accorta,
a me si volse in sí novo colore
ch'avrebbe a Giove nel maggior furore
tolto l'arme di mano, et l'ira morta.

I' mi riscossi; et ella oltra, parlando,
passò, che la parola i' non soffersi,
né 'l dolce sfavillar degli occhi suoi.

Or mi ritrovo pien di sí diversi
piaceri, in quel saluto ripensando,
che duol non sento, né sentí' ma' poi.


112

Sennuccio, i' vo' che sapi in qual manera
tractato sono, et qual vita è la mia:
ardomi et struggo anchor com'io solia;
l'aura mi volve, et son pur quel ch'i'm'era.

Qui tutta humile, et qui la vidi altera,
or aspra, or piana, or dispietata, or pia;
or vestirsi honestate, or leggiadria,
or mansüeta, or disdegnosa et fera.

Qui cantò dolcemente, et qui s'assise;
qui si rivolse, et qui rattenne il passo;
qui co' begli occhi mi trafisse il core;

qui disse una parola, et qui sorrise;
qui cangiò 'l viso. In questi pensier', lasso,
nocte et dí tiemmi il signor nostro Amore.


113

Qui dove mezzo son, Sennuccio mio,
(cosí ci foss'io intero, et voi contento),
venni fuggendo la tempesta e 'l vento
c'ànno súbito fatto il tempo rio.

Qui son securo: et vo' vi dir perch'io
non come soglio il folgorar pavento,
et perché mitigato, nonché spento,
né-micha trovo il mio ardente desio.

Tosto che giunto a l'amorosa reggia
vidi onde nacque l'aura dolce et pura
ch'acqueta l'aere, et mette i tuoni in bando,

Amor ne l'alma, ov'ella signoreggia,
raccese 'l foco, et spense la paura:
che farrei dunque gli occhi suoi guardando?


114

De l'empia Babilonia, ond'è fuggita
ogni vergogna, ond'ogni bene è fori,
albergo di dolor, madre d'errori,
son fuggito io per allungar la vita.

Qui mi sto solo; et come Amor m'invita,
or rime et versi, or colgo herbette et fiori,
seco parlando, et a tempi migliori
sempre pensando: et questo sol m'aita.

Né del vulgo mi cal, né di Fortuna,
né di me molto, né di cosa vile,
né dentro sento né di fuor gran caldo.

Sol due persone cheggio; et vorrei l'una
col cor ver' me pacificato humile,
l'altro col pie', sí come mai fu, saldo.


115

In mezzo di duo amanti honesta altera
vidi una donna, et quel signor co lei
che fra gli uomini regna et fra li dèi;
et da l'un lato il Sole, io da l'altro era.

Poi che s'accorse chiusa da la spera
de l'amico piú bello, agli occhi miei
tutta lieta si volse, et ben vorrei
che mai non fosse inver' di me piú fera.

Súbito in alleggrezza si converse
la gelosia che 'n su la prima vista
per sí alto adversario al cor mi nacque.

A lui la faccia lagrimosa et trista
un nuviletto intorno ricoverse:
cotanto l'esser vinto li dispiacque.


116

Pien di quella ineffabile dolcezza
che del bel viso trassen gli occhi miei
nel dí che volentier chiusi gli avrei
per non mirar già mai minor bellezza,

lassai quel ch'i 'piú bramo; et ò sí avezza
la mente a contemplar sola costei,
ch'altro non vede, et ciò che non è lei
già per antica usanza odia et disprezza.

In una valle chiusa d'ogni 'ntorno,
ch'è refrigerio de' sospir' miei lassi,
giunsi sol com Amor, pensoso et tardo.

Ivi non donne, ma fontane et sassi,
et l'imagine trovo di quel giorno
che 'l pensier mio figura, ovunque io sguardo.


117

Se 'l sasso, ond'è piú chiusa questa valle,
di che 'l suo proprio nome si deriva,
tenesse vòlto per natura schiva
a Roma il viso et a Babel le spalle,

i miei sospiri piú benigno calle
avrian per gire ove lor spene è viva:
or vanno sparsi, et pur ciascuno arriva
là dov'io il mando, che sol un non falle.

Et son di là sí dolcemente accolti,
com'io m'accorgo, che nessun mai torna:
con tal diletto in quelle parti stanno.

Degli occhi è 'l duol, che, tosto che s'aggiorna,
per gran desio de' be' luoghi a lor tolti,
dànno a me pianto, et a' pie' lassi affanno.


118

Rimansi a dietro il sestodecimo anno
de' miei sospiri, et io trapasso inanzi
verso l'extremo; et parmi che pur dianzi
fosse 'l principio di cotanto affanno.

L'amar m'è dolce, et util il mio danno,
e 'l viver grave; et prego ch'egli avanzi
l'empia Fortuna, et temo no chiuda anzi
Morte i begli occhi che parlar mi fanno.

Or qui son, lasso, et voglio esser altrove;
et vorrei piú volere, et piú non voglio;
et per piú non poter fo quant'io posso;

e d'antichi desir' lagrime nove
provan com'io son pur quel ch'i' mi soglio,
né per mille rivolte anchor son mosso.


119

Una donna piú bella assai che 'l sole,
et piú lucente, et d'altrettanta etade,
con famosa beltade,
acerbo anchor mi trasse a la sua schiera.
Questa in penseri, in opre et in parole
(però ch'è de le cose al mondo rade),
questa per mille strade
sempre inanzi mi fu leggiadra altera.
Solo per lei tornai da quel ch'i' era,
poi ch'i' soffersi gli occhi suoi da presso;
per suo amor m'er'io messo
a faticosa impresa assai per tempo:
tal che, s'i'arrivo al disïato porto,
spero per lei gran tempo
viver, quand'altri mi terrà per morto.

Questa mia donna mi menò molt'anni
pien di vaghezza giovenile ardendo,
sí come ora io comprendo,
sol per aver di me piú certa prova,
mostrandomi pur l'ombra o 'l velo o' panni
talor di sé, ma 'l viso nascondendo;
et io, lasso, credendo
vederne assai, tutta l'età mia nova
passai contento, e 'l rimembrar mi giova,
poi ch'alquanto di lei veggi'or piú inanzi.
I'dico che pur dianzi
qual io non l'avea vista infin allora,
mi si scoverse: onde mi nacque un ghiaccio
nel core, et èvvi anchora,
et sarà sempre fin ch'i' le sia in braccio.

Ma non me 'l tolse la paura o 'l gielo
che pur tanta baldanza al mio cor diedi
ch'i' le mi strinsi a' piedi
per piú dolcezza trar de gli occhi suoi;
et ella, che remosso avea già il velo
dinanzi a' miei, mi disse: - Amico, or vedi
com'io son bella, et chiedi
quanto par si convenga agli anni tuoi. -
- Madonna - dissi - già gran tempo in voi
posi 'l mio amor, ch'i' sento or sí infiammato,
ond'a me in questo stato
altro voler o disvoler m'è tolto. -
Con voce allor di sí mirabil' tempre
rispose, et con un volto
che temer et sperar mi farà sempre:

- Rado fu al mondo fra cosí gran turba
ch'udendo ragionar del mio valore
non si sentisse al core
per breve tempo almen qualche favilla;
ma l'adversaria mia che 'l ben perturba
tosto la spegne, ond'ogni vertú more
et regna altro signore
che promette una vita piú tranquilla.
De la tua mente Amor, che prima aprilla,
mi dice cose veramente ond'io
veggio che 'l gran desio
pur d'onorato fin ti farà degno;
et come già se' de' miei rari amici,
donna vedrai per segno
che farà gli occhi tuoi via piú felici. -

I' volea dir: - Quest'è impossibil cosa -;
quand'ella: - Or mira - et leva' gli occhi un poco
in piú riposto loco -
donna ch'a pochi si mostrò già mai. -
Ratto inchinai la fronte vergognosa,
sentendo novo dentro maggior foco;
et ella il prese in gioco,
dicendo: - I' veggio ben dove tu stai.
Sí come 'l sol con suoi possenti rai
fa súbito sparire ogni altra stella,
cosí par or men bella
la vista mia cui maggiore luce preme.
Ma io però da' miei non ti diparto,
ché questa et me d'un seme,
lei davanti et me poi, produsse un parto. -

Ruppesi intanto di vergogna il nodo
ch'a la mia lingua era distretto intorno
su nel primiero scorno,
allor quand'io del suo accorger m'accorsi;
e 'ncominciai: - S'egli è ver quel ch'i' odo,
beato il padre, et benedetto il giorno
ch'à di voi il mondo adorno,
et tutto 'l tempo ch'a vedervi io corsi;
et se mai da la via dritta mi torsi,
duolmene forte, assai piú ch'i' non mostro;
ma se de l'esser vostro
fossi degno udir piú, del desir ardo. -
Pensosa mi rispose, et cosí fiso
tenne il suo dolce sguardo
ch'al cor mandò co le parole il viso:

- Sí come piacque al nostro eterno padre,
ciascuna di noi due nacque immortale.
Miseri, a voi che vale?
Me' v'era che da noi fosse il defecto.
Amate, belle, gioveni et leggiadre
fummo alcun tempo: et or siam giunte a tale
che costei batte l'ale
per tornar a l'anticho suo ricetto;
i' per me sono un'ombra. Et or t'ò detto
quanto per te sí breve intender puossi. -
Poi che i pie' suoi fur mossi,
dicendo: - Non temer ch'i' m'allontani -,
di verde lauro una ghirlanda colse,
la qual co le sue mani
intorno intorno a le mie tempie avolse.

Canzon, chi tua ragion chiamasse obscura,
di': - Non ò cura, perché tosto spero
ch'altro messaggio il vero
farà in piú chiara voce manifesto.
I' venni sol per isvegliare altrui,
se chi m'impose questo
non m'inganò, quand'io partí' da lui. -


120

Quelle pietose rime in ch'io m'accorsi
di vostro ingegno et del cortese affecto,
ebben tanto vigor nel mio conspetto
che ratto a questa penna la man porsi

per far voi certo che gli extremi morsi
di quella ch'io con tutto 'l mondo aspetto
mai non sentí', ma pur senza sospetto
infin a l'uscio del suo albergo corsi;

poi tornai indietro, perch'io vidi scripto
di sopra 'l limitar che 'l tempo anchora
non era giunto al mio viver prescritto,

bench'io non vi legessi il dí né l'ora.
Dunque s'acqueti omai 'l cor vostro afflitto,
et cerchi huom degno, quando sí l'onora.


121

Or vedi, Amor, che giovenetta donna
tuo regno sprezza, et del mio mal non cura,
et tra duo ta' nemici è sí secura.

Tu se' armato, et ella in treccie e 'n gonna
si siede, et scalza, in mezzo i fiori et l'erba,
ver' me spietata, e 'n contra te superba.

I' son pregion; ma se pietà anchor serba
l'arco tuo saldo, et qualchuna saetta,
fa di te et di me, signor, vendetta.


122

Dicesette anni à già rivolto il cielo
poi che 'mprima arsi, et già mai non mi spensi;
ma quando aven ch'al mio stato ripensi,
sento nel mezzo de le fiamme un gielo.

Vero è 'l proverbio, ch'altri cangia il pelo
anzi che 'l vezzo, et per lentar i sensi
gli umani affecti non son meno intensi:
ciò ne fa l'ombra ria del grave velo.

Oïme lasso, e quando fia quel giorno
che, mirando il fuggir degli anni miei,
esca del foco, et di sí lunghe pene?

Vedrò mai il dí che pur quant'io vorrei
quel'aria dolce del bel viso adorno
piaccia a quest'occhi, et quanto si convene?


123

Quel vago impallidir che 'l dolce riso
d'un'amorosa nebbia ricoperse,
con tanta maiestade al cor s'offerse
che li si fece incontr'a mezzo 'l viso.

Conobbi allor sí come in paradiso
vede l'un l'altro, in tal guisa s'aperse
quel pietoso penser ch'altri non scerse:
ma vidil' io, ch'altrove non m'affiso.

Ogni angelica vista, ogni atto humile
che già mai in donna ov'amor fosse apparve,
fôra uno sdegno a lato a quel ch'i' dico.

Chinava a terra il bel guardo gentile,
et tacendo dicea, come a me parve:
Chi m'allontana il mio fedele amico?


124

Amor, Fortuna et la mia mente, schiva
di quel che vede e nel passato volta,
m'affligon sí, ch'io porto alcuna volta
invidia a quei che son su l'altra riva.

Amor mi strugge 'l cor, Fortuna il priva
d'ogni conforto, onde la mente stolta
s'adira et piange: et cosí in pena molta
sempre conven che combattendo viva.

Né spero i dolci dí tornino indietro,
ma pur di male in peggio quel ch'avanza;
et di mio corso ò già passato 'l mezzo.

Lasso, non di diamante, ma d'un vetro
veggio di man cadermi ogni speranza,
et tutti miei pensier' romper nel mezzo.


125

Se 'l pensier che mi strugge,
com'è pungente et saldo,
cosí vestisse d'un color conforme,
forse tal m'arde et fugge,
ch'avria parte del caldo,
et desteriasi Amor là dov'or dorme;
men solitarie l'orme
fôran de' miei pie' lassi
per campagne et per colli,
men gli occhi ad ognor molli,
ardendo lei che come un ghiaccio stassi,
et non lascia in me dramma
che non sia foco et fiamma.

Però ch'Amor mi sforza
et di saver mi spoglia,
parlo in rime aspre, et di dolcezza ignude:
ma non sempre a la scorza
ramo, né in fior, né 'n foglia
mostra di for sua natural vertude.
Miri ciò che 'l cor chiude
Amor et que' begli occhi,
ove si siede a l'ombra.
Se 'l dolor che si sgombra
aven che 'n pianto o in lamentar trabocchi,
l'un a me nòce et l'altro
altrui, ch'io non lo scaltro.

Dolci rime leggiadre
che nel primiero assalto
d'Amor usai, quand'io non ebbi altr'arme,
chi verrà mai che squadre
questo mio cor di smalto
ch'almen com'io solea possa sfogarme?
Ch'aver dentro a lui parme
un che madonna sempre
depinge et de lei parla:
a voler poi ritrarla
per me non basto, et par ch'io me ne stempre.
Lasso, cosí m'è scorso
lo mio dolce soccorso.

Come fanciul ch'a pena
volge la lingua et snoda,
che dir non sa, ma 'l piú tacer gli è noia,
così 'l desir mi mena
a dire, et vo' che m'oda
la dolce mia nemica anzi ch'io moia.
Se forse ogni sua gioia
nel suo bel viso è solo,
et di tutt'altro è schiva,
odil tu, verde riva,
e presta a' miei sospir' sí largo volo,
che sempre si ridica
come tu m'eri amica.

Ben sai che sí bel piede
non tocchò terra unquancho
come quel dí che già segnata fosti;
onde 'l cor lasso riede
col tormentoso fiancho
a partir teco i lor pensier' nascosti.
Cosí avestú riposti
de' be' vestigi sparsi
anchor tra' fiori et l'erba,
che la mia vita acerba,
lagrimando, trovasse ove acquetarsi!
Ma come pò s'appaga
l'alma dubbiosa et vaga.

Ovunque gli occhi volgo
trovo un dolce sereno
pensando: Qui percosse il vago lume.
Qualunque herba o fior colgo
credo che nel terreno
aggia radice, ov'ella ebbe in costume
gir fra le piagge e 'l fiume,
et talor farsi un seggio
fresco, fiorito et verde.
Cosí nulla se 'n perde,
et piú certezza averne fôra il peggio.
Spirto beato, quale
se', quando altrui fai tale?

O poverella mia, come se' rozza!
Credo che tel conoschi:
rimanti in questi boschi.


126

Chiare, fresche et dolci acque,
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
gentil ramo ove piacque
(con sospir' mi rimembra)
a lei di fare al bel fiancho colonna;
herba et fior' che la gonna
leggiadra ricoverse
co l'angelico seno;
aere sacro, sereno,
ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse:
date udïenza insieme
a le dolenti mie parole extreme.

S'egli è pur mio destino
e 'l cielo in ciò s'adopra,
ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda,
qualche gratia il meschino
corpo fra voi ricopra,
et torni l'alma al proprio albergo ignuda.
La morte fia men cruda
se questa spene porto
a quel dubbioso passo:
ché lo spirito lasso
non poria mai in piú riposato porto
né in piú tranquilla fossa
fuggir la carne travagliata et l'ossa.

Tempo verrà anchor forse
ch'a l'usato soggiorno
torni la fera bella et mansüeta,
et là 'v'ella mi scorse
nel benedetto giorno,
volga la vista disïosa et lieta,
cercandomi; et, o pietà!,
già terra in fra le pietre
vedendo, Amor l'inspiri
in guisa che sospiri
sí dolcemente che mercé m'impetre,
et faccia forza al cielo,
asciugandosi gli occhi col bel velo.

Da' be' rami scendea
(dolce ne la memoria)
una pioggia di fior' sovra 'l suo grembo;
et ella si sedea
humile in tanta gloria,
coverta già de l'amoroso nembo.
Qual fior cadea sul lembo,
qual su le treccie bionde,
ch'oro forbito et perle
eran quel dí a vederle;
qual si posava in terra, et qual su l'onde;
qual con un vago errore
girando parea dir: - Qui regna Amore. -

Quante volte diss'io
allor pien di spavento:
Costei per fermo nacque in paradiso.
Cosí carco d'oblio
il divin portamento
e 'l volto e le parole e 'l dolce riso
m'aveano, et sí diviso
da l'imagine vera,
ch'i' dicea sospirando:
Qui come venn'io, o quando?;
credendo d'esser in ciel, non là dov'era.
Da indi in qua mi piace
questa herba sí, ch'altrove non ò pace.

Se tu avessi ornamenti quant'ài voglia,
poresti arditamente
uscir del boscho, et gir in fra la gente.


127

In quella parte dove Amor mi sprona
conven ch'io volga le dogliose rime,
che son seguaci de la mente afflicta.
Quai fien ultime, lasso, et qua' fien prime?
Collui che del mio mal meco ragiona
mi lascia in dubbio, sí confuso ditta.
Ma pur quanto l'istoria trovo scripta
in mezzo 'l cor (che sí spesso rincorro)
co la sua propria man de' miei martiri,
dirò, perché i sospiri
parlando àn triegua, et al dolor soccorro.
Dico che, perch'io miri
mille cose diverse attento et fiso,
sol una donna veggio, e 'l suo bel viso.

Poi che la dispietata mia ventura
m'à dilungato dal maggior mio bene,
noiosa, inexorabile et superba,
Amor col rimembrar sol mi mantene:
onde s'io veggio in giovenil figura
incominciarsi il mondo a vestir d'erba,
parmi vedere in quella etate acerba
la bella giovenetta, ch'ora è donna;
poi che sormonta riscaldando il sole,
parmi qual esser sòle,
fiamma d'amor che 'n cor alto s'endonna;
ma quando il dí si dole
di lui che passo passo a dietro torni,
veggio lei giunta a' suoi perfecti giorni.

In ramo fronde, over vïole in terra,
mirando a la stagion che 'l freddo perde,
et le stelle miglior' acquistan forza,
ne gli occhi ò pur le vïolette e 'l verde
di ch'era nel principio de mia guerra
Amor armato, sí ch'anchor mi sforza,
et quella dolce leggiadretta scorza
che ricopria le pargolette membra
dove oggi alberga l'anima gentile
ch'ogni altro piacer vile
sembiar mi fa: sí forte mi rimembra
del portamento humile
ch'allor fioriva, et poi crebbe anzi agli anni,
cagion sola et riposo de' miei affanni.

Qualor tenera neve per li colli
dal sol percossa veggio di lontano,
come 'l sol neve, mi governa Amore,
pensando nel bel viso piú che humano
che pò da lunge gli occhi miei far molli,
ma da presso gli abbaglia, et vince il core:
ove fra 'l biancho et l'aurëo colore,
sempre si mostra quel che mai non vide
occhio mortal, ch'io creda, altro che 'l mio;
et del caldo desio,
che, quando sospirando ella sorride,
m'infiamma sí che oblio
nïente aprezza, ma diventa eterno,
né state il cangia, né lo spegne il verno.

Non vidi mai dopo nocturna pioggia
gir per l'aere sereno stelle erranti,
et fiammeggiar fra la rugiada e 'l gielo,
ch'i' non avesse i begli occhi davanti
ove la stancha mia vita s'appoggia,
quali io gli vidi a l'ombra di un bel velo;
et sí come di lor bellezze il cielo
splendea quel dí, così bagnati anchora
li veggio sfavillare, ond'io sempre ardo.
Se 'l sol levarsi sguardo,
sento il lume apparir che m'innamora;
se tramontarsi al tardo,
parmel veder quando si volge altrove
lassando tenebroso onde si move.

Se mai candide rose con vermiglie
in vasel d'oro vider gli occhi miei
allor allor da vergine man colte,
veder pensaro il viso di colei
ch'avanza tutte l'altre meraviglie
con tre belle excellentie in lui raccolte:
le bionde treccie sopra 'l collo sciolte,
ov'ogni lacte perderia sua prova,
e le guancie ch'adorna un dolce foco.
Ma pur che l'òra un poco
fior' bianchi et gialli per le piaggie mova,
torna a la mente il loco
e 'l primo dí ch'i' vidi a l'aura sparsi
i capei d'oro, ond'io sí súbito arsi,

Ad una ad una annoverar le stelle,
e 'n picciol vetro chiuder tutte l'acque,
forse credea, quando in sí poca carta
novo penser di ricontar mi nacque
in quante parti il fior de l'altre belle,
stando in se stessa, à la sua luce sparta
a ciò che mai da lei non mi diparta:
né farò io; et se pur talor fuggo,
in cielo e'n terra m'ha rachiuso i passi,
perch'agli occhi miei lassi
sempre è presente, ond'io tutto mi struggo.
Et cosí meco stassi,
ch'altra non veggio mai, né veder bramo,
né 'l nome d'altra né sospir' miei chiamo.

Ben sai, canzon, che quant'io parlo è nulla
al celato amoroso mio pensero,
che dí et nocte ne la mente porto,
solo per cui conforto
in cosí lunga guerra ancho non pèro:
ché ben m'avria già morto
la lontananza del mio cor piangendo,
ma quinci da la morte indugio prendo.


128

Italia mia, benché 'l parlar sia indarno
a le piaghe mortali
che nel bel corpo tuo sí spesse veggio,
piacemi almen che ' miei sospir' sian quali
spera 'l Tevero et l'Arno,
e 'l Po, dove doglioso et grave or seggio.
Rettor del cielo, io cheggio
che la pietà che Ti condusse in terra
Ti volga al Tuo dilecto almo paese.
Vedi, Segnor cortese,
di che lievi cagion' che crudel guerra;
e i cor', che 'ndura et serra
Marte superbo et fero,
apri Tu, Padre, e 'ntenerisci et snoda;
ivi fa che 'l Tuo vero,
qual io mi sia, per la mia lingua s'oda.

Voi cui Fortuna à posto in mano il freno
de le belle contrade,
di che nulla pietà par che vi stringa,
che fan qui tante pellegrine spade?
perché 'l verde terreno
del barbarico sangue si depinga?
Vano error vi lusinga:
poco vedete, et parvi veder molto,
ché 'n cor venale amor cercate o fede.
Qual piú gente possede,
colui è piú da' suoi nemici avolto.
O diluvio raccolto
di che deserti strani
per inondar i nostri dolci campi!
Se da le proprie mani
questo n'avene, or chi fia che ne scampi?

Ben provide Natura al nostro stato,
quando de l'Alpi schermo
pose fra noi et la tedesca rabbia;
ma 'l desir cieco, e 'ncontr'al suo ben fermo,
s'è poi tanto ingegnato,
ch'al corpo sano à procurato scabbia.
Or dentro ad una gabbia
fiere selvagge et mansüete gregge
s'annidan sí che sempre il miglior geme:
et è questo del seme,
per piú dolor, del popol senza legge,
al qual, come si legge,
Mario aperse sí 'l fianco,
che memoria de l'opra ancho non langue,
quando assetato et stanco
non piú bevve del fiume acqua che sangue.

Cesare taccio che per ogni piaggia
fece l'erbe sanguigne
di lor vene, ove 'l nostro ferro mise.
Or par, non so per che stelle maligne,
che 'l cielo in odio n'aggia:
vostra mercé, cui tanto si commise.
Vostre voglie divise
guastan del mondo la piú bella parte.
Qual colpa, qual giudicio o qual destino
fastidire il vicino
povero, et le fortune afflicte et sparte
perseguire, e 'n disparte
cercar gente et gradire,
che sparga 'l sangue et venda l'alma a prezzo?
Io parlo per ver dire,
non per odio d'altrui, né per disprezzo.

Né v'accorgete anchor per tante prove
del bavarico inganno
ch'alzando il dito colla morte scherza?
Peggio è lo strazio, al mio parer, che 'l danno;
ma 'l vostro sangue piove
piú largamente, ch'altr'ira vi sferza.
Da la matina a terza
di voi pensate, et vederete come
tien caro altrui che tien sé cosí vile.
Latin sangue gentile,
sgombra da te queste dannose some;
non far idolo un nome
vano senza soggetto:
ché 'l furor de lassú, gente ritrosa,
vincerne d'intellecto,
peccato è nostro, et non natural cosa.

Non è questo 'l terren ch'i' toccai pria?
Non è questo il mio nido
ove nudrito fui sí dolcemente?
Non è questa la patria in ch'io mi fido,
madre benigna et pia,
che copre l'un et l'altro mio parente?
Perdio, questo la mente
talor vi mova, et con pietà guardate
le lagrime del popol doloroso,
che sol da voi riposo
dopo Dio spera; et pur che voi mostriate
segno alcun di pietate,
vertú contra furore
prenderà l'arme, et fia 'l combatter corto:
ché l'antiquo valore
ne gli italici cor' non è anchor morto.

Signor', mirate come 'l tempo vola,
et sí come la vita
fugge, et la morte n'è sovra le spalle.
Voi siete or qui; pensate a la partita:
ché l'alma ignuda et sola
conven ch'arrive a quel dubbioso calle.
Al passar questa valle
piacciavi porre giú l'odio et lo sdegno,
vènti contrari a la vita serena;
et quel che 'n altrui pena
tempo si spende, in qualche acto piú degno
o di mano o d'ingegno,
in qualche bella lode,
in qualche honesto studio si converta:
cosí qua giú si gode,
et la strada del ciel si trova aperta.

Canzone, io t'ammonisco
che tua ragion cortesemente dica,
perché fra gente altera ir ti convene,
et le voglie son piene
già de l'usanza pessima et antica,
del ver sempre nemica.
Proverai tua ventura
fra' magnanimi pochi a chi 'l ben piace.
Di' lor: - Chi m'assicura?
I' vo gridando: Pace, pace, pace. -


129

Di pensier in pensier, di monte in monte
mi guida Amor, ch'ogni segnato calle
provo contrario a la tranquilla vita.
Se 'n solitaria piaggia, o rivo, o fonte,
se 'nfra duo poggi siede ombrosa valle,
ivi s'acqueta l'alma sbigottita;
et come Amor l'envita,
or ride, or piange, or teme, or s'assecura;
e 'l volto che lei segue ov'ella il mena
si turba et rasserena,
et in un esser picciol tempo dura;
onde a la vista huom di tal vita experto
diria: Questo arde, et di suo stato è incerto.

Per alti monti et per selve aspre trovo
qualche riposo: ogni habitato loco
è nemico mortal degli occhi miei.
A ciascun passo nasce un penser novo
de la mia donna, che sovente in gioco
gira 'l tormento ch'i' porto per lei;
et a pena vorrei
cangiar questo mio viver dolce amaro,
ch'i' dico: Forse anchor ti serva Amore
ad un tempo migliore;
forse, a te stesso vile, altrui se' caro.
Et in questa trapasso sospirando:
Or porrebbe esser vero? or come? or quando?

Ove porge ombra un pino alto od un colle
talor m'arresto, et pur nel primo sasso
disegno co la mente il suo bel viso.
Poi ch'a me torno, trovo il petto molle
de la pietate; et alor dico: Ahi, lasso,
dove se' giunto! et onde se' diviso!
Ma mentre tener fiso
posso al primo pensier la mente vaga,
et mirar lei, et oblïar me stesso,
sento Amor sí da presso,
che del suo proprio error l'alma s'appaga:
in tante parti et sí bella la veggio,
che se l'error durasse, altro non cheggio.

I' l'ò piú volte (or chi fia che mi 'l creda?)
ne l'acqua chiara et sopra l'erba verde
veduto viva, et nel tronchon d'un faggio
e 'n bianca nube, sí fatta che Leda
avria ben detto che sua figlia perde,
come stella che 'l sol copre col raggio;
et quanto in piú selvaggio
loco mi trovo e 'n piú deserto lido,
tanto piú bella il mio pensier l'adombra.
Poi quando il vero sgombra
quel dolce error, pur lí medesmo assido
me freddo, pietra morta in pietra viva,
in guisa d'uom che pensi et pianga et scriva.

Ove d'altra montagna ombra non tocchi,
verso 'l maggiore e 'l piú expedito giogo
tirar mi suol un desiderio intenso;
indi i miei danni a misurar con gli occhi
comincio, e 'ntanto lagrimando sfogo
di dolorosa nebbia il cor condenso,
alor ch'i' miro et penso,
quanta aria dal bel viso mi diparte
che sempre m'è sí presso et sí lontano.
Poscia fra me pian piano:
Che sai tu, lasso! forse in quella parte
or di tua lontananza si sospira.
Et in questo penser l'alma respira.

Canzone, oltra quell'alpe
là dove il ciel è piú sereno et lieto
mi rivedrai sovr'un ruscel corrente,
ove l'aura si sente
d'un fresco et odorifero laureto.
Ivi è 'l mio cor, et quella che 'l m'invola;
qui veder pôi l'imagine mia sola.


130

Poi che 'l camin m'è chiuso di Mercede,
per desperata via son dilungato
da gli occhi ov'era, i' non so per qual fato,
riposto il guidardon d'ogni mia fede.

Pasco 'l cor di sospir', ch'altro non chiede,
e di lagrime vivo a pianger nato:
né di ciò duolmi, perché in tale stato
è dolce il pianto piú ch'altri non crede.

Et sol ad una imagine m'attegno,
che fe' non Zeusi, o Prasitele, o Fidia,
ma miglior mastro, et di piú alto ingegno.

Qual Scithia m'assicura, o qual Numidia,
s'anchor non satia del mio exsilio indegno,
cosí nascosto mi ritrova Invidia?


131

Io canterei d'amor sí novamente
ch'al duro fiancho il dí mille sospiri
trarrei per forza, et mille alti desiri
raccenderei ne la gelata mente;

e 'l bel viso vedrei cangiar sovente,
et bagnar gli occhi, et piú pietosi giri
far, come suol chi de gli altrui martiri
et del suo error quando non val si pente;

et le rose vermiglie in fra le neve
mover da l'òra, et discovrir l'avorio
che fa di marmo chi da presso 'l guarda;

e tutto quel per che nel viver breve
non rincresco a me stesso, anzi mi glorio
d'esser servato a la stagion piú tarda.


132

S'amor non è, che dunque è quel ch'io sento?
Ma s'egli è amor, perdio, che cosa et quale?
Se bona, onde l'effecto aspro mortale?
Se ria, onde sí dolce ogni tormento?

S'a mia voglia ardo, onde 'l pianto e lamento?
S'a mal mio grado, il lamentar che vale?
O viva morte, o dilectoso male,
come puoi tanto in me, s'io no 'l consento?

Et s'io 'l consento, a gran torto mi doglio.
Fra sí contrari vènti in frale barca
mi trovo in alto mar senza governo,

sí lieve di saver, d'error sí carca
ch'i' medesmo non so quel ch'io mi voglio,
et tremo a mezza state, ardendo il verno.


133

Amor m'à posto come segno a strale,
come al sol neve, come cera al foco,
et come nebbia al vento; et son già roco,
donna, mercé chiamando, et voi non cale.

Da gli occhi vostri uscío 'l colpo mortale,
contra cui non mi val tempo né loco;
da voi sola procede, et parvi un gioco,
il sole e 'l foco e 'l vento ond'io son tale.

I pensier' son saette, e 'l viso un sole,
e 'l desir foco; e 'nseme con quest'arme
mi punge Amor, m'abbaglia et mi distrugge;

et l'angelico canto et le parole,
col dolce spirto ond'io non posso aitarme,
son l'aura inanzi a cui mia vita fugge.


134

Pace non trovo, et non ò da far guerra;
e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;
et volo sopra 'l cielo, et giaccio in terra;
et nulla stringo, et tutto 'l mondo abbraccio.

Tal m'à in pregion, che non m'apre né serra,
né per suo mi riten né scioglie il laccio;
et non m'ancide Amore, et non mi sferra,
né mi vuol vivo, né mi trae d'impaccio.

Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido;
et bramo di perir, et cheggio aita;
et ò in odio me stesso, et amo altrui.

Pascomi di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte et vita:
in questo stato son, donna, per voi.


135

Qual piú diversa et nova
cosa fu mai in qual che stranio clima,
quella, se ben s'estima,
piú mi rasembra: a tal son giunto, Amore.
Là onde il dí vèn fore,
vola un augel che sol senza consorte
di volontaria morte
rinasce, et tutto a viver si rinova.
Cosí sol si ritrova
lo mio voler, et cosí in su la cima
de' suoi alti pensieri al sol si volve,
et cosí si risolve,
et cosí torna al suo stato di prima:
arde, et more, et riprende i nervi suoi,
et vive poi con la fenice a prova.

Una petra è sí ardita
là per l'indico mar, che da natura
tragge a sé il ferro e 'l fura
dal legno, in guisa che ' navigi affonde.
Questo prov'io fra l'onde
d'amaro pianto, ché quel bello scoglio
à col suo duro argoglio
condutta ove affondar conven mia vita:
cosí l'alm'à sfornita
(furando 'l cor che fu già cosa dura,
et me tenne un, ch'or son diviso et sparso)
un sasso a trar piú scarso
carne che ferro. O cruda mia ventura,
che 'n carne essendo, veggio trarmi a riva
ad una viva dolce calamita!

Né l'extremo occidente
una fera è soave et queta tanto
che nulla piú, ma pianto
et doglia et morte dentro agli occhi porta:
molto convene accorta
esser qual vista mai ver' lei si giri;
pur che gli occhi non miri,
l'altro puossi veder securamente.
Ma io incauto, dolente,
corro sempre al mio male, et so ben quanto
n'ò sofferto, et n'aspetto; ma l'engordo
voler ch'è cieco et sordo
sí mi trasporta, che 'l bel viso santo
et gli occhi vaghi fien cagion ch'io pèra,
di questa fera angelica innocente.

Surge nel mezzo giorno
una fontana, e tien nome dal sole,
che per natura sòle
bollir le notti, e 'n sul giorno esser fredda;
e tanto si raffredda
quanto 'l sol monta, et quanto è piú da presso.
Cosí aven a me stesso,
che son fonte di lagrime et soggiorno:
quando 'l bel lume adorno
ch'è 'l mio sol s'allontana, et triste et sole
son le mie luci, et notte oscura è loro,
ardo allor; ma se l'oro
e i rai veggio apparir del vivo sole,
tutto dentro et di for sento cangiarme,
et ghiaccio farme, cosí freddo torno.

Un'altra fonte à Epiro,
di cui si scrive ch'essendo fredda ella,
ogni spenta facella
accende, et spegne qual trovasse accesa.
L'anima mia, ch'offesa
anchor non era d'amoroso foco,
appressandosi un poco
a quella fredda, ch'io sempre sospiro,
arse tutta: et martiro
simil già mai né sol vide, né stella,
ch'un cor di marmo a pietà mosso avrebbe;
poi che 'nfiammata l'ebbe,
rispensela vertú gelata et bella.
Cosí piú volte à 'l cor racceso et spento:
i' 'l so che 'l sento, et spesso me 'nadiro.

Fuor tutti nostri lidi,
ne l'isole famose di Fortuna,
due fonti à: chi de l'una
bee, mor ridendo; et chi de l'altra, scampa.
Simil fortuna stampa
mia vita, che morir poria ridendo,
del gran piacer ch'io prendo,
se nol temprassen dolorosi stridi.
Amor, ch'anchor mi guidi
pur a l'ombra di fama occulta et bruna,
tacerem questa fonte, ch'ognor piena,
ma con piú larga vena
veggiam, quando col Tauro il sol s'aduna:
cosí gli occhi miei piangon d'ogni tempo,
ma piú nel tempo che madonna vidi.

Chi spïasse, canzone
quel ch'i' fo, tu pôi dir: Sotto un gran sasso
in una chiusa valle, ond'esce Sorga,
si sta; né chi lo scorga
v'è, se no Amor, che mai nol lascia un passo,
et l'immagine d'una che lo strugge,
ché per sé fugge tutt'altre persone.


136

Fiamma dal ciel su le tue treccie piova,
malvagia, che dal fiume et da le ghiande
per l'altrui impoverir se' ricca et grande,
poi che di mal oprar tanto ti giova;

nido di tradimenti, in cui si cova
quanto mal per lo mondo oggi si spande,
de vin serva, di lecti et di vivande,
in cui Luxuria fa l'ultima prova.

Per le camere tue fanciulle et vecchi
vanno trescando, et Belzebub in mezzo
co' mantici et col foco et co li specchi.

Già non fustú nudrita in piume al rezzo,
ma nuda al vento, et scalza fra gli stecchi:
or vivi sí ch'a Dio ne venga il lezzo.


137

L'avara Babilonia à colmo il sacco
d'ira di Dio, e di vitii empii et rei,
tanto che scoppia, ed à fatti suoi dèi
non Giove et Palla, ma Venere et Bacco.

Aspectando ragion mi struggo et fiacco;
ma pur novo soldan veggio per lei,
lo qual farà, non già quand'io vorrei,
sol una sede, et quella fia in Baldacco.

Gl'idoli suoi sarranno in terra sparsi,
et le torre superbe, al ciel nemiche,
e i suoi torrer' di for come dentro arsi.

Anime belle et di virtute amiche
terranno il mondo; et poi vedrem lui farsi
aurëo tutto, et pien de l'opre antiche.


138

Fontana di dolore, albergo d'ira,
scola d'errori, et templo d'eresia,
già Roma, or Babilonia falsa et ria,
per cui tanto si piange et si sospira;

o fucina d'inganni, o pregion dira,
ove 'l ben more, e 'l mal si nutre et cria,
di vivi inferno, un gran miracol fia
se Cristo teco alfine non s'adira.

Fondata in casta et humil povertate,
contra' tuoi fondatori alzi le corna,
putta sfacciata: et dove ài posto spene?

Ne gli adúlteri tuoi? ne le mal nate
richezze tante? Or Constantin non torna;
ma tolga il mondo tristo che 'l sostene.


139

Quanto piú disïose l'ali spando
verso di voi, o dolce schiera amica,
tanto Fortuna con piú visco intrica
il mio volare, et gir mi face errando.

Il cor che mal suo grado a torno mando,
è con voi sempre in quella valle aprica,
ove 'l mar nostro piú la terra implica;
l'altrier da lui partimmi lagrimando.

I' da man manca, e' tenne il camin dritto;
i' tratto a forza, et e' d'Amore scorto;
egli in Ierusalem, et io in Egipto.

Ma sofferenza è nel dolor conforto;
ché per lungo uso, già fra noi prescripto,
il nostro esser insieme è raro et corto.


140

Amor, che nel penser mio vive et regna
e 'l suo seggio maggior nel mio cor tene,
talor armato ne la fronte vène,
ivi si loca, et ivi pon sua insegna.

Quella ch'amare et sofferir ne 'nsegna
e vòl che 'l gran desio, l'accesa spene,
ragion, vergogna et reverenza affrene,
di nostro ardir fra se stessa si sdegna.

Onde Amor paventoso fugge al core,
lasciando ogni sua impresa, et piange, et trema;
ivi s'asconde, et non appar piú fore.

Che poss'io far, temendo il mio signore,
se non star seco infin a l'ora extrema?
Ché bel fin fa chi ben amando more.


141

Come talora al caldo tempo sòle
semplicetta farfalla al lume avezza
volar negli occhi altrui per sua vaghezza,
onde aven ch'ella more, altri si dole:

cosí sempre io corro al fatal mio sole
degli occhi onde mi vèn tanta dolcezza
che 'l fren de la ragion Amor non prezza,
e chi discerne è vinto da chi vòle.

E veggio ben quant'elli a schivo m'ànno,
e so ch'i' ne morrò veracemente,
ché mia vertú non pò contra l'affanno;

ma sí m'abbaglia Amor soavemente,
ch'i' piango l'altrui noia, et no 'l mio danno;
et cieca al suo morir l'alma consente.

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142

A la dolce ombra de le belle frondi
corsi fuggendo un dispietato lume
che'nfin qua giú m'ardea dal terzo cielo;
et disgombrava già di neve i poggi
l'aura amorosa che rinova il tempo,
et fiorian per le piagge l'erbe e i rami.

Non vide il mondo sí leggiadri rami,
né mosse il vento mai sí verdi frondi
come a me si mostrâr quel primo tempo:
tal che, temendo de l'ardente lume,
non volsi al mio refugio ombra di poggi,
ma de la pianta piú gradita in cielo.

Un lauro mi difese allor dal cielo,
onde piú volte vago de' bei rami
da po' son gito per selve et per poggi;
né già mai ritrovai tronco né frondi
tanto honorate dal supremo lume
che non mutasser qualitate a tempo.

Però piú fermo ognor di tempo in tempo,
seguendo ove chiamar m'udia dal cielo
e scorto d'un soave et chiaro lume,
tornai sempre devoto ai primi rami
et quando a terra son sparte le frondi
et quando il sol fa verdeggiar i poggi.

Selve, sassi, campagne, fiumi et poggi,
quanto è creato, vince et cangia il tempo:
ond'io cheggio perdono a queste frondi,
se rivolgendo poi molt'anni il cielo
fuggir disposi gl' invescati rami
tosto ch'incominciai di veder lume.

Tanto mi piacque prima il dolce lume
ch'i' passai con diletto assai gran poggi
per poter appressar gli amati rami:
ora la vita breve e 'l loco e 'l tempo
mostranmi altro sentier di gire al cielo
et di far frutto, non pur fior' et frondi.

Altr'amor, altre frondi et altro lume,
altro salir al ciel per altri poggi
cerco, ché n'é ben tempo, et altri rami.


143

Quand'io v'odo parlar sí dolcemente
com'Amor proprio a' suoi seguaci instilla,
l'acceso mio desir tutto sfavilla,
tal che 'nfiammar devria l'anime spente.

Trovo la bella donna allor presente,
ovunque mi fu mai dolce o tranquilla
ne l'habito ch'al suon non d'altra squilla
ma di sospir' mi fa destar sovente.

Le chiome a l'aura sparse, et lei conversa
indietro veggio; et cosí bella riede
nel cor, come colei che tien la chiave.

Ma 'l soverchio piacer, che s'atraversa
a la mia lingua, qual dentro ella siede
di mostrarla in palese ardir non ave.


144

Né così bello il sol già mai levarsi
quando 'l ciel fosse piú de nebbia scarco,
né dopo pioggia vidi 'l celeste arco
per l'aere in color' tanti varïarsi,

in quanti fiammeggiando trasformarsi,
nel dí ch'io presi l'amoroso incarco,
quel viso al quale, et son nel mio dir parco,
nulla cosa mortal pote aguagliarsi.

I' vidi Amor che ' begli occhi volgea
soave sí, ch'ogni altra vista oscura
da indi in qua m'incominciò apparere.

Segnuccio, i' 'l vidi, et l'arco che tendea,
tal che mia vita poi non fu secura,
et è sí vaga ancor del rivedere.


145

Pommi ove 'l sole occide i fiori et l'erba,
o dove vince lui il ghiaccio et la neve;
ponmi ov'è 'l carro suo temprato et leve,
et ov'è chi ce 'l rende, o chi ce 'l serba;

ponmi in humil fortuna, od in superba,
al dolce aere sereno, al fosco et greve;
ponmi a la notte, al dí lungo ed al breve,
a la matura etate od a l'acerba;

ponmi in cielo, od in terra, od in abisso,
in alto poggio, in valle ima et palustre,
libero spirto, od a' suoi membri affisso;

ponmi con fama oscura, o con illustre:
sarò qual fui, vivrò com'io son visso,
continüando il mio sospir trilustre.


146

O d'ardente vertute ornata et calda
alma gentil chui tante carte vergo;
o sol già d'onestate intero albergo,
torre in alto valor fondata et salda;

o fiamma, o rose sparse in dolce falda
di viva neve, in ch'io mi specchio e tergo;
o piacer onde l'ali al bel viso ergo,
che luce sovra quanti il sol ne scalda:

del vostro nome, se mie rime intese
fossin sí lunge, avrei pien Tyle et Battro,
la Tana e 'l Nilo, Athlante, Olimpo et Calpe.

Poi che portar nol posso in tutte et quattro
parti del mondo, udrallo il bel paese
ch'Appennin parte, e 'l mar circonda et l'Alpe.


147

Quando 'l voler che con duo sproni ardenti,
et con un duro fren, mi mena et regge
trapassa ad or ad or l'usata legge
per far in parte i miei spirti contenti,

trova chi le paure et gli ardimenti
del cor profondo ne la fronte legge,
et vede Amor che sue imprese corregge
folgorar ne' turbati occhi pungenti.

Onde, come collui che 'l colpo teme
di Giove irato, si ritragge indietro:
ché di gran temenza gran desire affrena.

Ma freddo foco et paventosa speme
de l'alma che traluce come un vetro
talor sua dolce vista rasserena.


148

Non Tesin, Po, Varo, Adige et Tebro,
Eufrate, Tigre, Nilo, Hermo, Indo et Gange,
Tana, Histro, Alpheo, Garona, e 'l mar che frange,
Rodano, Hibero, Ren, Sena, Albia, Era, Hebro;

non edra, abete, pin, faggio, o genebro,
poria 'l foco allentar che 'l cor tristo ange,
quant'un bel rio ch'ad ognor meco piange,
co l'arboscel che 'n rime orno et celebro.

Questo un soccorso trovo tra gli assalti
d'Amore, ove conven ch'armato viva
la vita che trapassa a sí gran salti.

Cosí cresca il bel lauro in fresca riva,
et chi 'l piantò pensier' leggiadri et alti
ne la dolce ombra al suon de l'acque scriva.


149

Di tempo in tempo mi si fa men dura
l'angelica figura e 'l dolce riso,
et l'aria del bel viso
e degli occhi leggiadri meno oscura.

Che fanno meco omai questi sospiri
che nascean di dolore
et mostravan di fore
la mia angosciosa et desperata vita?
S'aven che 'l volto in quella parte giri
per acquetare il core,
parmi vedere Amore
mantener mia ragion, et darmi aita:
né però trovo anchor guerra finita,
né tranquillo ogni stato del cor mio,
ché piú m'arde 'l desio,
quanto piú la speranza m'assicura.


150

- Che fai alma? che pensi? avrem mai pace?
avrem mai tregua? od avrem guerra eterna? -
- Che fia di noi, non so; ma, in quel ch'io scerna,
a' suoi begli occhi il mal nostro non piace. -

- Che pro, se con quelli occhi ella ne face
di state un ghiaccio, un foco quando inverna? -
- Ella non, ma colui che gli governa. -
- Questo ch'è a noi, s'ella s'el vede, et tace? -

- Talor tace la lingua, e 'l cor si lagna
ad alta voce, e 'n vista asciutta et lieta,
piange dove mirando altri non 'l vede. -

- Per tutto ciò la mente non s'acqueta,
rompendo il duol che 'n lei s'accoglie et stagna,
ch'a gran speranza huom misero non crede.


151

Non d'atra et tempestosa onda marina
fuggío in porto già mai stanco nocchiero,
com'io dal fosco et torbido pensero
fuggo ove 'l gran desio mi sprona e 'nchina.

Né mortal vista mai luce divina
vinse, come la mia quel raggio altero
del bel dolce soave bianco et nero,
in che i suoi strali Amor dora et affina.

Cieco non già, ma pharetrato il veggo;
nudo, se non quanto vergogna il vela;
garzon con ali: non pinto, ma vivo.

Indi mi mostra quel ch'a molti cela,
ch'a parte a parte entro a' begli occhi leggo
quant'io parlo d'Amore, et quant'io scrivo.


152

Questa humil fera, un cor di tigre o d'orsa,
che 'n vista humana e 'n forma d'angel vène,
in riso e 'n pianto, fra paura et spene
mi rota sí ch'ogni mio stato inforsa.

Se 'n breve non m'accoglie o non mi smorsa,
ma pur come suol far tra due mi tene,
per quel ch'io sento al cor gir fra le vene
dolce veneno, Amor, mia vita è corsa.

Non pò piú la vertú fragile et stanca
tante varïetati omai soffrire,
che 'n un punto arde, agghiaccia, arrossa e 'nbianca.

Fuggendo spera i suoi dolor' finire,
come colei che d'ora in hora manca:
ché ben pò nulla chi non pò morire.


153

Ite, caldi sospiri, al freddo core,
rompete il ghiaccio che Pietà contende,
et se prego mortale al ciel s'intende,
morte o mercé sia fine al mio dolore.

Ite, dolci penser', parlando fore
di quello ove 'l bel guardo non s'estende:
se pur sua asprezza o mia stella n'offende,
sarem fuor di speranza et fuor d'errore.

Dir se pò ben per voi, non forse a pieno,
che 'l nostro stato è inquïeto et fosco,
sí come 'l suo pacifico et sereno.

Gite securi omai, ch'Amor vèn vosco;
et ria fortuna pò ben venir meno,
s'ai segni del mio sol l'aere conosco.


154

Le stelle, il cielo et gli elementi a prova
tutte lor arti et ogni extrema cura
poser nel vivo lume, in cui Natura
si specchia, e 'l Sol ch'altrove par non trova.

L'opra è sí altera, sí leggiadra et nova
che mortal guardo in lei non s'assecura:
tanta negli occhi bei for di misura
par ch'Amore et dolcezza et gratia piova.

L'aere percosso da' lor dolci rai
s'infiamma d'onestate, et tal diventa,
che 'l dir nostro e 'l penser vince d'assai.

Basso desir non è ch'ivi si senta,
ma d'onor, di vertute: or quando mai
fu per somma beltà vil voglia spenta?


155

Non fur ma' Giove et Cesare sí mossi,
a folminar collui, questo a ferire,
che Pietà non avesse spente l'ire,
e lor de l'usate arme ambeduo scossi.

Piangea madonna, e 'l mio signor ch'i' fossi
volse a vederla, et i suoi lamenti a udire,
per colmarmi di doglia et di desire,
et ricercarmi le medolle et gli ossi.

Quel dolce pianto mi depinse Amore,
anzi scolpío, et que' detti soavi
mi scrisse entro un diamante in mezzo 'l core;

ove con salde ed ingegnose chiavi
ancor torna sovente a trarne fore
lagrime rare et sospir' lunghi et gravi.


156

I' vidi in terra angelici costumi
et celesti bellezze al mondo sole,
tal che di rimembrar mi giova et dole,
ché quant'io miro par sogni, ombre et fumi;

et vidi lagrimar que' duo bei lumi,
ch'àn fatto mille volte invidia al sole;
et udí' sospirando dir parole
che farian gire i monti et stare i fiumi.

Amor, Senno, Valor, Pietate, et Doglia
facean piangendo un piú dolce concento
d'ogni altro che nel mondo udir si soglia;

ed era il cielo a l'armonia sí intento
che non se vedea in ramo mover foglia,
tanta dolcezza avea pien l'aere e 'l vento.


157

Quel sempre acerbo et honorato giorno
mandò sí al cor l'imagine sua viva
che 'ngegno o stil non fia mai che 'l descriva,
ma spesso a lui co la memoria torno.

L'atto d'ogni gentil pietate adorno,
e 'l dolce amaro lamentar ch'i' udiva,
facean dubbiar, se mortal donna o diva
fosse che 'l ciel rasserenava intorno.

La testa òr fino, et calda neve il volto,
hebeno i cigli, et gli occhi eran due stelle,
onde Amor l'arco non tendeva in fallo;

perle et rose vermiglie, ove l'accolto
dolor formava ardenti voci et belle;
fiamma i sospir', le lagrime cristallo.


158

Ove ch'i' posi gli occhi lassi o giri
per quetar la vaghezza che gli spinge,
trovo chi bella donna ivi depinge
per far sempre mai verdi i miei desiri.

Con leggiadro dolor par ch'ella spiri
alta pietà che gentil core stringe:
oltra la vista, agli orecchi orna e 'nfinge
sue voci vive et suoi sancti sospiri.

Amor e 'l ver fur meco a dir che quelle
ch'i' vidi, eran bellezze al mondo sole,
mai non vedute piú sotto le stelle.

Né sí pietose et sí dolci parole
s'udiron mai, né lagrime sí belle
di sí belli occhi uscir vide mai 'l sole.


159

In qual parte del ciel, in quale idea
era l'exempio, onde Natura tolse
quel bel viso leggiadro, in ch'ella volse
mostrar qua giú quanto lassú potea?

Qual nimpha in fonti, in selve mai qual dea,
chiome d'oro sí fino a l'aura sciolse?
quando un cor tante in sé vertuti accolse?
benché la somma è di mia morte rea.

Per divina bellezza indarno mira
chi gli occhi de costei già mai non vide
come soavemente ella gli gira;

non sa come Amor sana, et come ancide,
chi non sa come dolce ella sospira,
et come dolce parla, et dolce ride.


160

Amor et io sí pien' di meraviglia
come chi mai cosa incredibil vide,
miriam costei quand'ella parla o ride
che sol se stessa, et nulla altra, simiglia.

Dal bel seren de le tranquille ciglia
sfavillan sí le mie due stelle fide,
ch'altro lume non è ch'infiammi et guide
chi d'amar altamente si consiglia.

Qual miracolo è quel, quando tra l'erba
quasi un fior siede, over quand'ella preme
col suo candido seno un verde cespo!

Qual dolcezza è ne la stagione acerba
vederla ir sola co i pensier' suoi inseme,
tessendo un cerchio a l'oro terso et crespo!


161

O passi sparsi, o pensier' vaghi et pronti,
o tenace memoria, o fero ardore,
o possente desire, o debil core,
oi occhi miei, occhi non già, ma fonti!

O fronde, honor de le famose fronti,
o sola insegna al gemino valore!
O faticosa vita, o dolce errore,
che mi fate ir cercando piagge et monti!

O bel viso ove Amor inseme pose
gli sproni e 'l fren ond'el mi punge et volve,
come a lui piace, et calcitrar non vale!

O anime gentili et amorose,
s'alcuna à 'l mondo, et voi nude ombre et polve,
deh ristate a veder quale è 'l mio male.


162

Lieti fiori et felici, et ben nate herbe
che madonna pensando premer sòle;
piaggia ch'ascolti sue dolci parole,
et del bel piede alcun vestigio serbe;

schietti arboscelli et verdi frondi acerbe,
amorosette et pallide vïole;
ombrose selve, ove percote il sole
che vi fa co' suoi raggi alte et superbe;

o soave contrada, o puro fiume,
che bagni il suo bel viso et gli occhi chiari
et prendi qualità dal vivo lume;

quanto v'invidio gli atti honesti et cari!
Non fia in voi scoglio omai che per costume
d'arder co la mia fiamma non impari.


163

Amor, che vedi ogni pensero aperto
e i duri passi onde tu sol mi scorgi,
nel fondo del mio cor gli occhi tuoi porgi,
a te palese, a tutt'altri coverto.

Sai quel che per seguirte ò già sofferto:
et tu pur via di poggio in poggio sorgi,
di giorno in giorno, et di me non t'accorgi
che son sí stanco, e 'l sentier m'è troppo erto.

Ben veggio io di lontano il dolce lume
ove aspre vie mi sproni et giri,
ma non ò come tu da volar piume.

Assai contenti lasci i miei desiri,
pur che ben desïando i' mi consume,
né le dispiaccia che per lei sospiri.


164

Or che 'l ciel et la terra e 'l vento tace
et le fere e gli augelli il sonno affrena,
Notte il carro stellato in giro mena
et nel suo letto il mar senz'onda giace,

veggio, penso, ardo, piango; et chi mi sface
sempre m'è inanzi per mia dolce pena:
guerra è 'l mio stato, d'ira et di duol piena,
et sol di lei pensando ò qualche pace.

Cosí sol d'una chiara fonte viva
move 'l dolce et l'amaro ond'io mi pasco;
una man sola mi risana et punge;

e perché 'l mio martir non giunga a riva,
mille volte il dí moro et mille nasco,
tanto da la salute mia son lunge.


165

Come 'l candido pie' per l'erba fresca
i dolci passi honestamente move,
vertú che 'ntorno i fiori apra et rinove,
de le tenere piante sue par ch'esca.

Amor che solo i cor' leggiadri invesca
né degna di provar sua forza altrove,
da' begli occhi un piacer sí caldo piove
ch'i' non curo altro ben né bramo altr'ésca.

Et co l'andar et col soave sguardo
s'accordan le dolcissime parole,
et l'atto mansüeto, humile et tardo.

Di tai quattro faville, et non già sole,
nasce 'l gran foco, di ch'io vivo et ardo,
che son fatto un augel notturno al sole.


166

S'i' fussi stato fermo a la spelunca
là dove Apollo diventò profeta,
Fiorenza avria forse oggi il suo poeta,
non pur Verona et Mantoa et Arunca;

ma perché 'l mio terren piú non s'ingiunca
de l'humor di quel sasso, altro pianeta
conven ch'i' segua, et del mio campo mieta
lappole et stecchi co la falce adunca.

L'oliva è secca, et è rivolta altrove
l'acqua che di Parnaso si deriva,
per cui in alcun tempo ella fioriva.

Cosí sventura over colpa mi priva
d'ogni buon fructo, se l'etterno Giove
de la sua gratia sopra me non piove.


167

Quando Amor i belli occhi a terra inchina
e i vaghi spirti in un sospiro accoglie
co le sue mani, et poi in voce gli scioglie,
chiara, soave, angelica, divina,

sento far del mio cor dolce rapina,
et sí dentro cangiar penseri et voglie,
ch'i' dico: Or fien di me l'ultime spoglie,
se 'l ciel sí honesta morte mi destina.

Ma 'l suon che di dolcezza i sensi lega
col gran desir d'udendo esser beata
l'anima al dipartir presta raffrena.

Cosí mi vivo, et cosí avolge et spiega
lo stame de la vita che m'è data,
questa sola fra noi del ciel sirena.


168

Amor mi manda quel dolce pensero
che secretario anticho è fra noi due,
et mi conforta, et dice che non fue
mai come or presto a quel ch'io bramo et spero.

Io, che talor menzogna et talor vero
ò ritrovato le parole sue,
non so s'i' 'l creda, et vivomi intra due,
né sí né no nel cor mi sona intero.

In questa passa 'l tempo, et ne lo specchio
mi veggio andar ver' la stagion contraria
a sua impromessa, et a la mia speranza.

Or sia che pò: già sol io non invecchio;
già per etate il mio desir non varia;
ben temo il viver breve che n'avanza.


169

Pien d'un vago penser che me desvia
da tutti gli altri, et fammi al mondo ir solo,
ad or ad ora a me stesso m'involo
pur lei cercando che fuggir devria;

et veggiola passar sí dolce et ria
che l'alma trema per levarsi a volo,
tal d'armati sospir' conduce stuolo
questa bella d'Amor nemica, et mia.

Ben s'i' non erro di pietate un raggio
scorgo fra 'l nubiloso, altero ciglio,
che 'n parte rasserena il cor doglioso:

allor raccolgo l'alma, et poi ch'i' aggio
di scovrirle il mio mal preso consiglio,
tanto gli ò a dir, che 'ncominciar non oso.


170

Piú volte già dal bel sembiante humano
ò preso ardir co le mie fide scorte
d'assalir con parole honeste accorte
la mia nemica in atto humile et piano.

Fanno poi gli occhi suoi mio penser vano
perch'ogni mia fortuna, ogni mia sorte,
mio ben, mio male, et mia vita, et mia morte,
quei che solo il pò far, l'à posto in mano.

Ond'io non poté' mai formar parola
ch'altro che da me stesso fosse intesa:
cosí m'ha fatto Amor tremante et fioco.

E veggi' or ben che caritate accesa
lega la lingua altrui, gli spirti invola:
chi pò dir com'egli arde, è 'n picciol foco.


171

Giunto m'à Amor fra belle et crude braccia,
che m'ancidono a torto; et s'io mi doglio,
doppia 'l martir; onde pur, com'io soglio,
il meglio è ch'io mi mora amando, et taccia:

ché poria questa il Ren qualor piú agghiaccia
arder con gli occhi, et rompre ogni aspro scoglio;
et à sí egual a le bellezze orgoglio,
che di piacer altrui par che le spiaccia.

Nulla posso levar io per mi' 'ngegno
del bel diamante, ond'ell'à il cor sí duro;
l'altro è d'un marmo che si mova et spiri:

ned ella a me per tutto 'l suo disdegno
torrà già mai, né per sembiante oscuro,
le mie speranze, e i miei dolci sospiri.


172

O Invidia nimica di vertute,
ch'a' bei principii volentier contrasti,
per qual sentier cosí tacita intrasti
in quel bel petto, et con qual' arti il mute?

Da radice n'ài svelta mia salute:
troppo felice amante mi mostrasti
a quella che' miei preghi humili et casti
gradí alcun tempo, or par ch'odi et refute.

Né però che con atti acerbi et rei
del mio ben pianga, et del mio pianger rida,
poria cangiar sol un de' pensier' mei;

non, perché mille volte il dí m'ancida,
fia ch'io non l'ami, et ch'i' non speri in lei:
che s'ella mi spaventa, Amor m'affida.


173

Mirando 'l sol de' begli occhi sereno,
ove è chi spesso i miei depinge et bagna,
dal cor l'anima stanca si scompagna
per gir nel paradiso suo terreno.

Poi trovandol di dolce et d'amar pieno,
quant'al mondo si tesse, opra d'aragna
vede: onde seco et con Amor si lagna,
ch'à sí caldi gli spron', sí duro 'l freno.

Per questi extremi duo contrari et misti,
or con voglie gelate, or con accese
stassi cosí fra misera et felice;

ma pochi lieti, et molti penser' tristi,
e 'l piú si pente de l'ardite imprese:
tal frutto nasce di cotal radice.


174

Fera stella (se 'l cielo à forza in noi
quant'alcun crede) fu sotto ch'io nacqui,
et fera cuna, dove nato giacqui,
et fera terra, ove' pie' mossi poi;

et fera donna, che con gli occhi suoi,
et con l'arco a cui sol per segno piacqui,
fe' la piaga onde, Amor, teco non tacqui,
che con quell'arme risaldar la pôi.

Ma tu prendi a diletto i dolor' miei:
ella non già, perché non son piú duri,
e 'l colpo è di saetta, et non di spiedo.

Pur mi consola che languir per lei
meglio è, che gioir d'altra; et tu me 'l giuri
per l'orato tuo strale, et io tel credo.


175

Quando mi vène inanzi il tempo e 'l loco
ov'i' perdei me stesso, e 'l caro nodo
ond'Amor di sua man m'avinse in modo
che l'amar mi fe' dolce, e 'l pianger gioco,

solfo et ésca son tutto, e 'l cor un foco
da quei soavi spirti, i quai sempre odo,
acceso dentro sí, ch'ardendo godo,
et di ciò vivo, et d'altro mi cal poco.

Quel sol, che solo agli occhi miei resplende,
co i vaghi raggi anchor indi mi scalda
a vespro tal qual era oggi per tempo;

et cosí di lontan m'alluma e 'ncende,
che la memoria ad ognor fresca et salda
pur quel nodo mi mostra e 'l loco e 'l tempo.


176

Per mezz'i boschi inhospiti et selvaggi,
onde vanno a gran rischio uomini et arme,
vo securo io, ché non pò spaventarme
altri che 'l sol ch'à d'amor vivo i raggi;

et vo cantando (o penser' miei non saggi!)
lei che 'l ciel non poria lontana farme,
ch'i' l'ò negli occhi, et veder seco parme
donne et donzelle, et son abeti et faggi.

Parme d'udirla, udendo i rami et l'òre
et le frondi, et gli augei lagnarsi, et l'acque
mormorando fuggir per l'erba verde.

Raro un silentio, un solitario horrore
d'ombrosa selva mai tanto mi piacque:
se non che dal mio sol troppo si perde.


177

Mille piagge in un giorno et mille rivi
mostrato m'à per la famosa Ardenna
Amor, ch'a' suoi le piante e i cori impenna
per fargli al terzo ciel volando ir vivi.

Dolce m'è sol senz'arme esser stato ivi,
dove armato fier Marte, et non acenna,
quasi senza governo et senza antenna
legni in mar, pien di penser' gravi et schivi.

Pur giunto al fin de la giornata oscura,
rimembrando ond'io vegno, et con quai piume,
sento di troppo ardir nascer paura.

Ma 'l bel paese e 'l difectoso fiume
con serena accoglienza rassecura
il cor già vòlto ov'abita il suo lume.


178

Amor mi sprona in un tempo et affrena,
assecura et spaventa, arde et agghiaccia,
gradisce et sdegna, a sé mi chiama et scaccia,
or mi tene in speranza et or in pena,

or alto or basso il meo cor lasso mena:
onde 'l vago desir perde la traccia
e 'l suo sommo piacer per che li spiaccia,
d'error sí novo la mia mente è piena.

Un amico penser le mostra il vado,
non d'acqua che per gli occhi si resolva,
da gir tosto ove spera esser contenta;

poi, quasi maggior forza indi la svolva,
conven ch'altra via segua, et mal suo grado
a la sua lunga, et mia, morte consenta.


179

Geri, quando talor meco s'adira
la mia dolce nemica, ch'è sí altèra,
un conforto m'è dato ch'i' non pèra,
solo per cui vertú l'alma respira.

Ovunque ella sdegnando li occhi gira
(che di luce privar mia vita spera?)
le mostro i miei pien' d'umiltà sí vera,
ch'a forza ogni suo sdegno indietro tira.

E cciò non fusse, andrei non altramente
a veder lei, che 'l volto di Medusa,
che facea marmo diventar la gente.

Cosí dunque fa' tu: ch'i' veggio exclusa
ogni altra aita, e 'l fuggir val nïente
dinanzi a l'ali che 'l signor nostro usa.


180

Po, ben puo' tu portartene la scorza
di me con tue possenti et rapide onde,
ma lo spirto ch'iv'entro si nasconde
non cura né di tua né d'altrui forza;

lo qual senz'alternar poggia con orza
dritto perl'aure suo desir seconde,
battendo l'ali verso l'aurea fronde,
l'acqua e 'l vento e la vela e i remi sforza.

Re degli altri, superbo altero fiume,
che 'ncontri 'l sol quando e'ne mena 'l giorno,
e 'n ponente abandoni un piú bel lume,

tu te ne vai col mio mortal sul corno;
l'altro coverto d'amorose piume
torna volando al suo dolce soggiorno.


181

Amor fra l'erbe una leggiadra rete
d'oro et di perle tese sott'un ramo
dell'arbor sempre verde ch'i' tant'amo,
benche n'abbia ombre piú triste che liete.

L'ésca fu 'l seme ch'egli sparge et miete,
dolce et acerbo, ch'i' pavento et bramo;
le note non fur mai, dal dí ch'Adamo
aperse gli occhi, sí soavi et quete.

E 'l chiaro lume che sparir fa 'l sole
folgorava d'intorno: e 'l fune avolto
era la man ch'avorio et neve avanza.

Cosí caddi a la rete, et qui m'àn colto
gli atti vaghi et l'angeliche parole,
e 'l piacer e 'l desire et la speranza.


182

Amor, che 'ncende il cor d'ardente zelo,
di gelata paura il tèn constretto,
et qual sia piú, fa dubbio a l'intellecto,
la speranza o 'l temor, la fiamma o 'l gielo.

Trem'al piú caldo, ard'al piú freddo cielo,
sempre pien di desire et di sospetto,
pur come donna in un vestire schietto
celi un huom vivo, o sotto un picciol velo.

Di queste pene è mia propia la prima,
arder dí et notte; et quanto è 'l dolce male
né 'n penser cape, nonche 'n versi o 'n rima;

l'altra non già: ché 'l mio bel foco è tale
ch'ogni uom pareggia; et del suo lume in cima
chi volar pensa, indarno spiega l'ale.


183

Se 'l dolce sguardo di costei m'ancide,
et le soavi parolette accorte,
et s'Amor sopra me la fa sí forte
sol quando parla, over quando sorride,

lasso, che fia, se forse ella divide,
o per mia colpa o per malvagia sorte,
gli occhi suoi da Mercé, sí che di morte,
là dove or m'assicura, allor mi sfide?

Però s'i' tremo, et vo col cor gelato,
qualor veggio cangiata sua figura,
questo temer d'antiche prove è nato.

Femina è cosa mobil per natura:
ond'io so ben ch'un amoroso stato
in cor di donna picciol tempo dura.


184

Amor, Natura, et la bella alma humile,
ov'ogn'altra vertute alberga et regna,
contra men son giurati: Amor s'ingegna
ch'i' mora a fatto, e 'n ciò segue suo stile;

Natura tèn costei d'un sí gentile
laccio, che nullo sforzo è che sostegna;
ella è sí schiva, ch'abitar non degna
piú ne la vita faticosa et vile.

Cosí lo spirto d'or in or vèn meno
a quelle belle care membra honeste
che specchio eran di vera leggiadria;

et s'a Morte Pietà non stringe 'l freno,
lasso, ben veggio in che stato son queste
vane speranze, ond'io viver solia.


185

Questa fenice de l'aurata piuma
al suo bel collo, candido, gentile,
forma senz'arte un sí caro monile,
ch'ogni cor addolcisce, e 'l mio consuma:

forma un diadema natural ch'alluma
l'aere d'intorno; e 'l tacito focile
d'Amor tragge indi un liquido sottile
foco che m'arde a la piú algente bruma.

Purpurea vesta d'un ceruleo lembo
sparso di rose i belli homeri vela:
novo habito, et bellezza unica et sola.

Fama ne l'odorato et ricco grembo
d'arabi monti lei ripone et cela,
che per lo nostro ciel sí altera vola.


186

Se Virgilio et Homero avessin visto
quel sole il qual vegg'io con gli occhi miei,
tutte lor forze in dar fama a costei
avrian posto, et l'un stil coll'altro misto:

di che sarebbe Enea turbato et tristo,
Achille, Ulixe et gli altri semidei,
et quel che resse anni cinquantasei
sí bene il mondo et quel ch'ancise Egisto.

Quel fior anticho di vertuti et d'arme
come sembiante stella ebbe con questo
novo fior d'onestate et di bellezze!

Ennio di quel cantò ruvido carme,
di quest'altro io: et oh pur non molesto
gli sia il mio ingegno, e 'l mio lodar non sprezze!


187

Giunto Alexandro a la famosa tomba
del fero Achille, sospirando disse:
O fortunato, che sí chiara tromba
trovasti, et chi di te sí alto scrisse!

Ma questa pura et candida colomba
a cui non so s'al mondo mai par visse,
nel mio stil frale assai poco rimbomba:
cosí son le sue sorti a ciascun fisse.

Ché d'Omero dignissima et d'Orpheo,
o del pastor ch'anchor Mantova honora,
ch'andassen sempre lei sola cantando,

stella difforme et fato sol qui reo
commise a tal che 'l suo bel nome adora,
ma forse scema sue lode parlando.


188

Almo Sol, quella fronde ch'io sola amo,
tu prima amasti, or sola al bel soggiorno
verdeggia, et senza par poi che l'addorno
suo male et nostro vide in prima Adamo.

Stiamo a mirarla: i' ti pur prego et chiamo,
o Sole; et tu pur fuggi, et fai d'intorno
ombrare i poggi, et te ne porti il giorno,
et fuggendo mi toi quel ch'i' piú bramo.

L'ombra che cade da quel' humil colle,
ove favilla il mio soave foco,
ove 'l gran lauro fu picciola verga,

crescendo mentr'io parlo, agli occhi tolle
la dolce vista del beato loco,
ove 'l mio cor co la sua donna alberga.


189

Passa la nave mia colma d'oblio
per aspro mare, a mezza notte il verno,
enfra Scilla et Caribdi; et al governo
siede 'l signore, anzi 'l nimico mio.

A ciascun remo un penser pronto et rio
che la tempesta e 'l fin par ch'abbi a scherno;
la vela rompe un vento humido eterno
di sospir', di speranze, et di desio.

Pioggia di lagrimar, nebbia di sdegni
bagna et rallenta le già stanche sarte,
che son d'error con ignorantia attorto.

Celansi i duo mei dolci usati segni;
morta fra l'onde è la ragion et l'arte,
tal ch'incomincio a desperar del porto.


190

Una candida cerva sopra l'erba
verde m'apparve, con duo corna d'oro,
fra due riviere, all'ombra d'un alloro,
levando 'l sole a la stagione acerba.

Era sua vista sí dolce superba,
ch'i' lasciai per seguirla ogni lavoro:
come l'avaro che 'n cercar tesoro
con diletto l'affanno disacerba.

" Nessun mi tocchi - al bel collo d'intorno
scritto avea di diamanti et di topazi - :
libera farmi al mio Cesare parve ".

Et era 'l sol già vòlto al mezzo giorno,
gli occhi miei stanchi di mirar, non sazi,
quand'io caddi ne l'acqua, et ella sparve.


191

Sí come eterna vita è veder Dio,
né piú si brama, né bramar piú lice,
cosí me, donna, il voi veder, felice
fa in questo breve et fraile viver mio.

Né voi stessa com'or bella vid'io
già mai, se vero al cor l'occhio ridice:
dolce del mio penser hora beatrice,
che vince ogni alta speme, ogni desio.

Et se non fusse il suo fuggir sí ratto,
piú non demanderei: che s'alcun vive
sol d'odore, e tal fama fede acquista,

alcun d'acqua o di foco, e 'l gusto e 'l tatto
acquetan cose d'ogni dolzor prive,
i' perché non de la vostra alma vista?


192

Stiamo, Amor, a veder la gloria nostra,
cose sopra natura altere et nove:
vedi ben quanta in lei dolcezza piove,
vedi lume che 'l cielo in terra mostra,

vedi quant'arte dora e 'mperla e 'nostra
l'abito electo, et mai non visto altrove,
che dolcemente i piedi et gli occhi move
per questa di bei colli ombrosa chiostra.

L'erbetta verde e i fior' di color' mille
sparsi sotto quel' elce antiqua et negra
pregan pur che 'l bel pe' li prema o tocchi;

e 'l ciel di vaghe et lucide faville
s'accende intorno, e 'n vista si rallegra
d'esser fatto seren da sí belli occhi.


193

Pasco la mente d'un sí nobil cibo,
ch'ambrosia et nectar non invidio a Giove,
ché, sol mirando, oblio ne l'alma piove
d'ogni altro dolce, et Lethe al fondo bibo.

Talor ch'odo dir cose, e 'n cor describo,
per che da sospirar sempre ritrove,
rapto per man d'Amor, né so ben dove,
doppia dolcezza in un volto delibo:

ché quella voce infin al ciel gradita
suona in parole sí leggiadre et care,
che pensar no 'l poria chi non l'à udita.

Allor insieme, in men d'un palmo, appare
visibilmente quanto in questa vita
arte, ingegno et Natura e 'l Ciel pò fare.


194

L'aura gentil, che rasserena i poggi
destando i fior' per questo ombroso bosco,
al soave suo spirto riconosco,
per cui conven che 'n pena e 'n fama poggi.

Per ritrovar ove 'l cor lasso appoggi,
fuggo dal mi' natio dolce aere tosco;
per far lume al penser torbido et fosco,
cerco 'l mio sole et spero vederlo oggi.

Nel qual provo dolcezze tante et tali
ch'Amor per forza a lui mi riconduce;
poi sí m'abbaglia che 'l fuggir m'è tardo.

I' chiedrei a scampar, non arme, anzi ali;
ma perir mi dà 'l ciel per questa luce,
ché da lunge mi struggo et da presso ardo.


195

Di dí in dí vo cangiando il viso e 'l pelo,
né però smorso i dolce inescati hami,
né sbranco i verdi et invescati rami
de l'arbor che né sol cura né gielo.

Senz'acqua il mare et senza stelle il cielo
fia inanzi ch'io non sempre tema et brami
la sua bell'ombra, et ch'i' non odi et ami
l'alta piaga amorosa, che mal celo.

Non spero del mio affanno aver mai posa,
infin ch'i' mi disosso et snervo et spolpo,
o la nemica mia pietà n'avesse.

Esser pò in prima ogni impossibil cosa,
ch'altri che morte, od ella, sani 'l colpo
ch'Amor co' suoi belli occhi al cor m'impresse.


196

L'aura serena che fra verdi fronde
mormorando a ferir nel volto viemme,
fammi risovenir quand'Amor diemme
le prime piaghe, sí dolci profonde;

e 'l bel viso veder, ch'altri m'asconde,
che sdegno o gelosia celato tiemme;
et le chiome or avolte in perle e 'n gemme,
allora sciolte, et sovra òr terso bionde:

le quali ella spargea sí dolcemente,
et raccogliea con sí leggiadri modi,
che ripensando ancor trema la mente;

torsele il tempo poi in piú saldi nodi,
et strinse 'l cor d'un laccio sí possente,
che Morte sola fia ch'indi lo snodi.


197

L'aura celeste che 'n quel verde lauro
spira, ov'Amor ferí nel fianco Apollo,
et a me pose un dolce giogo al collo,
tal che mia libertà tardi restauro,

pò quello in me che nel gran vecchio mauro
Medusa quando in selce transformollo;
né posso dal bel nodo omai dar crollo,
là 've il sol perde, non pur l'ambra, o l'auro:

dico le chiome bionde, e 'l crespo laccio,
che sí soavemente lega et stringe
l'alma che d'umiltate e non d'altr'armo.

L'ombra sua sola fa 'l mio cor un ghiaccio,
et di bianca paura il viso tinge;
ma li occhi ànno vertú di farne un marmo.


198

L'aura soave al sole spiega et vibra
l'auro ch'Amor di sua man fila et tesse
là da' begli occhi, et de le chiome stesse
lega 'l cor lasso, e i lievi spirti cribra.

Non ò medolla in osso, o sangue in fibra,
ch'i' non senta tremar, pur ch'i' m'apresse
dove è chi morte et vita inseme, spesse
volte, in frale bilancia appende et libra,

vedendo ardere i lumi ond'io m'accendo,
et folgorare i nodi ond'io son preso,
or su l'omero dextro et or sul manco.

I' nol posso ridir, ché nol comprendo:
da ta' due luci è l'intellecto offeso,
et di tanta dolcezza oppresso et stanco.


199

O bella man, che mi destringi 'l core,
e 'n poco spatio la mia vita chiudi;
man ov'ogni arte et tutti i lor studi
poser Natura e 'l Ciel per farsi honore;

di cinque perle orïental' colore,
et sol ne le mie piaghe acerbi et crudi,
diti schietti soavi, a tempo ignudi
consente or voi, per arricchirme, Amore.

Candido leggiadretto et caro guanto,
che copria netto avorio et fresche rose,
chi vide al mondo mai sí dolci spoglie?

Cosí avess'io del bel velo altrettanto!
O incostantia de l'umane cose!
Pur questo è furto, et vien chi me ne spoglie.


200

Non pur quell'una bella ignuda mano,
che con grave mio danno si riveste,
ma l'altra et le duo braccia accorte et preste
son a stringere il cor timido et piano.

Lacci Amor mille, et nesun tende invano,
fra quelle vaghe nove forme honeste
ch'adornan sí l'alto habito celeste,
ch'agiunger nol pò stil né 'ngegno humano:

li occhi sereni et le stellanti ciglia,
la bella bocca angelica, di perle
piena et di rose et di dolci parole,

che fanno altrui tremar di meraviglia,
et la fronte, et le chiome, ch'a vederle
di state, a mezzo dí, vincono il sole.


201

Mia ventura et Amor m'avean sí adorno
d'un bello aurato et serico trapunto,
ch'al sommo del mio ben quasi era aggiunto,
pensando meco: A chi fu quest'intorno?

Né mi riede a la mente mai quel giorno
che mi fe' ricco et povero in un punto,
ch'i' non sia d'ira et di dolor compunto,
pien di vergogna et d'amoroso scorno,

che la mia nobil preda non piú stretta
tenni al bisogno, et non fui piú costante
contra lo sforzo sol d'una angioletta;

o, fugendo, ale non giunsi a le piante,
per far almen di quella man vendetta
che de li occhi mi trahe lagrime tante.


202

D'un bel chiaro polito et vivo ghiaccio
move la fiamma che m'incende et strugge,
et sí le vène e 'l cor m'asciuga et sugge
che 'nvisibilmente i' mi disfaccio.

Morte, già per ferire alzato 'l braccio,
come irato ciel tona o leon rugge,
va perseguendo mia vita che fugge;
et io, pien di paura, tremo et taccio.

Ben poria anchor Pietà con Amor mista,
per sostegno di me, doppia colonna
porsi fra l'alma stancha e 'l mortal colpo;

ma io nol credo, né 'l conosco in vista
di quella dolce mia nemica et donna:
né di ciò lei, ma mia ventura incolpo.


203

Lasso, ch'i' ardo, et altri non me 'l crede;
sí crede ogni uom, se non sola colei
che sovr'ogni altra, et ch'i' sola, vorrei:
ella non par che 'l creda, et sí sel vede.

Infinita bellezza et poca fede,
non vedete voi 'l cor nelli occhi mei?
Se non fusse mia stella, i' pur devrei
al fonte di pietà trovar mercede.

Quest'arder mio, di che vi cal sí poco,
e i vostri honori, in mie rime diffusi,
ne porian infiammar fors'anchor mille:

ch'i' veggio nel penser, dolce mio foco,
fredda una lingua et duo belli occhi chiusi
rimaner, dopo noi, pien' di faville.


204

Anima, che diverse cose tante
vedi, odi et leggi et parli et scrivi et pensi;
occhi miei vaghi, et tu, fra li altri sensi,
che scorgi al cor l'alte parole sante:

per quanto non vorreste o poscia od ante
esser giunti al camin che sí mal tiensi,
per non trovarvi i duo bei lumi accensi,
né l'orme impresse de l'amate piante?

Or con sí chiara luce, et con tai segni,
errar non dêsi in quel breve vïaggio,
che ne pò far d'etterno albergo degni.

Sfòrzati al cielo, o mio stancho coraggio,
per la nebbia entro de' suoi dolci sdegni,
seguendo i passi honesti e 'l divo raggio.


205

Dolci ire, dolci sdegni et dolci paci,
dolce mal, dolce affanno et dolce peso,
dolce parlare, et dolcemente inteso,
or di dolce òra, or pien di dolci faci:

alma, non ti lagnar, ma soffra et taci,
et tempra il dolce amaro, che n'à offeso,
col dolce honor che d'amar quella ài preso
a cui io dissi: Tu sola mi piaci.

Forse anchor fia chi sospirando dica,
tinto di dolce invidia: Assai sostenne
per bellissimo amor quest'al suo tempo.

Altri: O fortuna agli occhi miei nemica,
perché non la vid'io? perché non venne
ella piú tardi, over io piú per tempo?


206

S'i' 'l dissi mai, ch'i' vegna in odio a quella
del cui amor vivo, et senza 'l qual morrei;
s'i' 'l dissi, che miei dí sian pochi et rei,
et di vil signoria l'anima ancella;
s'i' 'l dissi, contra me s'arme ogni stella,
et dal mio lato sia
Paura et Gelosia,
et la nemica mia
piú feroce ver 'me sempre et piú bella.

S'i' 'l dissi, Amor l'aurate sue quadrella
spenda in me tutte, et l'impiombate in lei;
s'i' 'l dissi, cielo et terra, uomini et dèi
mi sian contrari, et essa ognor piú fella;
s'i' 'l dissi, chi con sua cieca facella
dritto a morte m'invia,
pur come suol si stia,
né mai piú dolce o pia
ver' me si mostri, in atto od in favella.

S'i' 'l dissi mai, di quel ch'i' men vorrei
piena trovi quest'aspra et breve via;
s'i' 'l dissi, il fero ardor che mi desvia
cresca in me quanto il fier ghiaccio in costei;
s'i' 'l dissi, unqua non veggianli occhi mei
sol chiaro, o sua sorella,
né donna né donzella,
ma terribil procella,
qual Pharaone in perseguir li hebrei.

S'i' 'l dissi, coi sospir, quant'io mai fei,
sia Pietà per me morta, et Cortesia;
s'i' 'l dissi, il dir s'innaspri, che s'udia
sí dolce allor che vinto mi rendei;
s'i' 'l dissi, io spiaccia a quella ch'i'torrei
sol, chiuso in fosca cella,
dal dí che la mamella
lasciai, finché si svella
da me l'alma, adorar: forse e 'l farei.

Ma s'io nol dissi, chi sí dolce apria
meo cor a speme ne l'età novella,
regg 'anchor questa stanca navicella
col governo di sua pietà natia,
né diventi altra, ma pur qual solia
quando piú non potei,
che me stesso perdei
(né piú perder devrei).
Mal fa chi tanta fe' sí tosto oblia.

I'nol dissi già mai, né per dir poria
per oro o per cittadi o per castella.
Vinca 'l ver dunque, et si rimanga in sella,
et vinta a terra caggia la bugia.
Tu sai in me il tutto, Amor: s'ella ne spia,
dinne quel che dir dêi.
I' beato direi,
tre volte et quattro et sei,
chi, devendo languir, si morí pria.

Per Rachel ò servito, et non per Lia;
né con altra saprei
viver, et sosterrei,
quando 'l ciel ne rappella,
girmen con ella in sul carro de Helia.


207

Ben mi credea passar mio tempo omai
come passato avea quest'anni a dietro,
senz'altro studio et senza novi ingegni:
or poi che da madonna i' non impetro
l'usata aita, a che condutto m'ài,
tu 'l vedi, Amor, che tal arte m'insegni.
Non so s'i' me ne sdegni,
che 'n questa età mi fa divenir ladro
del bel lume leggiadro,
senza 'l qual non vivrei in tanti affanni.
Cosí avess'io i primi anni
preso lo stil ch'or prender mi bisogna,
ché 'n giovenil fallir è men vergogna.

Li occhi soavi ond'io soglio aver vita,
de le divine lor alte bellezze
fûrmi in sul cominciar tanto cortesi,
che 'n guisa d'uom cui non proprie ricchezze,
ma celato di for soccorso aita,
vissimi, che né lor né altri offesi.
Or, bench'a me ne pesi,
divento ingiurïoso et importuno:
ché 'l poverel digiuno
vèn ad atto talor che 'n miglior stato
avria in altrui biasmato.
Se le man' di Pietà Invidia m'à chiuse,
fame amorosa, e 'l non poter, mi scuse.

Ch'i' ò cercate già vie piú di mille
per provar senza lor se mortal cosa
mi potesse tener in vita un giorno.
L'anima, poi ch'altrove non à posa,
corre pur a l'angeliche faville;
et io, che son di cera, al foco torno;
et pongo mente intorno
ove si fa men guardia a quel ch'i' bramo;
et come augel in ramo,
ove men teme, ivi piú tosto è colto,
cosí dal suo bel volto
l'involo or uno et or un altro sguardo;
et di ciò inseme mi nutrico et ardo.

Di mia morte mi pasco, et vivo in fiamme:
stranio cibo, et mirabil salamandra;
ma miracol non è, da tal si vòle.
Felice agnello a la penosa mandra
mi giacqui un tempo; or a l'extremo famme
et Fortuna et Amor pur come sòle:
cosí rose et vïole
à primavera, e 'l verno à neve et ghiaccio.
Però, s'i' mi procaccio
quinci et quindi alimenti al viver curto,
se vòl dir che sia furto,
sí ricca donna deve esser contenta,
s'altri vive del suo, ch'ella nol senta.

Chi nol sa di chi vivo, et vissi sempre,
dal dí che 'n prima que' belli occhi vidi,
che mi fecer cangiar vita et costume?
Per cercar terra et mar da tutti lidi,
chi pò saver tutte l'umane tempre?
L'un vive, ecco, d'odor, là sul gran fiume;
io qui di foco et lume
queto i frali et famelici miei spirti.
Amor, et vo' ben dirti,
disconvensi a signor l'esser sí parco.
Tu ài li strali et l'arco:
fa' di tua man, non pur bramand'io mora,
ch'un bel morir tutta la vita honora.

Chiusa fiamma è piú ardente; et se pur cresce,
in alcun modo piú non pò celarsi:
Amor, i 'l so, che 'l provo a le tue mani.
Vedesti ben, quando sí tacito arsi;
or de' miei gridi a ma medesmo incresce,
che vo noiando et proximi et lontani.
O mondo, o penser' vani;
o mia forte ventura a che m'adduce!
O di che vaga luce
al cor mi nacque la tenace speme,
onde l'annoda et preme
quella che con tua forza al fin mi mena!
La colpa è vostra, et mio 'l danno et la pena.

Cosí di ben amar porto tormento,
et del peccato altrui cheggio perdóno:
anzi del mio, che devea torcer li occhi
dal troppo lume, et di sirene al suono
chiuder li orecchi; et anchor non me 'n pento,
che di dolce veleno il cor trabocchi.
Aspett'io pur che scocchi
l'ultimo colpo chi mi diede 'l primo;
et fia, s'i' dritto extimo,
un modo di pietate occider tosto,
non essendo ei disposto
a far altro di me che quel che soglia:
ché ben muor chi morendo esce di doglia.

Canzon mia, fermo in campo
starò, ch'elli è disnor morir fuggendo;
et me stesso reprendo
di tai lamenti; sí dolce è mia sorte,
pianto, sospiri et morte.
Servo d'Amor, che queste rime leggi,
ben non à 'l mondo, che 'l mio mal pareggi.


208

Rapido fiume che d'alpestra vena
rodendo intorno, onde 'l tuo nome prendi,
notte et dí meco disïoso scendi
ov'Amor me, te sol Natura mena,

vattene innanzi: il tuo corso non frena
né stanchezza né sonno; et pria che rendi
suo dritto al mar, fiso u' si mostri attendi
l'erba piú verde, et l'aria piú serena.

Ivi è quel nostro vivo et dolce sole,
ch'addorna e 'nfiora la tua riva manca:
forse (o che spero?) e 'l mio tardar le dole.

Basciale 'l piede, o la man bella et bianca;
dille, e 'l basciar sie 'nvece di parole:
Lo spirto è pronto, ma la carne è stanca.


209

I dolci colli ov'io lasciai me stesso,
partendo onde partir già mai non posso,
mi vanno innanzi et émmi, ognor adosso
quel caro peso ch'Amor m'à commesso.

Meco di me mi meraviglio spesso,
ch'i' pur vo sempre, et non son anchor mosso
dal bel giogo piú volte indarno scosso,
ma com piú me n'allungo, et piú m'appresso.

Et qual cervo ferito di saetta,
col ferro avelenato dentr'al fianco,
fugge, et piú duolsi quanto piú s'affretta,

tal io, con quello stral dal lato manco,
che mi consuma, et parte mi diletta,
di duol mi struggo, et di fuggir mi stanco.


210

Non da l'hispano Hibero a l'indo Ydaspe
ricercando del mar ogni pendice,
né dal lito vermiglio a l'onde caspe,
né 'n ciel né 'n terra è piú d'una fenice.

Qual dextro corvo o qual mancha cornice
canti 'l mio fato, o qual Parca l'innaspe?
che sol trovo Pietà sorda com'aspe,
misero, onde sperava esser felice.

Ch'i' non vo' dir di lei: ma chi la scorge,
tutto 'l cor di dolcezza et d'amor gli empie,
tanto n'à seco, et tant'altrui ne porge;

et per far mie dolcezze amare et empie,
o s'infinge o non cura, o non s'accorge,
del fiorir queste inanzi tempo tempie.


211

Voglia mi sprona, Amor mi guida et scorge,
Piacer mi tira, Usanza mi trasporta,
Speranza mi lusinga et riconforta
et la man destra al cor già stanco porge;

e 'l misero la prende, et non s'accorge
di nostra cieca et disleale scorta:
regnano i sensi, et la ragion è morta;
de l'un vago desio l'altro risorge.

Vertute, Honor, Bellezza, atto gentile,
dolci parole ai be' rami m'àn giunto
ove soavemente il cor s'invesca.

Mille trecento ventisette, a punto
su l'ora prima, il dí sesto d'aprile,
nel laberinto intrai, né veggio ond'esca.


212

Beato in sogno et di languir contento,
d'abbracciar l'ombre et seguir l'aura estiva,
nuoto per mar che non à fondo o riva,
solco onde, e 'n rena fondo, et scrivo in vento;

e 'l sol vagheggio, sí ch'elli à già spento
col suo splendor la mia vertú visiva,
et una cerva errante et fugitiva
caccio con un bue zoppo e 'nfermo et lento.

Cieco et stanco ad ogni altro ch'al mio danno
il qual dí et notte palpitando cerco,
sol Amor et madonna, et Morte, chiamo.

Cosí venti anni, grave et lungo affanno,
pur lagrime et sospiri et dolor merco:
in tale stella presi l'èsca et l'amo.


213

Grazie ch'a pochi il ciel largo destina:
rara vertú, non già d'umana gente,
sotto biondi capei canuta mente,
e 'n humil donna alta beltà divina;

leggiadria singulare et pellegrina,
e 'l cantar che ne l'anima si sente,
l'andar celeste, e 'l vago spirto ardente,
ch'ogni dur rompe et ogni altezza inchina;

e que' belli occhi che i cor' fanno smalti,
possenti a rischiarar abisso et notti,
et tôrre l'alme a' corpi, et darle altrui;

col dir pien d'intellecti dolci et alti,
co i sospiri soave-mente rotti:
da questi magi transformato fui.


214

Anzi tre dí creata era alma in parte
da por sua cura in cose altere et nove,
et dispregiar di quel ch'a molti è 'n pregio.
Quest'anchor dubbia del fatal suo corso,
sola pensando, pargoletta et sciolta,
intrò di primavera in un bel bosco.

Era un tenero fior nato in quel bosco
il giorno avanti, et la radice in parte
ch'appressar nol poteva anima sciolta:
ché v'eran di lacciuo' forme sí nove,
et tal piacer precipitava al corso,
che perder libertate ivi era in pregio.

Caro, dolce, alto et faticoso pregio,
che ratto mi volgesti al verde bosco
usato di svïarne a mezzo 'l corso!
Et ò cerco poi 'l mondo a parte a parte,
se versi o petre o suco d'erbe nove
mi rendesser un dí la mente sciolta.

Ma, lasso, or veggio che la carne sciolta
fia di quel nodo ond'è 'l suo maggior pregio
prima che medicine, antiche o nove,
saldin le piaghe ch'i' presi in quel bosco,
folto di spine, ond'i' ò ben tal parte,
che zoppo n'esco, e 'ntra'vi a sí gran corso.

Pien di lacci et di stecchi un duro corso
aggio a fornire, ove leggera et sciolta
pianta avrebbe uopo, et sana d'ogni parte.
Ma Tu, Signor, ch'ài di pietate il pregio,
porgimi la man dextra in questo bosco:
vinca 'l Tuo sol le mie tenebre nove.

Guarda 'l mio stato, a le vaghezze nove
che 'nterrompendo di mia vita il corso
m'àn fatto habitador d'ombroso bosco;
rendimi, s'esser pò, libera et sciolta
l'errante mia consorte; et fia Tuo 'l pregio,
s'anchor Teco la trovo in miglior parte.

Or ecco in parte le question' mie nove:
s'alcun pregio in me vive, o 'n tutto è corso,
o l'alma sciolta, o ritenuta al bosco.


215

In nobil sangue vita humile et queta
et in alto intellecto un puro core,
frutto senile in sul giovenil fiore
e 'n aspetto pensoso anima lieta

raccolto à 'n questa donna il suo pianeta,
anzi 'l re de le stelle; e 'l vero honore,
le degne lode, e 'l gran pregio, e 'l valore,
ch'è da stanchar ogni divin poeta.

Amor s'è in lei con Honestate aggiunto,
con beltà naturale habito adorno,
et un atto che parla con silentio,

et non so che nelli occhi, che 'n un punto
pò far chiara la notte, oscuro il giorno,
e l' mèl amaro, et addolcir l'assentio.


216

Tutto 'l dí piango; et poi la notte, quando
prendon riposo i miseri mortali,
trovomi in pianto, et raddoppiansi i mali:
cosí spendo 'l mio tempo lagrimando.

In tristo humor vo li occhi comsumando,
e 'l cor in doglia; et son fra li animali
l'ultimo, sí che li amorosi strali
mi tengon ad ogni or di pace in bando.

Lasso, che pur da l'un a l'altro sole,
et da l'una ombra a l'altra, ò già 'l piú corso
di questa morte, che si chiama vita.

Piú l'altrui fallo che 'l mi' mal mi dole:
ché Pietà viva, e 'l mio fido soccorso,
vèdem' arder nel foco, et non m'aita.


217

Già desïai con sí giusta querela
e 'n sí fervide rime farmi udire,
ch'un foco di pietà fessi sentire
al duro cor ch'a mezza state gela;

et l'empia nube, che 'l rafredda et vela,
rompesse a l'aura del mi' ardente dire;
o fessi quell'altrui in odio venire,
che ' belli, onde mi strugge, occhi mi cela.

Or non odio per lei, per me pietate
cerco: ché quel non vo', questo non posso
(tal fu mia stella, et tal mia cruda sorte);

ma canto la divina sua beltate,
ché, quand'i' sia di questa carne scosso,
sappia 'l mondo che dolce è la mia morte.


218

Tra quantunque leggiadre donne et belle
giunga costei ch'al mondo non à pare,
col suo bel viso suol dell'altre fare
quel che fa 'l dí de le minori stelle.

Amor par ch'a l'orecchie mi favelle,
dicendo: Quanto questa in terra appare,
fia 'l viver bello; et poi 'l vedrem turbare,
perir vertuti, e 'l mio regno con elle.

Come Natura al ciel la luna e 'l sole,
a l'aere i vènti, a la terra herbe et fronde,
a l'uomo et l'intellecto et le parole,

et al mar ritollesse i pesci et l'onde:
tanto et piú fien le cose oscure et sole,
se Morte li occhi suoi chiude et asconde.


219

Il cantar novo e 'l pianger delli augelli
in sul dí fanno retenir le valli,
e 'l mormorar de' liquidi cristalli
giú per lucidi, freschi rivi et snelli.

Quella ch'à neve il vòlto, oro i capelli,
nel cui amor non fur mai inganni né falli,
destami al suon delli amorosi balli,
pettinando al suo vecchio i bianchi velli.

Cosí mi sveglio a salutar l'aurora,
e 'l sol ch'è seco, et piú l'altro ond'io fui
ne' primi anni abagliato, et son anchora.

I' gli ò veduti alcun giorno ambedui
levarsi inseme, e 'n un punto e 'n un' hora
quel far le stelle, et questi sparir lui.


220

Onde tolse Amor l'oro, et di qual vena,
per far due trecce bionde? e 'n quali spine
colse le rose, e 'n qual piaggia le brine
tenere et fresche, et die' lor polso et lena?

onde le perle, in ch'ei frange et affrena
dolci parole, honeste et pellegrine?
onde tante bellezze, et sí divine,
di quella fronte, piú che 'l ciel serena?

Da quali angeli mosse, et di qual spera,
quel celeste cantar che mi disface
sí che m'avanza omai da disfar poco?

Di qual sol nacque l'alma luce altera
di que' belli occhi ond'io ò guerra et pace,
che mi cuocono il cor in ghiaccio e 'n fuoco?


221

Qual mio destìn, qual forza o qual inganno,
mi riconduce disarmato al campo,
là 've sempre son vinto? e s'io ne scampo,
meraviglia n'avrò; s'i' moro, il danno.

Danno non già, ma pro; sí dolci stanno
nel mio cor le faville e 'l chiaro lampo
che l'abbaglia et lo strugge, e 'n ch'io m'avampo,
et son già ardendo nel vigesimo anno.

Sento i messi di Morte, ove apparire
veggio i belli occhi, et folgorar da lunge;
poi, s'avèn ch'appressando a me li gire,

Amor con tal dolcezza m'unge et punge,
ch'i' nol so ripensar, nonché ridire:
ché né 'ngegno né lingua al vero agiunge.


222

- Liete et pensose, accompagnate et sole,
donne che ragionando ite per via,
ove è la vita, ove la morte mia?
perché non è con voi, com'ella sòle?

- Liete siam per memoria di quel sole;
dogliose per sua dolce compagnia,
la qual ne toglie Invidia et Gelosia,
che d'altrui ben, quasi suo mal, si dole.

- Chi pon freno a li amanti, o dà lor legge?
- Nesun a l'alma; al corpo Ira et Asprezza:
questo or in lei, tal or si prova in noi.

Ma spesso ne la fronte il cor si legge:
sí vedemmo oscurar l'alta bellezza,
et tutti rugiadosi li occhi suoi.


223

Quando 'l sol bagna in mar l'aurato carro,
et l'aere nostro et la mia mente imbruna,
col cielo et co le stelle et co la luna
un'angosciosa et dura notte innarro.

Poi, lasso, a tal che non m'ascolta narro
tutte le mie fatiche, ad una ad una,
et col mondo et con mia cieca fortuna,
con Amor con Madonna et meco garro.

Il sonno è 'n bando, et del riposo è nulla;
ma sospiri et lamenti infin a l'alba,
et lagrime che l'alma a li occhi invia.

Vien poi l'aurora, et l'aura fosca inalba,
me no: ma 'l sol che 'l cor m'arde et trastulla,
quel pò solo adolcir la doglia mia.


224

S'una fede amorosa, un cor non finto,
un languir dolce, un desïar cortese;
s'oneste voglie in gentil foco accese,
un lungo error in cieco laberinto;

se ne la fronte ogni penser depinto,
od in voci interrotte a pena intese,
or da paura, or da vergogna offese;
s'un pallor di vïola et d'amor tinto;

s'aver altrui piú caro che se stesso;
se sospirare et lagrimar mai sempre,
pascendosi di duol, d'ira et d'affanno,

s'arder da lunge et agghiacciar da presso
son le cagion ch'amando i' mi distempre,
vostro, donna, 'l peccato, et mio fia 'l danno.


225

Dodici donne honestamente lasse,
anzi dodici stelle, e 'n mezzo un sole,
vidi in una barchetta allegre et sole,
qual non so s'altra mai onde solcasse.

Simil non credo che Iason portasse
al vello onde oggi ogni uom vestir si vòle,
né 'l pastor di ch'anchor Troia si dole;
de' qua' duo tal romor al mondo fasse.

Poi le vidi in un carro trïumfale,
Laurëa mia con suoi santi atti schifi
sedersi in parte, et cantar dolcemente.

Non cose humane, o visïon mortale:
felice Autumedon, felice Tiphi,
che conduceste sí leggiadra gente!


226

Passer mai solitario in alcun tetto
non fu quant'io, né fera in alcun bosco,
ch'i' non veggio 'l bel viso, et non conosco
altro sol, né quest'occhi ànn'altro obiecto.

Lagrimar sempre è 'l mio sommo diletto,
il rider doglia, il cibo assentio et tòsco,
la notte affanno, e 'l ciel seren m'è fosco,
et duro campo di battaglia il letto.

Il sonno è veramente, qual uom dice,
parente de la morte, e 'l cor sottragge
a quel dolce penser che 'n vita il tene.

Solo al mondo paese almo, felice,
verdi rive fiorite, ombrose piagge,
voi possedete, et io piango, il mio bene.


227

Aura che quelle chiome bionde et crespe
cercondi et movi, et se' mossa da loro,
soavemente, et spargi quel dolce oro,
et poi 'l raccogli, e 'n bei nodi il rincrespe,

tu stai nelli occhi ond'amorose vespe
mi pungon sí, che 'nfin qua il sento et ploro,
et vacillando cerco il mio thesoro,
come animal che spesso adombre e 'ncespe:

ch'or me 'l par ritrovar, et or m'accorgo
ch'i' ne son lunge, or mi sollievo or caggio,
ch'or quel ch'i' bramo, or quel ch'è vero scorgo.

Aër felice, col bel vivo raggio
rimanti; et tu corrente et chiaro gorgo,
ché non poss'io cangiar teco vïaggio?


228

Amor co la man dextra il lato manco
m'aperse, e piantòvi entro in mezzo 'l core
un lauro verde, sí che di colore
ogni smeraldo avria ben vinto et stanco.

Vomer di pena, con sospir' del fianco,
e 'l piover giú dalli occhi un dolce humore
l'addornâr sì, ch'al ciel n'andò l'odore,
qual non so già se d'altre frondi unquanco.

Fama, Honor et Vertute et Leggiadria,
casta bellezza in habito celeste
son le radici de la nobil pianta.

Tal la mi trovo al petto, ove ch'i' sia,
felice incarco; et con preghiere honeste
l'adoro e 'nchino come cosa santa.


229

Cantai, or piango, et non men di dolcezza
del pianger prendo che del canto presi,
ch'a la cagion, non a l'effetto, intesi
son i miei sensi vaghi pur d'altezza.

Indi et mansüetudine et durezza
et atti feri, et humili et cortesi,
porto egualmente, né me gravan pesi,
né l'arme mie punta di sdegni spezza.

Tengan dunque ver' me l'usato stile
Amor, madonna, il mondo et mia fortuna,
ch'i'non penso esser mai se non felice.

Viva o mora o languisca, un piú gentile
stato del mio non è sotto la luna,
sí dolce è del mio amaro la radice.


230

I' piansi, or canto, ché 'l celeste lume
quel vivo sole alli occhi miei non cela,
nel qual honesto Amor chiaro revela
sua dolce forza et suo santo costume;

onde e' suol trar di lagrime tal fiume,
per accorciar del mio viver la tela,
che non pur ponte o guado o remi o vela,
ma scampar non potienmi ale né piume.

Sí profondo era et di sí larga vena
il pianger mio et sí lunge la riva,
ch'i' v'aggiungeva col penser a pena.

Non lauro o palma, ma tranquilla oliva
Pietà mi manda, e 'l tempo rasserena,
e 'l pianto asciuga, et vuol anchor ch'i' viva.

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301

Valle che de' lamenti miei se' piena,
fiume che spesso del mio pianger cresci,
fere selvestre, vaghi augelli et pesci,
che l'una et l'altra verde riva affrena,

aria de' miei sospir' calda et serena,
dolce sentier che sí amaro rïesci,
colle che mi piacesti, or mi rincresci,
ov'anchor per usanza Amor mi mena:

ben riconosco in voi l'usate forme,
non, lasso, in me, che da sí lieta vita
son fatto albergo d'infinita doglia.

Quinci vedea 'l mio bene; et per queste orme
torno a veder ond'al ciel nuda è gita,
lasciando in terra la sua bella spoglia.


302

Levommi il mio penser in parte ov'era
quella ch'io cerco, et non ritrovo in terra:
ivi, fra lor che 'l terzo cerchio serra,
la rividi piú bella et meno altera.

Per man mi prese, et disse: - In questa spera
sarai anchor meco, se 'l desir non erra:
i' so' colei che ti die' tanta guerra,
et compie' mia giornata inanzi sera.

Mio ben non cape in intelletto humano:
te solo aspetto, et quel che tanto amasti
e là giuso è rimaso, il mio bel velo. -

Deh perché tacque, et allargò la mano?
Ch'al suon de' detti sí pietosi et casti
poco mancò ch'io non rimasi in cielo.


303

Amor, che meco al buon tempo ti stavi
fra queste rive, a' pensier' nostri amiche,
et per saldar le ragion' nostre antiche
meco et col fiume ragionando andavi;

fior', frondi, herbe, ombre, antri, onde, aure soavi,
valli chiuse, alti colli et piagge apriche,
porto de l'amorose mie fatiche,
de le fortune mie tante, et sí gravi;

o vaghi habitator' de' verdi boschi,
o ninphe, et voi che 'l fresco herboso fondo
del liquido cristallo alberga et pasce:

i dí miei fur sí chiari, or son sí foschi,
come Morte che 'l fa; cosí nel mondo
sua ventura à ciascun dal dí che nasce.


304

Mentre che 'l cor dagli amorosi vermi
fu consumato, e 'n fiammma amorosa arse,
di vaga fera le vestigia sparse
cercai per poggi solitarii et hermi;

et ebbi ardir cantando di dolermi
d'Amor, di lei che sí dura m'apparse:
ma l'ingegno et le rime erano scarse
in quella etate ai pensier' novi e 'nfermi.

Quel foco è morto, e 'l copre un picciol marmo:
che se col tempo fossi ito avanzando
(come già in altri) infino a la vecchiezza,

di rime armato, ond'oggi mi disarmo,
con stil canuto avrei fatto parlando
romper le pietre, et pianger di dolcezza.


305

Anima bella da quel nodo sciolta
che piú bel mai non seppe ordir Natura,
pon' dal ciel mente a la mia vita oscura,
da sí lieti pensieri a pianger volta.

La falsa opinïon dal cor s'è tolta,
che mi fece alcun tempo acerba et dura
tua dolce vista: omai tutta secura
volgi a me gli occhi, e i miei sospiri ascolta.

Mira 'l gran sasso, donde Sorga nasce,
et vedra'vi un che sol tra l'erbe et l'acque
di tua memoria et di dolor si pasce.

Ove giace il tuo albergo, et dove nacque
il nostro amor, vo' ch'abbandoni et lasce,
per non veder ne' tuoi quel ch'a te spiacque.


306

Quel sol che mi mostrava il camin destro
di gire al ciel con glorïosi passi,
tornando al sommo Sole, in pochi sassi
chiuse 'l mio lume e 'l suo carcer terrestro:

ond'io son fatto un animal silvestro,
che co pie' vaghi, solitarii et lassi
porto 'l cor grave et gli occhi humidi et bassi
al mondo, ch'è per me un deserto alpestro.

Cosí vo ricercando ogni contrada
ov'io la vidi; et sol tu che m'affligi,
Amor, vien meco, et mostrimi ond'io vada.

Lei non trov'io: ma suoi santi vestigi
tutti rivolti a la superna strada
veggio, lunge da' laghi averni et stigi.


307

I' pensava assai destro esser su l'ale,
non per lor forza, ma di chi le spiega,
per gir cantando a quel bel nodo eguale
onde Morte m'assolve, Amor mi lega.

Trovaimi a l'opra via piú lento et frale
d'un picciol ramo cui gran fascio piega,
et dissi: - A cader va chi troppo sale,
né si fa ben per huom quel che 'l ciel nega. -
Mai non poria volar penna d'ingegno,
nonché stil grave o lingua, ove Natura
volò, tessendo il mio dolce ritegno.

Seguilla Amor con sí mirabil cura
in adornarlo, ch'i' non era degno
pur de la vista: ma fu mia ventura.


308

Quella per cui con Sorga ò cangiato Arno,
con franca povertà serve richezze,
volse in amaro sue sante dolceze,
ond'io già vissi, or me ne struggo et scarno.

Da poi piú volte ò riprovato indarno
al secol che verrà l'alte belleze
pinger cantando, a ciò che l'alme et preze:
né col mio stile il suo bel viso incarno.

Le lode mai non d'altra, et proprie sue,
che 'n lei fur come stelle in cielo sparte,
pur ardisco ombreggiare, or una, or due:

ma poi ch'i' giungo a la divina parte
ch'un chiaro et breve sole al mondo fue,
ivi manca l'ardir, l'ingegno et l'arte.


309

L'alto et novo miracol ch'a' dí nostri
apparve al mondo, et star seco non volse,
che sol ne mostrò 'l ciel poi sel ritolse,
per adornarne i suoi stellanti chiostri,

vuol ch'i' depinga a chi nol vide, e 'l mostri,
Amor, che 'n prima la mia lingua sciolse,
poi mille volte indarno a l'opra volse
ingegno, tempo, penne, carte, e 'nchiostri.

Non son al sommo anchor giunte le rime:
in me il conosco; et proval ben chiunque
è 'nfin a qui, che d'amor parli o scriva.

Chi sa pensare, il ver tacito estime,
ch'ogni stil vince, et poi sospire: - Adunque
beati gli occhi che la vider viva. -


310

Zephiro torna, e 'l bel tempo rimena,
e i fiori et l'erbe, sua dolce famiglia,
et garrir Progne et pianger Philomena,
et primavera candida et vermiglia.

Ridono i prati, e 'l ciel si rasserena;
Giove s'allegra di mirar sua figlia;
l'aria et l'acqua et la terra è d'amor piena;
ogni animal d'amar si riconsiglia.

Ma per me, lasso, tornano i piú gravi
sospiri, che del cor profondo tragge
quella ch'al ciel se ne portò le chiavi;

et cantar augelletti, et fiorir piagge,
e 'n belle donne honeste atti soavi
sono un deserto, et fere aspre et selvagge.


311

Quel rosignol, che sí soave piagne,
forse suoi figli, o sua cara consorte,
di dolcezza empie il cielo et le campagne
con tante note sí pietose et scorte,

et tutta notte par che m'accompagne,
et mi rammente la mia dura sorte:
ch'altri che me non ò di ch'i' mi lagne,
ché 'n dee non credev'io regnasse Morte.

O che lieve è inganar chi s'assecura!
Que' duo bei lumi assai piú che 'l sol chiari
chi pensò mai veder far terra oscura?

Or cognosco io che mia fera ventura
vuol che vivendo et lagrimando impari
come nulla qua giú diletta, et dura.


312

Né per sereno ciel ir vaghe stelle,
né per tranquillo mar legni spalmati,
né per campagne cavalieri armati,
né per bei boschi allegre fere et snelle;

né d'aspettato ben fresche novelle
né dir d'amore in stili alti et ornati
né tra chiare fontane et verdi prati
dolce cantare honeste donne et belle;

né altro sarà mai ch'al cor m'aggiunga,
sí seco il seppe quella sepellire
che sola agli occhi miei fu lume et speglio.

Noia m'è 'l viver sí gravosa et lunga
ch'i' chiamo il fine, per lo gran desire
di riveder cui non veder fu 'l meglio.


313

Passato è 'l tempo omai, lasso, che tanto
con refrigerio in mezzo 'l foco vissi;
passato è quella di ch'io piansi et scrissi,
ma lasciato m'à ben la penna e 'l pianto.

Passato è 'l viso sí leggiadro et santo,
ma passando i dolci occhi al cor m'à fissi:
al cor già mio, che seguendo partissi
lei ch'avolto l'avea nel suo bel manto.

Ella 'l se ne portò sotterra, e 'n cielo
ove or trïumpha, ornata de l'alloro
che meritò la sua invicta honestate.

Cosí disciolto dal mortal mio velo
ch'a forza mi tien qui, foss'io con loro
fuor de' sospir' fra l'anime beate!


314

Mente mia, che presaga de' tuoi damni,
al tempo lieto già pensosa et trista,
sí 'ntentamente ne l'amata vista
requie cercavi de' futuri affanni,

agli atti, a le parole, al viso, ai panni,
a la nova pietà con dolor mista,
potêi ben dir, se del tutto eri avista:
Questo è l'ultimo dí de' miei dolci anni.

Qual dolcezza fu quella, o misera alma!
come ardavamo in quel punto ch'i' vidi
gli occhi i quai non devea riveder mai,

quando a lor come a' duo amici piú fidi
partendo in guardia la piú nobil salma,
i miei cari penseri e 'l cor, lasciai!


315

Tutta la mia fiorita et verde etade
passava, e 'ntepidir sentia già 'l foco
ch'arse il mio core, et era giunto al loco
ove scende la vita ch'al fin cade.

Già incomminciava a prender securtade
la mia cara nemica a poco a poco
de' suoi sospetti, et rivolgeva in gioco
mie pene acerbe sua dolce honestade.

Presso era 'l tempo dove Amor si scontra
con Castitate, et agli amanti è dato
sedersi inseme, et dir che lor incontra.

Morte ebbe invidia al mio felice stato,
anzi a la speme; et feglisi a l'incontra
a mezza via come nemico armato.


316

Tempo era omai da trovar pace o triegua
di tanta guerra, et erane in via forse,
se non che' lieti passi indietro torse
chi le disaguaglianze nostre adegua:

ché, come nebbia al vento si dilegua,
cosí sua vita súbito trascorse
quella che già co' begli occhi mi scorse,
et or conven che col penser la segua.

Poco avev'a 'ndugiar, ché gli anni e 'l pelo
cangiavano i costumi: onde sospetto
non fôra il ragionar del mio mal seco.

Con che honesti sospiri l'avrei detto
le mie lunghe fatiche, ch'or dal cielo
vede, son certo, et duolsene anchor meco!


317

Tranquillo porto avea mostrato Amore
a la mia lunga et torbida tempesta
fra gli anni de la età matura honesta
che i vicii spoglia, et vertú veste et honore.

Già traluceva a' begli occhi il mio core,
et l'alta fede non piú lor molesta.
Ahi Morte ria, come a schiantar se' presta
il frutto de molt'anni in sí poche hore!

Pur vivendo veniasi ove deposto
in quelle caste orecchie avrei parlando
de' miei dolci pensier' l'antiqua soma;

et ella avrebbe a me forse resposto
qualche santa parola sospirando,
cangiati i volti, et l'una et l'altra coma.


318

Al cader d'una pianta che si svelse
come quella che ferro o vento sterpe,
spargendo a terra le sue spoglie excelse,
mostrando al sol la sua squalida sterpe,

vidi un'altra ch'Amor obiecto scelse,
subiecto in me Callïope et Euterpe;
che 'l cor m'avinse, et proprio albergo felse,
qual per trunco o per muro hedera serpe.

Quel vivo lauro ove solean far nido
li alti penseri, e i miei sospiri ardenti,
che de' bei rami mai non mossen fronda,

al ciel traslato, in quel suo albergo fido
lasciò radici, onde con gravi accenti
è anchor chi chiami, et non è chi responda.


319

I dí miei piú leggier' che nesun cervo,
fuggîr come ombra, et non vider piú bene
ch'un batter d'occhio, et poche hore serene,
ch'amare et dolci ne la mente servo.

Misero mondo, instabile et protervo
del tutto è cieco chi 'n te pon sua spene:
ché 'n te mi fu 'l cor tolto, et or sel tène
tal ch'è già terra, et non giunge osso a nervo.

Ma la forma miglior, che vive anchora,
et vivrà sempre, su ne l'alto cielo,
di sue bellezze ogni or piú m'innamora;

et vo, sol in pensar, cangiando il pelo,
qual ella è oggi, e 'n qual parte dimora,
qual a vedere il suo leggiadro velo.


320

Sento l'aura mia anticha, e i dolci colli
veggio apparire, onde 'l bel lume nacque
che tenne gli occhi mei mentr'al ciel piacque
bramosi et lieti, or li tèn tristi et molli.

O caduche speranze, o penser' folli!
Vedove l'erbe et torbide son l'acque,
et vòto et freddo 'l nido in ch'ella giacque,
nel qual io vivo, et morto giacer volli,

sperando alfin da le soavi piante
et da begli occhi suoi, che 'l cor m'ànn'arso,
riposo alcun de le fatiche tante.

O' servito a signor crudele et scarso:
ch'arsi quanto 'l mio foco ebbi davante,
or vo piangendo il suo cenere sparso.


321

É questo 'l nido in che la mia fenice
mise l'aurate et le purpuree penne,
che sotto le sue ali il mio cor tenne,
et parole et sospiri ancho ne elice?

O del dolce mio mal prima radice,
ov'è il bel viso, onde quel lume venne
che vivo et lieto, ardendo mi mantenne?
Sol' eri in terra; or se' nel ciel felice.

Et m'ài lasciato qui misero et solo,
talché pien di duol sempre al loco torno
che per te consecrato honora et còlo;

veggendo a' colli oscura notte intorno
onde prendesti al ciel l'ultimo volo,
et dove li occhi tuoi solean far giorno.


322

Mai non vedranno le mie luci asciutte
con le parti de l'animo tranquille
quelle note ov'Amor par che sfaville,
et Pietà di sua man l'abbia construtte.

Spirto già invicto a le terrene lutte,
ch'or su dal ciel tanta dolcezza stille,
ch'a lo stil, onde Morte dipartille,
le disvïate rime ài ricondutte:

di mie tenere frondi altro lavoro
cerdea mostrarte; et qual fero pianeta
ne 'nvidiò inseme, o mio nobil tesoro?

Chi 'nnanzi tempo mi t'asconde et vieta,
che col cor veggio, et co la lingua honoro,
e 'n te, dolce sospir, l'alma s'acqueta?


323

Standomi un giorno solo a la fenestra,
onde cose vedea tante, et sí nove,
ch'era sol di mirar quasi già stancho,
una fera m'apparve da man destra,
con fronte humana, da far arder Giove,
cacciata da duo veltri, un nero, un biancho;
che l'un et l'altro fiancho
de la fera gentil mordean sí forte,
che 'n poco tempo la menaro al passo
ove, chiusa in un sasso,
vinse molta bellezza acerba morte:
et mi fe' sospirar sua dura sorte.

Indi per alto mar vidi una nave,
con le sarte di seta, et d'òr la vela,
tutta d'avorio et d'ebeno contesta;
e 'l mar tranquillo, et l'aura era soave,
e 'l ciel qual è se nulla nube il vela,
ella carca di ricca merce honesta:
poi repente tempesta
orïental turbò sí l'aere et l'onde,
che la nave percosse ad uno scoglio.
O che grave cordoglio!
Breve hora oppresse, et poco spatio asconde,
l'alte ricchezze a nul'altre seconde.

In un boschetto novo, i rami santi
fiorian d'un lauro giovenetto et schietto,
ch'un delli arbor' parea di paradiso;
et di sua ombra uscian sí dolci canti
di vari augelli, et tant'altro diletto,
che dal mondo m'avean tutto diviso;
et mirandol io fiso,
cangiossi 'l cielo intorno, et tinto in vista,
folgorando 'l percosse, et da radice
quella pianta felice
súbito svelse: onde mia vita è trista,
ché simile ombra mai non si racquista.

Chiara fontana in quel medesmo bosco
sorgea d'un sasso, et acque fresche et dolci
spargea, soavemente mormorando;
al bel seggio, riposto, ombroso et fosco,
né pastori appressavan né bifolci,
ma ninphe et muse a quel tenor cantando:
ivi m'assisi; et quando
piú dolcezza prendea di tal concento
et di tal vista, aprir vidi uno speco,
et portarsene seco
la fonte e 'l loco: ond'anchor doglia sento,
et sol de la memoria mi sgomento.

Una strania fenice, ambedue l'ale
di porpora vestita, e 'l capo d'oro,
vedendo per la selva altera et sola,
veder forma celeste et immortale
prima pensai, fin ch'a lo svelto alloro
giunse, et al fonte che la terra invola:
ogni cosa al fin vola;
ché, mirando le frondi a terra sparse,
e 'l troncon rotto, et quel vivo humor secco,
volse in se stessa il becco,
quasi sdegnando, e 'n un punto disparse:
onde 'l cor di pietate, et d'amor m'arse.

Alfin vid'io per entro i fiori et l'erba
pensosa ir sí leggiadra et bella donna,
che mai nol penso ch'i' non arda et treme:
humile in sé, ma 'ncontra Amor superba;
et avea indosso sí candida gonna,
sí texta, ch'oro et neve parea inseme;
ma le parti supreme
eran avolte d'una nebbia oscura:
punta poi nel tallon d'un picciol angue,
come fior colto langue,
lieta si dipartio, nonché secura.
Ahi, nulla, altro che pianto, al mondo dura!

Canzon, tu puoi ben dire:
- Queste sei visïoni al signor mio
àn fatto un dolce di morir desio. -


324

Amor, quando fioria
mia spene, e 'l guidardon di tanta fede,
tolta m'è quella ond'attendea mercede.

Ahi dispietata morte, ahi crudel vita!
L'una m'à posto in doglia,
et mie speranze acerbamente à spente;
l'altra mi tèn qua giú contra mia voglia,
et lei che se n'è gita
seguir non posso, ch'ella nol consente.
Ma pur ogni or presente
nel mezzo del meo cor madonna siede,
et qual è la mia vita, ella sel vede.


325

Tacer non posso, et temo non adopre
contrario effecto la mia lingua al core,
che vorria far honore
a la sua donna, che dal ciel n'ascolta.
Come poss'io, se non m'insegni, Amore,
con parole mortali aguagliar l'opre
divine, et quel che copre
alta humiltate, in se stessa raccolta?
Ne la bella pregione, onde or è sciolta,
poco era stato anchor l'alma gentile,
al tempo che di lei prima m'accorsi:
onde súbito corsi,
ch'era de l'anno et di mi' etate aprile,
a coglier fiori in quei prati d'intorno,
sperando a li occhi suoi piacer sí addorno.

Muri eran d'alabastro, e 'l tetto d'oro,
d'avorio uscio, et fenestre di zaffiro,
onde 'l primo sospiro
mi giunse al cor, et giugnerà l'extremo:
Inde i messi d'Amor armati usciro
di saette et di foco, ond'io di loro,
coronati d'alloro,
pur come or fusse, ripensando tremo.
D'un bel diamante quadro, et mai non scemo,
vi si vedea nel mezzo un seggio altero
ove, sola, sedea, la bella donna:
dinanzi, una colonna
cristallina, et iv'entro ogni pensero
scritto, et for tralucea sí chiaramente,
che mi fea lieto, et sospirar sovente.

A le pungenti, ardenti et lucide arme,
a la vittorïosa insegna verde,
contra cui in campo perde
Giove et Apollo et Poliphemo et Marte,
ov'è 'l pianto ognor fresco, et si rinverde,
giunto mi vidi: et non possendo aitarme,
preso lassai menarme
ond'or non so d'uscir la via né l'arte.
Ma sí com'uom talor che piange, et parte
vede cosa che li occhi e 'l cor alletta,
cosí colei per ch'io son in pregione,
standosi ad un balcone,
che fu sola a' suoi dí cosa perfetta,
cominciai a mirar con tal desio
che me stesso e 'l mio mal posi in oblio.

I' era in terra, e 'l cor in paradiso,
dolcemente oblïando ogni altra cura,
et mia viva figura
far sentia un marmo e 'mpiér di meraviglia,
quando una donna assai pronta et secura,
di tempo anticha, et giovene del viso,
vedendomi sí fiso
a l'atto de la fronte et de le ciglia:
"Meco - mi disse -, meco ti consiglia,
ch'i' son d'altro poder che tu non credi;
et so far lieti et tristi in un momento,
piú leggiera che 'l vento,
et reggo et volvo quando al mondo vedi.
Tien' pur li occhi come aquila in quel sole:
parte da' orecchi a queste mie parole.

Il dí che costei nacque, eran le stelle
che producon fra voi felici effecti
in luoghi alti et electi,
l'una ver' l'altra con amor converse:
Venere e 'l padre con benigni aspecti
tenean le parti signorili et belle,
et le luci impie et felle
quasi in tutto del ciel eran disperse.
Il sol mai sí bel giorno non aperse:
l'aere et la terra s'allegrava, et l'acque
per lo mar avean pace et per li fiumi.
Fra tanti amici lumi,
una nube lontana mi dispiacque:
la qual temo che 'n pianto si resolve,
se Pietate altramente il ciel non volve.

Com'ella venne in questo viver basso,
ch'a dir il ver non fu degno d'averla,
cosa nova a vederla,
già santissima et dolce anchor acerba,
parea chiusa in òr fin candida perla;
et or carpone, or con tremante passo,
legno, acqua, terra, o sasso
verde facea, chiara, soave, et l'erba
con le palme o co i pie' fresca et superba,
et fiorir co i belli occhi le campagne,
et acquetar i vènti et le tempeste
con voci anchor non preste,
di lingua che dal latte si scompagne:
chiaro mostrando al mondo sordo et cieco
quanto lume del ciel fusse già seco.

Poi che crescendo in tempo et in virtute,
giunse a la terza sua fiorita etate,
leggiadria né beltate
tanta non vide 'l sol, credo, già mai:
li occhi pien' di letitia et d'onestate,
e 'l parlar di dolcezza et di salute.
Tutte lingue son mute,
a dir di lei quel che tu sol ne sai.
Sí chiaro à 'l volto di celesti rai,
che vostra vista in lui non pò fermarse;
et da quel suo bel carcere terreno
di tal foco ài 'l cor pieno,
ch'altro piú dolcemente mai non arse:
ma parmi che sua súbita partita
tosto ti fia cagion d'amara vita".

Detto questo, a la sua volubil rota
si volse, in ch'ella fila il nostro stame,
trista et certa indivina de' miei danni:
ché, dopo non molt'anni,
quella per ch'io ò di morir tal fame,
canzon mia, spense Morte acerba et rea,
che piú bel corpo occider non potea.


326

Or ài fatto l'extremo di tua possa,
o crudel Morte; or ài 'l regno d'Amore
impoverito; or di bellezza il fiore
e 'l lume ài spento, et chiuso in poca fossa;

or ài spogliata nostra vita et scossa
d'ogni ornamento et del sovran suo honore:
ma la fama e 'l valor che mai non more
non è in tua forza; abbiti ignude l'ossa:

ché l'altro à 'l cielo, et di sua chiaritate,
quasi d'un piú bel sol, s'allegra et gloria,
et fi' al mondo de' buon' sempre in memoria.

Vinca 'l cor vostro, in sua tanta victoria,
angel novo, lassú, di me pietate,
come vinse qui 'l mio vostra beltate.


327

L'aura et l'odore e 'l refrigerio et l'ombra
del dolce lauro et sua vista fiorita,
lume et riposo di mia stanca vita,
tolt'à colei che tutto 'l mondo sgombra.

Come a noi il sol se sua soror l'adombra,
cosí l'alta mia luce a me sparita,
i' cheggio a Morte incontra Morte aita,
di sí scuri penseri Amor m'ingombra.

Dormit'ài, bella donna, un breve sonno:
or se' svegliata fra li spirti electi,
ove nel suo factor l'alma s'interna;

et se mie rime alcuna cosa ponno,
consecrata fra i nobili intellecti
fia del tuo nome qui memoria eterna.


328

L'ultimo, lasso, de' miei giorni allegri,
che pochi ò visto in questo viver breve,
giunto era, et facto 'l cor tepida neve
forse presago de dí tristi et negri.

Qual à già i nervi e i polsi e i pensier' egri
cui domestica febbre assalir deve,
tal mi sentia, non sappiend'io che leve
venisse 'l fin de' miei ben' non integri.

Li occhi belli, or in ciel chiari et felici
del lume onde salute et vita piove,
lasciando i miei qui miseri et mendici,

dicean lor con faville honeste et nove:
- Rimanetevi in pace, o cari amici.
Qui mai piú no, ma rivedrenne altrove. -


329

O giorno, o hora, o ultimo momento,
o stelle congiurate a 'mpoverirme!
O fido sguardo, or che volei tu dirme,
partend'io per non esser mai contento?

Or conosco i miei danni, or mi risento:
ch'i' credeva (ahi, credenze vane e 'nfirme)
perder parte, non tutto, al dipartirme;
quante speranze se ne porta il vento!

Ché già 'l contrario era ordinato in cielo,
spegner l'almo mio lume ond'io vivea,
et scritto era in sua dolce amara vista;

ma 'nnanzi agli occhi m'era post'un velo
che mi fea non veder quel ch'i' vedea,
per far mia vita súbito piú trista.


330

Quel vago, dolce, caro, honesto sguardo
dir parea: - To' di me quel che tu pôi,
ché mai piú qui non mi vedrai da poi
ch'avrai quinci il pe' mosso, a mover tardo. -

Intellecto veloce piú che pardo,
pigro in antivedere i dolor' tuoi,
come non vedestú nelli occhi suoi
quel che ved'ora, ond'io mi struggo et ardo?

Taciti sfavillando oltra lor modo,
dicean: - O lumi amici che gran tempo
con tal dolcezza feste di noi specchi,

il ciel n'aspetta: a voi parrà per tempo;
ma chi ne strinse qui, dissolve il nodo,
e 'l vostro per farv'ira, vuol che 'nvecchi. -


331

Solea da la fontana di mia vita
allontanarme, et cercar terre et mari,
non mio voler, ma mia stella seguendo;
et sempre andai, tal Amor diemmi aita,
in quelli esilii quanto e' vide amari,
di memoria et di speme il cor pascendo.
Or lasso, alzo la mano, et l'arme rendo
a l'empia et vïolenta mia fortuna,
che privo m'à di sí dolce speranza.
Sol memoria m'avanza,
et pasco 'l gran desir sol di quest'una:
onde l'alma vien men frale et digiuna.

Come a corrier tra via, se 'l cibo manca,
conven per forza rallentare il corso,
scemando la vertù che 'l fea gir presto,
cosí, mancando a la mia vita stanca
quel caro nutrimento in che di morso
die' chi 'l mondo fa nudo e 'l mio cor mesto,
il dolce acerbo, e 'l bel piacer molesto
mi si fa d'ora in hora, onde 'l camino
sí breve non fornir spero et pavento.
Nebbia o polvere al vento,
fuggo per piúù non esser pellegrino:
et così vada, s'è pur mio destino.

Mai questa mortal vita a ma non piacque
(sassel' Amor con cui spesso ne parlo)
se non per lei che fu 'l suo lume, e 'l mio:
poi che 'n terra morendo, al ciel rinacque
quello spirto ond'io vissi, a seguitarlo
(licito fusse) è 'l mi' sommo desio.
Ma da dolermi ò ben sempre, perch'io
fui mal accorto a provveder mio stato,
ch'Amor mostrommi sotto quel bel ciglio
per darmi altro consiglio:
ché tal morí già tristo et sconsolato,
cui poco inanzi era 'l morir beato.

Nelli occhi ov'habitar solea 'l mio core
fin che mia dura sorte invidia n'ebbe,
che di sí ricco albergo il pose in bando,
di sua man propria avea descritto Amore
con lettre di pietà quel ch'averrebbe
tosto del mio sí lungo ir desïando.
Bello et dolce morire era allor quando,
morend'io, non moria mia vita inseme,
anzi vivea di me l'optima parte:
or mie speranza sparte
à Morte, et poca terra il mio ben preme;
et vivo; et mai nol penso ch'i' non treme.

Se stato fusse il mio poco intellecto
meco al bisogno, et non altra vaghezza
l'avesse disvïando altrove vòlto,
ne la fronte a madonna avrei ben lecto:
- Alfin se' giunto d'ogni tua dolcezza
et al principio del tuo amaro molto. -
Questo intendendo, dolcemente sciolto
in sua presentia del mortal mio velo
et di questa noiosa et grave carne,
potea inanzi lei andarne,
a veder preparar sua sedia in cielo:
or l'andrò dietro, omai, con altro pelo.

Canzon, s'uom trovi in suo amor viver queto,
di': - Muor' mentre se' lieto,
ché morte al tempo è non duol, ma refugio;
et chi ben pò morir, non cerchi indugio. -


332

Mia benigna fortuna e 'l viver lieto,
i chiari giorni et le tranquille notti
e i soavi sospiri e 'l dolce stile
che solea resonare in versi e 'n rime,
vòlti subitamente in doglia e 'n pianto,
odiar vita mi fanno, et bramar morte.

Crudel, acerba, inexorabil Morte,
cagion mi dài di mai non esser lieto,
ma di menar tutta mia vita in pianto,
e i giorni oscuri et le dogliose notti.
I mei gravi sospir' non vanno in rime,
e 'l mio duro martir vince ogni stile.

Ove è condutto il mio amoroso stile?
A parlar d'ira, a ragionar di morte.
U' sono i versi, u' son giunte le rime,
che gentil cor udia pensoso et lieto;
ove 'l favoleggiar d'amor le notti?
Or non parl'io, né penso, altro che pianto.

Già mi fu col desir sí dolce il pianto,
che condia di dolcezza ogni agro stile,
et vegghiar mi facea tutte le notti:
or m'è 'l pianger amaro piú che morte,
non sperando mai 'l guardo honesto et lieto,
alto sogetto a le mie basse rime.

Chiaro segno Amor pose a le mie rime
dentro a' belli occhi, et or l'à posto in pianto,
con dolor rimembrando il tempo lieto:
ond'io vo col penser cangiando stile,
et ripregando te, pallida Morte,
che mi sottragghi a sí penose notti.

Fuggito è 'l sonno a le mie crude notti,
e 'l suono usato a le mie roche rime,
che non sanno trattar altro che morte,
cosí è 'l mio cantar converso in pianto.
Non à 'l regno d'Amor sí vario stile,
ch'è tanto or tristo quanto mai fu lieto.

Nesun visse già mai piú di me lieto,
nesun vive piú tristo et giorni et notti;
et doppiando 'l dolor, doppia lo stile
che trae del cor sí lagrimose rime.
Vissi di speme, or vivo pur di pianto,
né contra Morte spero altro che Morte.

Morte m'à morto, et sola pò far Morte
ch'i' torni a riveder quel viso lieto
che piacer mi facea i sospiri e 'l pianto,
l'aura dolce et la pioggia a le mie notti,
quando i penseri electi tessea in rime,
Amor alzando il mio debile stile.

Or avess'io un sí pietoso stile
che Laura mia potesse tôrre a Morte,
come Euridice Orpheo sua senza rime,
ch'i' vivrei anchor piú che mai lieto!
S'esser non pò, qualchuna d'este notti
chiuda omai queste due fonti di pianto.

Amor, i' ò molti et molt'anni pianto
mio grave danno in doloroso stile,
né da te spero mai men fere notti:
et però mi son mosso a pregar Morte
che mi tolla di qui, per farme lieto,
ove è colei ch'i' canto et piango in rime.

Se sí alto pôn gir mie stanche rime,
ch'agiungan lei ch'è fuor d'ira et di pianto,
et fa 'l ciel or di sue bellezze lieto,
ben riconoscerà 'l mutato stile,
che già forse le piacque anzi che Morte
chiaro a lei giorno, a me fesse atre notti.

O voi che sospirate a miglior' notti,
ch'ascoltate d'Amore o dite in rime,
pregate non mi sia piú sorda Morte,
porto de le miserie et fin del pianto;
muti una volta quel suo antiquo stile,
ch'ogni uom attrista, et me pò far sí lieto.

Far mi pò lieto in una o 'n poche notti:
e 'n aspro stile e 'n angosciose rime
prego che 'l pianto mio finisca Morte.


333

Ite, rime dolenti, al duro sasso
che 'l mio caro thesoro in terra asconde,
ivi chiamate chi dal ciel risponde,
benché 'l mortal sia in loco oscuro et basso.

Ditele ch'i' son già di viver lasso,
del navigar per queste horribili onde;
ma ricogliendo le sue sparte fronde,
dietro le vo pur cosí passo passo,

sol di lei ragionando viva et morta,
anzi pur viva, et or fatta immortale,
a ciò che 'l mondo la conosca et ame.

Piacciale al mio passar esser accorta,
ch'è presso omai; siami a l'incontro, et quale
ella è nel cielo a sé mi tiri et chiame.


334

S'onesto amor pò meritar mercede,
et se Pietà anchor pò quant'ella suole,
mercede avrò, ché piú chiara che 'l sole
a madonna et al mondo è la mia fede.

Già di me paventosa, or sa(nol crede)
che quello stesso ch'or per me si vòle,
sempre si volse; et s'ella udia parole
o vedea 'l volto, or l'animo e 'l cor vede.

Ond'i' spero che 'nfin al ciel si doglia
di miei tanti sospiri, et cosí mostra,
tornando a me sí piena di pietate;

et spero ch'al por giú di questa spoglia
venga per me con quella gente nostra,
vera amica di Cristo et d'Onestate.


335

Vidi fra mille donne una già tale,
ch'amorosa paura il cor m'assalse,
mirandola in imagini non false
a li spirti celesti in vista eguale.

Nïente in lei terreno era o mortale,
sí come a cui del ciel, non d'altro, calse.
L'alma ch'arse per lei sí spesso et alse,
vaga d'ir seco, aperse ambedue l'ale.

Ma tropp'era alta al mio peso terrestre,
et poco poi n'uscì in tutto di vista:
di che pensando anchor m'aghiaccio et torpo.

O belle et alte et lucide fenestre,
onde colei che molta gente attrista
trovò la via d'entrare in sí bel corpo!


336

Tornami a la mente, anzi v'è dentro, quella
ch'indi per Lethe esser non pò sbandita,
qual io la vidi in su l'età fiorita,
tutta accesa de' raggi di sua stella.

Sí nel mio primo occorso honesta et bella
veggiola, in sé raccolta, et sí romita,
ch'i' grido: - Ell'è ben dessa; anchor è in vita -,
e 'n don le cheggio sua dolce favella.

Talor risponde, et talor non fa motto.
I' come huom ch'erra, et poi piú dritto estima,
dico a la mente mia: - Tu se' 'ngannata.

Sai che 'n mille trecento quarantotto,
il dí sesto d'aprile, in l'ora prima,
del corpo uscío quell'anima beata. -


337

Quel, che d'odore et di color vincea
l'odorifero et lucido orïente,
frutti fiori herbe et frondi (onde 'l ponente
d'ogni rara eccellentia il pregio avea),

dolce mio lauro, ove habitar solea
ogni bellezza, ogni vertute ardente,
vedeva a la sua ombra honestamente
il mio signor sedersi et la mia dea.

Ancor io il nido di penseri electi
posi in quell'alma pianta; e 'n foco e 'n gielo
tremando, ardendo, assai felice fui.

Pieno era il mondo de' suoi honor' perfecti,
allor che Dio per adornarne il cielo
la si ritolse: et cosa era da lui.


338

Lasciato ài, Morte, senza sole il mondo
oscuro et freddo, Amor cieco et inerme,
Leggiadria ignuda, le bellezze inferme,
me sconsolato et a me grave pondo,

Cortesia in bando et Honestate in fondo.
Dogliom'io sol, né sol ò da dolerme,
ché svelt'ài di vertute il chiaro germe:
spento il primo valor, qual fia il secondo?

Pianger l'aer et la terra e 'l mar devrebbe
l'uman legnaggio, che senz'ella è quasi
senza fior' prato, o senza gemma anello.

Non la conobbe il mondo mentre l'ebbe:
conobbil'io, ch'a pianger qui rimasi,
e 'l ciel, che del mio pianto or si fa bello.


339

Conobbi, quanto il ciel li occhi m'aperse,
quanto studio et Amor m'alzaron l'ali,
cose nove et leggiadre, ma mortali,
che 'n un soggetto ogni stella cosperse:

l'altre tante sí strane et sí diverse
forme altere, celesti et immortali,
perché non furo a l'intellecto eguali,
la mia debil vista non sofferse.

Onde quant'io di lei parlai né scrissi,
ch'or per lodi anzi a Dio preghi mi rende,
fu breve stilla d'infiniti abissi:

ché stilo oltra l'ingegno non si stende;
et per aver uom li occhi nel sol fissi,
tanto si vede men quanto piú splende.


340

Dolce mio caro et precïoso pegno,
che natura mi tolse, e 'l Ciel mi guarda,
deh come è tua pietà ver' me sí tarda,
o usato di mia vita sostegno?

Già suo' tu far il mio sonno almen degno
de la tua vista, et or sostien' ch'i' arda
senz'alcun refrigerio: et chi 'l retarda?
Pur lassú non alberga ira né sdegno:

onde qua giuso un ben pietoso core
talor si pasce delli altrui tormenti,
sí ch'elli è vinto nel suo regno Amore.

Tu che dentro mi vedi, e 'l mio mal senti,
et sola puoi finir tanto dolore,
con la tua ombra acqueta i miei lamenti.


341

Deh qual pietà, qual angel fu sí presto
a portar sopra 'l cielo il mio cordoglio?
Ch'anchor sento tornar pur come soglio
madonna in quel suo atto dolce honesto

ad acquetare il cor misero et mesto,
piena sí d'umiltà, vòta d'orgoglio,
e 'nsomma tal ch'a morte i' mi ritoglio,
et vivo, e 'l viver piú non m'è molesto.

Beata s'è, che pò beare altrui
co la sua vista, over co le parole,
intellecte da noi soli ambedui:

- Fedel mio caro, assai di te mi dole,
ma pur per nostro ben dura ti fui, -
dice, et cos'altre d'arrestare il sole.


342

Del cibo onde 'l signor mio sempre abonda,
lagrime et doglia, il cor lasso nudrisco,
et spesso tremo et spesso impallidisco,
pensando a la sua piaga aspra et profonda.

Ma chi né prima simil né seconda
ebbe al suo tempo, al lecto in ch'io languisco
vien tal ch'a pena a rimirar l'ardisco,
et pietosa s'asside in su la sponda.

Con quella man che tanto desïai,
m'asciuga gli occhi, et col suo dir m'apporta
dolcezza ch'uom mortal non sentí mai.

" Che val - dice - a saver, chi si sconforta?
Non pianger piú: non m'ài tu pianto assai?
Ch'or fostú vivo, com'io non son morta!"


343

Ripensando a quel, ch'oggi il cielo honora,
soave sguardo, al chinar l'aurea testa,
al volto, a quella angelica modesta
voce che m'adolciva, et or m'accora,

gran meraviglia ò com'io viva anchora:
né vivrei già, se chi tra bella e honesta,
qual fu piú, lasciò in dubbio, non sí presta
fusse al mio scampo, là verso l'aurora.

O che dolci accoglienze, et caste, et pie;
et come intentamente ascolta et nota
la lunga historia de le pene mie!

Poi che 'l dí chiaro par che la percota,
tornasi al ciel, ché sa tutte le vie,
humida gli occhi et l'una et l'altra gota.


344

Fu forse un tempo dolce cosa amore,
non perch'i'sappia il quando: or è sí amara,
che nulla piú; ben sa 'l ver chi l'impara
com'ò fatt'io con mio grave dolore.

Quella che fu del secol nostro honore,
or è del ciel che tutto orna et rischiara,
fe' mia requie a' suoi giorni et breve et rara:
or m'à d'ogni riposo tratto fore.

Ogni mio ben crudel Morte m'à tolto:
né gran prosperità il mio stato adverso
pò consolar di quel bel spirto sciolto.

Piansi et cantai: non so piú mutar verso;
ma dí et notte il duol ne l'alma accolto
per la lingua et per li occhi sfogo et verso.


345

Spinse amor et dolor ove ir non debbe
la mia lingua avïata a lamentarsi,
a dir di lei per ch'io cantai et arsi
quel che, se fusse ver, torto sarebbe:

ch'assai 'l mio stato rio quetar devrebbe
quella beata, e 'l cor racconsolarsi
vedendo tanto lei domesticarsi
con Colui che vivendo in cor sempre ebbe.

Et ben m'acqueto, et me stesso consolo;
né vorrei rivederla in questo inferno,
anzi voglio morire et viver solo:

ché piú bella che mai con l'occhio interno
con li angeli la veggio alzata a volo
a pie' del suo et mio Signore eterno.


346

Li angeli electi et l'anime beate
cittadine del cielo, il primo giorno
che madonna passò, le fur intorno
piene di meraviglia et di pietate.

"Che luce è questa, et qual nova beltate?
- dicean tra lor - perch'abito sí adorno
dal mondo errante a quest'alto soggiorno
non salí mai in tutta questa etate".

Ella, contenta aver cangiato albergo,
si paragona pur coi piú perfecti,
et parte ad or ad or si volge a tergo,

mirando s'io la seguo, et par ch'aspecti:
ond'io voglie et pensier' tutti al ciel ergo
perch'i' l'odo pregar pur ch'i' m'affretti.


347

Donna che lieta col Principio nostro
ti stai, come tua vita alma rechiede,
assisa in alta et glorïosa sede,
et d'altro ornata che di perle o d'ostro,

o de le donne altero et raro mostro,
or nel volto di Lui che tutto vede
vedi 'l mio amore, et quella pura fede
per ch'io tante versai lagrime e 'nchiostro;

et senti che vèr te 'l mio core in terra
tal fu, qual ora è in cielo, et mai non volsi
altro da te che 'l sol de li occhi tuoi:

dunque per amendar la lunga guerra
per cui dal mondo a te sola mi volsi,
prega ch'i' venga tosto a star con voi.


348

Da' piú belli occhi, et dal piú chiaro viso
che mai splendesse, et da piú bei capelli,
che facean l'oro e 'l sol parer men belli,
dal piú dolce parlare et dolce riso,

da le man', da le braccia che conquiso
senza moversi avrian quai piú rebelli
fur d'Amor mai, da' piú bei piedi snelli,
da la persona fatta in paradiso,

prendean vita i miei spirti: or n'à diletto
il Re celeste, i Suoi alati corrieri;
et io son qui rimaso ignudo et cieco.

Sol un conforto a le mie pene aspetto:
ch'ella, che vede tutt'i miei penseri,
m'impetre grazia, ch'i' possa esser seco.


349

E' mi par d'or in hora udire il messo
che madonna mi mande a sé chiamando:
cosí dentro et di for mi vo cangiando,
et sono in non molt'anni sí dimesso,

ch'a pena riconosco omai me stesso;
tutto 'l viver usato ò messo in bando.
Sarei contento di sapere il quando,
ma pur dovrebbe il tempo esser da presso.

O felice quel dí che, del terreno
carcere uscendo, lasci rotta et sparta
questa mia grave et frale et mortal gonna,

et da sí folte tenebre mi parta,
volando tanto su nel bel sereno,
ch'i' veggia il mio Signore et la mia donna.


350

Questo nostro caduco et fragil bene,
ch'è vento et ombra, et à nome beltate,
non fu già mai se non in questa etate
tutto in un corpo, et ciò fu per mie pene:

ché Natura non vòl, né si convene,
per far ricco un, por li altri in povertate;
or vèrso in ogni sua largitate
(perdonimi qual è bella, o si tene).

Non fu simil bellezza anticha o nova,
né sarà, credo; ma fu sí converta,
ch'a pena se n'accorse il mondo errante.

Tosto disparve: onde 'l cangiar mi giova
la poca vista a me dal cielo offerta
sol per piacer a le sue luci sante.


351

Dolci durezze, et placide repulse,
piene di casto amore et di pietate;
leggiadri sdegni, che le mie infiammate
voglie tempraro ( or me n'accorgo), e 'nsulse;

gentil parlar, in cui chiaro refulse
con somma cortesia somma honestate;
fior di vertú, fontana di beltate,
ch'ogni basso penser del cor m'avulse;

divino sguardo da far l'uom felice,
or fiero in affrenar la mente ardita
a quel che giustamente si disdice,

or presto a confortar mia frale vita:
questo bel varïar fu la radice
di mia salute, ch'altramente era ita.


352

Spirto felice che sí dolcemente
volgei quelli occhi, piú chiari che 'l sole,
et formavi i sospiri et le parole,
vive ch'anchor mi sonan ne la mente:

già ti vid'io, d'onesto foco ardente,
mover i pie' fra l'erbe et le vïole,
non come donna, ma com'angel sòle,
di quella ch'or m'è piú che mai presente;

la qual tu poi, tornando al tuo fattore,
lasciasti in terra, et quel soave velo
che per alto destin ti venne in sorte.

Nel tuo partir, partí nel mondo Amore
et Cortesia, e 'l sol cadde del cielo,
et dolce incominciò farsi la morte.


353

Vago augelletto che cantando vai,
over piangendo, il tuo tempo passato,
vedendoti la notte e 'l verno a lato
e 'l dí dopo le spalle e i mesi gai,

se, come i tuoi gravosi affanni sai,
cosí sapessi il mio simile stato,
verresti in grembo a questo sconsolato
a partir seco i dolorosi guai.

I' non so se le parti sarian pari,
ché quella cui tu piangi è forse in vita,
di ch'a me Morte e 'l ciel son tanto avari;

ma la stagione et l'ora men gradita,
col membrar de' dolci anni et de li amari,
a parlar teco con pietà m'invita.


356

Deh porgi mano a l'affannato ingegno,
Amor, et a lo stile stancho et frale,
per dir di quella ch'è fatta immortale,
et cittadina del celeste regno;

dammi, signor, che 'l mio dir giunga al segno
de le sue lode, ove per sé non sale,
se vertú, se beltà non ebbe eguale
il mondo, che d'aver lei non fu degno.

Responde: - Quanto 'l ciel et io possiamo,
e i buon' consigli, e 'l conversar honesto,
tutto fu in lei, di che noi Morte à privi.

Forma par non fu mai dal dí ch'Adamo
aperse li occhi in prima; et basti or questo:
piangendo i' 'l dico, et tu piangendo scrivi. -


355

O tempo, o ciel volubil, che fuggendo
inganni i ciechi et miseri mortali,
o dí veloci piú che vento et strali,
ora ab experto vostre frodi intendo:

ma scuso voi, et me stesso riprendo,
ché Natura a volar v'aperse l'ali,
a me diede occhi, et io pur ne' miei mali
li tenni, onde vergogna et dolor prendo.

Et sarebbe ora, et è passata omai,
di rivoltarli, in piú secura parte,
et poner fine a li 'nfiniti guai;

né dal tuo giogo, Amor, l'alma si parte,
ma dal suo mal; con che studio tu 'l sai;
non a caso è vertute, anzi è bell'arte.


356

L'aura mia sacra al mio stanco riposo
spira sí spesso, ch'i' prendo ardimento
di dirle il mal ch'i'ò sentito et sento,
che, vivendo ella, non sarei stat'oso.

I' incomoncio da quel guardo amoroso,
che fu principio a sí lungo tormento,
poi seguo come misero et contento,
di dí in dí, d'ora in hora, Amor m'à roso.

Ella si tace, et di pietà depinta,
fiso mira pur me; parte sospira,
et di lagrime honeste il viso adorna:

onde l'anima mia dal dolor vinta,
mentre piangendo allor seco s'adira,
sciolta dal sonno a se stessa ritorna.


357

Ogni giorno mi par piú di mill'anni
ch'i' segua la mia fida et cara duce,
che mi condusse al mondo, or mi conduce,
per miglior via, a vita senza affanni:

et non mi posson ritener li 'inganni
del mondo, ch'i' 'l conosco; et tanta luce
dentro al mio core infin dal ciel traluce
ch'i' 'ncomincio a contar il tempo e i danni.

Né minaccie temer debbo di morte,
che 'l Re sofferse con piú grave pena,
per farme a seguitar constante et forte;

et or novellamente in ogni vena
intrò di lei che m'era data in sorte,
et non turbò la sua fronte serena.


358

Non pò far Morte il dolce viso amaro,
ma 'l dolce viso dolce pò far Morte.
Che bisogn'a morir ben altre scorte?
Quella mi scorge ond'ogni ben imparo;

et Quei che del Suo sangue non fu avaro,
che col pe' ruppe le tartaree porte,
col Suo morir par che mi riconforte.
Dunque vien', Morte: il tuo venir m'è caro.

Et non tardar, ch'egli è ben tempo omai;
et se non fusse, e' fu 'l tempo in quel punto
che madonna passò di questa vita.

D'allor innanzi un dí non vissi mai:
seco fui in via, et seco al fin son giunto,
et mia giornata ò co' suoi pie' fornita.


359

Quando il soave mio fido conforto
per dar riposo a la mia vita stanca
ponsi del letto in su la sponda manca
con quel suo dolce ragionare accorto,
tutto di pietà et di paura smorto
dico:"Onde vien' tu ora, o felice alma?"
Un ramoscel di palma
et un di lauro trae del suo bel seno,
et dice:"Dal sereno
ciel empireo et di quelle sante parti
mi mossi et vengo sol per consolarti".

In atto et in parole la ringratio
humilmente, et poi demando:"Or donde
sai tu il mio stato?" Et ella: "Le triste onde
del pianto, di che mai tu non se' satio,
coll'aura de' sospir', per tanto spatio
passano al cielo, et turban la mia pace:
sí forte ti dispiace
che di questa miseria sia partita,
et giunta a miglior vita;
che piacer ti devria, se tu m'amasti
quanto in sembianti et ne' tuoi dir' mostrasti".

Rispondo: "Io non piango altro che me stesso
che son rimaso in tenebre e 'n martire,
certo sempre del tuo al ciel salire
come di cosa ch'uom vede da presso.
Come Dio et Natura avrebben messo
in un cor giovenil tanta vertute,
se l'eterna salute
non fusse destinata al tuo ben fare,
o de l'anime rare,
ch'altamente vivesti qui tra noi,
et che súbito al ciel volasti poi?

Ma io che debbo altro che pianger sempre,
misero et sol, che senza te son nulla?
Ch'or fuss'io spento al latte et a la culla,
per non provar de l'amorose tempre!"_
Et ella: "A che pur piangi et ti distempre?
Quanto era meglio alzar da terra l'ali,
et le cose mortali
et queste dolci tue fallaci ciance
librar con giusta lance,
et seguir me, s'è ver che tanto m'ami,
cogliendo omai qualchun di questi rami!"

"I' volea demandar - respond'io allora - :
Che voglion importar quelle due frondi?"_
Et ella: "Tu medesmo ti rispondi,
tu la cui non penna tanto l'una honora:
palma è victoria, et io, giovene anchora,
vinsi il mondo, et me stessa; il lauro segna
trïumpho, ond'io son degna,
mercé di quel Signor che mi die' forza.
Or tu, s'altri ti sforza,
a Lui ti volgi, a Lui chiedi soccorso,
sí che siam Seco al fine del tuo corso".

"Son questi i capei biondi, et l'aureo nodo,
- dich'io - ch'ancor mi stringe, et quei belli occhi
che fur mio sol? " "Non errar con li sciocchi,
né parlar - dice - o creder a lor modo.
Spirito ignudo sono, e 'n ciel mi godo:
quel che tu cerchi è terra, già molt'anni,
ma per trarti d'affanni
m'è dato a parer tale; et anchor quella
sarò, piú che mai bella,
a te piú cara, sí selvaggia et pia,
salvando inseme tua salute et mia".

I' piango; et ella il volto
co le sue man' m'asciuga, et poi sospira
dolcemente, et s'adira
con parole che i sassi romper ponno:
et dopo questo si parte ella, e 'l sonno.


360

Quel'antiquo mio dolce empio signore
fatto citar dinanzi a la reina
che la parte divina
tien di natura nostra e 'n cima sede,
ivi, com'oro che nel foco affina,
mi rappresento cerco di dolore,
di paura et d'orrore,
quasi huom che teme morte et ragion chiede;
e 'ncomincio: - Madonna, il manco piede
giovenetto pos'io nel costui regno,
ond'altro ch'ira et sdegno
non ebbi mai; et tanti et sí diversi
tormenti ivi soffersi,
ch'alfine vinta fu quell'infinita
mia patïentia, e 'n odio ebbi la vita.

Cosí 'l mio tempo infin qui trapassato
è in fiamma e 'n pene: et quante utili honeste
vie sprezzai, quante feste,
per servir questo lusinghier crudele!
Et qual ingegno à sí parole preste,
che stringer possa 'l mio infelice stato,
et le mie d'esto ingrato
tanto et sí gravi e sí giuste querele?
O poco mèl, molto aloè con fele!
In quanto amaro à la mia vita avezza
con sua falsa dolcezza,
la qual m'atrasse a l'amorosa schiera!
Che s'i' non m'inganno, era
disposto a sollevarmi alto da terra:
e' mi tolse di pace et pose in guerra.

Questi m'à fatto men amare Dio
ch'i' non deveva, et men curar me stesso:
per una donna ò messo
egualmente in non cale ogni pensero.
Di ciò m'è stato consiglier sol esso,
sempr'aguzzando il giovenil desio
a l'empia cote, ond'io
sperai riposo al suo giogo aspro et fero.
Misero, a che quel chiaro ingegno altero,
et l'altre doti a me date dal cielo?
ché vo cangiando 'l pelo,
né cangiar posso l'ostinata voglia:
cosí in tutto mi spoglia
di libertà questo crudel ch'i' accuso,
ch'amaro viver m'à vòlto in dolce uso.

Cercar m'à fatto deserti paesi,
fiere et ladri rapaci, hispidi dumi,
dure genti et costumi,
et ogni error che' pellegrini intrica,
monti, valli, paludi et mari et fiumi,
mille lacciuoli in ogni parte tesi;
e 'l verno in strani mesi,
con pericol presente et con fatica:
né costui né quell'altra mia nemica
ch'i' fuggía, mi lasciavan sol un punto;
onde, s'i' non son giunto
anzi tempo da morte acerba et dura,
pietà celeste à cura
di mia salute non questo tiranno
che del mio duol si pasce, et del mio danno.

Poi che suo fui non ebbi hora tranquilla,
né spero aver, et le mie notti il sonno
sbandiro, et piú non ponno
per herbe o per incanti a sé ritrarlo.
Per inganni et per forza è fatto donno
sovra miei spirti; et no sonò poi squilla,
ov'io sia, in qualche villa,
ch'i' non l'udisse. Ei sa che 'l vero parlo:
ché legno vecchio mai non róse tarlo
come questi 'l mio core, in che s'annida,
et di morte lo sfida.
Quinci nascon le lagrime e i martiri,
le parole e i sospiri,
di ch'io mi vo stancando, et forse altrui.
Giudica tu, che me conosci et lui. -

Il mio adversario con agre rampogne
comincia: - O donna, intendi l'altra parte,
ché 'l vero, onde si parte
quest'ingrato, dirà senza defecto.
Questi in sua prima età fu dato a l'arte
da vender parolette, anzi menzogne;
né par che si vergogne,
tolto da quella noia al mio dilecto,
lamentarsi di me, che puro et netto,
contra 'l desio, che spesso il suo mal vòle,
lui tenni, ond'or si dole,
in dolce vita, ch'ei miseria chiama:
salito in qualche fama
solo per me, che 'l suo intellecto alzai
ov'alzato per sé non fôra mai.

Ei sa che 'l grande Atride et l'alto Achille,
et Hanibàl al terren vostro amaro,
et di tutti il piú chiaro
un altro et di vertute et di fortuna,
com'a ciascun le sue stelle ordinaro,
lasciai cader in vil amor d'ancille:
et a costui di mille
donne electe, excellenti, n'elessi una,
qual non si vedrà mai sotto la luna,
benché Lucretia ritornasse a Roma;
et sí dolce ydïoma
le diedi, et un cantar tanto soave,
che penser basso o grave
non poté mai durar dinanzi a lei.
Questi fur con costui li 'nganni mei.

Questo fu il fel, questi li sdegni et l'ire,
piú dolci assai che di null'altra il tutto.
Di bon seme mal frutto
mieto; et tal merito à chi 'ngrato serve.
Sí l'avea sotto l'ali mie condutto,
ch'a donne et cavalier piacea il suo dire;
et sí alto salire
i''l feci, che tra' caldi ingegni ferve
il suo nome et de' suoi detti conserve
si fanno con diletto in alcun loco;
ch'or saria forse un roco
mormorador di corti, un huom del vulgo:
i' l'exalto et divulgo,
per quel ch'elli 'mparò ne la mia scola,
et da colei che fu nel mondo sola.

Et per dir a l'extremo il gran servigio,
da mille acti inhonesti l'ò ritratto,
ché mai per alcun pacto
a lui piacer non poteo cosa vile:
giovene schivo et vergognoso in acto
et in penser, poi che fatto era huom ligio
di lei ch'alto vestigio
li 'mpresse al core, et fecel suo simíle.
Quanto à del pellegrino et del gentile,
da lei tene, et da me, di cui si biasma.
Mai nocturno fantasma
d'error non fu sí pien com'ei vèr' noi:
ch'è in gratia, da poi
che ne conobbe, a Dio et a la gente.
Di ciò il superbo si lamenta et pente.

Ancor, et questo è quel che tutto avanza,
da volar sopra 'l ciel li avea dat'ali
per le cose mortali,
che son scala al fattor, chi ben l'estima;
ché mirando ei ben fiso quante et quali
eran vertuti in quella sua speranza,
d'una in altra sembianza
potea levarsi a l'alta cagion prima;
et ei l'à detto alcuna volta in rima,
or m'à posto in oblio con quella donna
ch'i' li die' per colonna
de la sua frale vita. - A questo un strido
lagrimoso alzo et grido:
- Ben me la die', ma tosto la ritolse. -
Responde: - Io no, ma Chi per sé la volse. -

Alfin ambo conversi al giusto seggio,
i' con tremanti, ei con voci alte et crude,
ciascun per sé conchiude:
- Nobile donna, tua sententia attendo. -
Ella allor sorridendo:
- Piacemi aver vostre questioni udite,
ma piú tempo bisogna a tanta lite. -


361

Dicemi spesso il mio fidato speglio,
l'animo stanco, et la cangiata scorza,
et la scemata mia destrezza et forza:
- Non ti nasconder piú: tu se' pur vèglio.

Obedir a Natura in tutto è il meglio,
ch'a contender con lei il tempo ne sforza. -
Súbito allor, com'acqua 'l foco amorza,
d'un lungo et grave sonno mi risveglio:

et veggio ben che 'l nostro viver vola
et ch'esser non si pò piú d'una volta;
e 'n mezzo 'l cor mi sona una parola

di lei ch'è or dal suo bel nodo sciolta,
ma ne' suoi giorni al mondo fu sí sola,
ch'a tutte, s'i' non erro, fama à tolta.


362

Volo con l'ali de' pensieri al cielo
sí spesse volte che quasi un di loro
esser mi par ch'àn ivi il suo thesoro,
lasciando in terra lo squarciato velo.

Talor mi trema 'l cor d'un dolce gelo
udendo lei per ch'io mi discoloro
dirmi: - Amico, or t'am'io et or t'onoro
perch'à i costumi varïati, e 'l pelo. -

Menami al suo Signor: allor m'inchino,
pregando humilemente che consenta
ch'i' stia a veder et l'uno et l'altro volto.

Responde: - Egli è ben fermo il tuo destino;
et per tardar anchor vent'anni o trenta,
parrà a te troppo, et non fia però molto. -


363

Morte à spento quel sol ch'abagliar suolmi,
e 'n tenebre son gli occhi interi et saldi;
terra è quella ond'io ebbi et freddi et caldi;
spenti son i miei lauri, or querce et olmi:

di ch'io veggio 'l mio ben; et parte duolmi.
Non è chi faccia et paventosi et baldi
i miei penser', né chi li agghiacci et scaldi,
né chi li empia di speme, et di duol colmi.

Fuor di man di colui che punge et molce,
che già fece di me sí lungo stratio,
mi trovo in libertate, amara et dolce;

et al Signor ch'i' adoro et ch'i' ringratio,
che pur col ciglio il ciel governa et folce,
torno stanco di viver, nonché satio.


364

Tenemmi Amor anni ventuno ardendo,
lieto nel foco, et nel duol pien di speme;
poi che madonna e 'l mio cor seco inseme
saliro al ciel, dieci altri anni piangendo.

Omai son stanco, et mia vita reprendo
di tanto error che di vertute il seme
à quasi spento; et le mie parti extreme,
alto Dio, a te devotamente rendo:

pentito et tristo de' miei sí spesi anni,
che spender si deveano in miglior uso,
in cercar pace et in fuggir affanni.

Signor che 'n questo carcer m'ài rinchiuso,
tràmene, salvo da li eterni danni,
ch'i' conosco 'l mio fallo, et non lo scuso.


365

I' vo piangendo i miei passati tempi
i quai posi in amar cosa mortale,
senza levarmi a volo, abbiend'io l'ale,
per dar forse di me non bassi exempi.

Tu che vedi i miei mali indegni et empi,
Re del cielo invisibile immortale,
soccorri a l'alma disvïata et frale,
e 'l suo defecto di tua gratia adempi:

sí che, s'io vissi in guerra et in tempesta,
mora in pace et in porto; et se la stanza
fu vana, almen sia la partita honesta.

A quel poco di viver che m'avanza
et al morir, degni esser Tua man presta:
Tu sai ben che 'n altrui non ò speranza.


366

Vergin bella, che di sol vestita,
coronata di stelle, al sommo Sole
piacesti sí, che 'n te Sua luce ascose,
amor mi spinge a dir di te parole:
ma non so 'ncominciar senza tu' aita,
et di Colui ch'amando in te si pose.
Invoco lei che ben sempre rispose,
chi la chiamò con fede:
Vergine, s'a mercede
miseria extrema de l'humane cose
già mai ti volse, al mio prego t'inchina,
soccorri a la mia guerra,
bench'i' sia terra, et tu del ciel regina.

Vergine saggia, et del bel numero una
de le beate vergini prudenti,
anzi la prima, et con piú chiara lampa;
o saldo scudo de l'afflicte genti
contra colpi di Morte et di Fortuna,
sotto 'l qual si trïumpha, non pur scampa;
o refrigerio al cieco ardor ch'avampa
qui fra i mortali sciocchi:
Vergine, que' belli occhi
che vider tristi la spietata stampa
ne' dolci membri del tuo caro figlio,
volgi al mio dubbio stato,
che sconsigliato a te vèn per consiglio.

Vergine pura, d'ogni parte intera,
del tuo parto gentil figliola et madre,
ch'allumi questa vita, et l'altra adorni,
per te il tuo figlio, et quel del sommo Padre,
o fenestra del ciel lucente altera,
venne a salvarne in su li extremi giorni;
et fra tutt'i terreni altri soggiorni
sola tu fosti electa,
Vergine benedetta,
che 'l pianto d'Eva in allegrezza torni.
Fammi, ché puoi, de la Sua gratia degno,
senza fine o beata,
già coronata nel superno regno.

Vergine santa d'ogni gratia piena,
che per vera et altissima humiltate
salisti al ciel onde miei preghi ascolti,
tu partoristi il fonte di pietate,
et di giustitia il sol, che rasserena
il secol pien d'errori oscuri et folti;
tre dolci et cari nomi ài in te raccolti,
madre, figliuola et sposa:
Vergina glorïosa,
donna del Re che nostri lacci à sciolti
et fatto 'l mondo libero et felice,
ne le cui sante piaghe
prego ch'appaghe il cor, vera beatrice.

Vergine sola al mondo senza exempio,
che 'l ciel di tue bellezze innamorasti,
cui né prima fu simil né seconda,
santi penseri, atti pietosi et casti
al vero Dio sacrato et vivo tempio
fecero in tua verginità feconda.
Per te pò la mia vita esser ioconda,
s'a' tuoi preghi, o Maria,
Vergine dolce et pia,
ove 'l fallo abondò, la gratia abonda.
Con le ginocchia de la mente inchine,
prego che sia mia scorta,
et la mia torta via drizzi a buon fine.

Vergine chiara et stabile in eterno,
di questo tempestoso mare stella,
d'ogni fedel nocchier fidata guida,
pon' mente in che terribile procella
i' mi ritrovo sol, senza governo,
et ò già da vicin l'ultime strida.
Ma pur in te l'anima mia si fida,
peccatrice, i' no 'l nego,
Vergine; ma ti prego
che 'l tuo nemico del mio mal non rida:
ricorditi che fece il peccar nostro,
prender Dio per scamparne,
humana carne al tuo virginal chiostro.

Vergine, quante lagrime ò già sparte,
quante lusinghe et quanti preghi indarno,
pur per mia pena et per mio grave danno!
Da poi ch'i' nacqui in su la riva d'Arno,
cercando or questa et or quel'altra parte,
non è stata mia vita altro ch'affanno.
Mortal bellezza, atti et parole m'ànno
tutta ingombrata l'alma.

Vergine sacra et alma,
non tardar, ch'i' son forse a l'ultimo anno.
I dí miei piú correnti che saetta
fra miserie et peccati
sonsen' andati, et sol Morte n'aspetta.

Vergine, tale è terra, et posto à in doglia
lo mio cor, che vivendo in pianto il tenne
et de mille miei mali un non sapea:
et per saperlo, pur quel che n'avenne
fôra avenuto, ch'ogni altra sua voglia
era a me morte, et a lei fama rea.
Or tu donna del ciel, tu nostra dea
(se dir lice, e convensi),
Vergine d'alti sensi,
tu vedi il tutto; e quel che non potea
far altri, è nulla a la tua gran vertute,
por fine al mio dolore;
ch'a te honore, et a me fia salute.

Vergine, in cui ò tutta mia speranza
che possi et vogli al gran bisogno aitarme,
non mi lasciare in su l'extremo passo.
Non guardar me, ma Chi degnò crearme;
no 'l mio valor, ma l'alta Sua sembianza,
ch'è in me, ti mova a curar d'uom sí basso.
Medusa et l'error mio m'àn fatto un sasso
d'umor vano stillante:
Vergine, tu di sante
lagrime et pïe adempi 'l meo cor lasso,
ch'almen l'ultimo pianto sia devoto,
senza terrestro limo,
come fu 'l primo non d'insania vòto.

Vergine humana, et nemica d'orgoglio,
del comune principio amor t'induca:
miserere d'un cor contrito humile.
Che se poca mortal terra caduca
amar con sí mirabil fede soglio,
che devrò far di te, cosa gentile?
Se dal mio stato assai misero et vile
per le tue man' resurgo,
Vergine, i' sacro et purgo
al tuo nome et penseri e 'ngegno et stile,
la lingua e 'l cor, le lagrime e i sospiri.
Scorgimi al miglior guado,
et prendi in grado i cangiati desiri.

Il dí s'appressa, et non pòte esser lunge,
sí corre il tempo et vola,
Vergine unica et sola,
e 'l cor or coscïentia or morte punge.
Raccomandami al tuo figliuol, verace
homo et verace Dio,
ch'accolga 'l mïo spirto ultimo in pace.

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All’amore per Laura sono dedicati quasi tutti i componimenti del Canzoniere e la voce dell’io che si rivolge al lettore è tutta segnata dall’esperienza di amore. Tuttavia nei caratteri e nelle immagini del mondo femminile è eliminata ogni traccia di realismo e di concretezza fisica : atti, gesti, situazioni, si collocano su un piano di astrazione simbolica, diventano segni di un’esperienza interiore. Lo stesso nome della donna apre la strada a tutta una serie di associazioni simboliche che alludono alla poesia e alle ambizioni culturali del Petrarca: Laura infatti si identifica e si confonde con il lauro, la pianta di Apollo e della poesia, la pianta trionfale con cui lo stesso Petrarca venne incoronato poeta nel ’41. Per questo alcuni contemporanei pensarono che l’amore per Laura e il suo stesso nome fossero fittizi; ma lo stesso Petrarca risponde a queste illazioni, con una lettera a Giacomo Colonna (Familiares, 2, 9), forse del 1336, in cui rivendica la realtà del suo amore. Laura non è certo una finzione; ma Petrarca costruì, a partire da un amore reale della giovinezza per una bolla avignonese, un proprio sistema poetico e simbolico, un proprio repertorio di luoghi e di situazioni costanti, di metafore e di immagini, instaurando anche precise simmetrie cronologiche, legate da schemi della tradizione medievale e stilnovistica (come quella tra la data del suo primo incontro con Laura, 6 aprile 1327, e la data della morte di lei, 6 aprile 1348). Vicina allo “stil novo” è anche l’affermazione del “valore” eccezionale che l’amore conferisce al poeta e alla sua poesia; ma questa “valore” non è per Petrarca esterno all’individuo, non si lega a una superiore forza “salvatrice”. A differenza di Beatrice, Laura non provoca nell’amante modificazioni e scelte radicali; è invece l’immagine costante di un desiderio che non è possibile colmare, ma che nello stesso tempo diventa una ragione di vita: grazie ad essa, infatti, l’io riconosce se stesso, come un dono e come una condanna. La rivelazione iniziale di Laura, il famoso incontro del 6 aprile 1327, si presenta come un momento originario che la poesia affanna a ripetere, a ritradurre in figure, gesti, parole, descrivendone gli effetti sull’anima del poeta. E la morte della donna introduce il tema dell’essenza irrevocabile di quelle immagini e situazioni, e il motivo del loro ritorno nel sogno o nella vita ultraterrena. Questa ruotare intorno all’immagine assoluta di Laura – che pare rivelarsi e insieme nascondersi, inafferrabile – esprime anche la perdita di sé, l’oscillazione perpetua che nega qualsiasi pace al poeta. Nella stessa astrazione simbolica in cui il egli sospende i gesti dell’amata, permane un’irriducibile elemento erotico, un ostinato desiderio della bellezza terrena, che si scontra sempre più aspramente, specie nella seconda parte del Canzoniere, col senso della vanità del mondo e col pentimento religioso. Nel Canzoniere Petrarca semplifica, depura, trasforma, tutto il repertorio della lirica amorosa volgare, definendo così modelli che si imporranno per secoli in tutta la letteratura europea. La donna è splendente e preziosa; in primo piano sono i suoi “capei d’oro a l’aura sparsa”, le nobili vesti, la bianca carnagione del volto, gli occhi luminosi; su tutte le cose che essa tocca si posa qualcosa di tenero, di leggero; i suoi movimenti si svolgono secondo pause e cadenze soavi; i fiori si raccolgono intorno a lei; ella appare su sfondi di natura appartata, dai contorni elementari e antirealistici, lontana dai rumori della folla e piena di delicata mollezza, in cui dominano erbette, aure, fronde, boschi ombrosi, ecc.; una serie di metafore ricorrenti accompagna la sua vocazione (il lauro, la fenice, la pietra, il diamante, ecc.) mentre ritornano insistentemente alcuni elementari giochi di parole (essenziale è quello Laura, il lauro, l’auro, cioè “l’oro”, e l’aura, cioè “l’aria”). I dati psicologico-fisiologici tanto cari alla poesia stilnovistica vengono ridotti al minimo; e non c’è nessun interesse per la problematica filosofico- teorica propria dello “stil novo”. Una serie di metafore sottolineano il carattere contraddittorio de paradossale del rapporto con la donna, che è “dolce nemica”, che consola e distrugge, che dà nello stesso tempo vita e morte, che fa bruciare come fuoco e gela come ghiaccio. Il gioco di paradossi e di antitesi, che era stato alla base di tutta la precedente tradizione amorosa e cortese, viene dal Petrarca organizzato in un vero e proprio sistema, dove l’io poetico sospende ogni suo rapporto con la vita sociale e tende a rifiutare ogni giustificazione o fondamento esterno; ma nello stesso tempo esso si sente insidiato e turbato da quelle immagini splendide e caduche e dal suo persistente attaccamento all’effimera bellezza terrena di Laura.

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Mesazh i vjetër 05 Tetor 2003 21:25
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Sy_jeshilja
Anëtar Aktiv

Regjistruar: 13/01/2003
Vendbanimi: God is LOVE
Mesazhe: 393

Une pres koken tani ne vend nqs ka nje anetar te vetem te forumit ta kete lexuar kete nga fillimi deri ne fund. Une u lodha vetem duke e bere scroll down, pa le ta lexoja, jo ore... te me lodheshin syckat e bukura mua e?

Si nuk u lodhe ore qe i ke postuar .booohhhh

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Mesazh i vjetër 06 Tetor 2003 06:30
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i_lire
^^i_lire^^

Regjistruar: 02/08/2003
Vendbanimi: ^^__^^
Mesazhe: 1610

Sycka, mos e lexo mi po deshe, ue po kjo.

Megjithate shkrimi eshte pershkrimi i dashurise se tij te perjetshme (jo te perkohshme) ndaj Laures.

Shendet!

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Mesazh i vjetër 06 Tetor 2003 06:33
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qershor13
Vagabonding

Regjistruar: 05/02/2003
Vendbanimi: Rio
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Chiare fresche e dolci acque - Francesco Petrarca

Chiare fresche e dolci acque
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
gentil ramo, ove piacque,
(con sospir mi rimembra)
a lei di fare al bel fianco colonna;
erba e fior che la gonna
leggiadra ricoverse con l'angelico seno;
aere sacro sereno
ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse:
date udienza insieme
a le dolenti mie parole estreme.

S'egli è pur mio destino,
e 'l cielo in ciò s'adopra,
ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda,
qualche grazia il meschino
corpo fra voi ricopra,
e torni l'alma al proprio albergo ignuda;
la morte fia men cruda
se questa spene porto
a quel dubbioso passo,
ché lo spirito lasso
non poria mai più riposato porto
né in più tranquilla fossa
fuggir la carne travagliata e l'ossa.

Tempo verrà ancor forse
ch'a l'usato soggiorno
torni la fera bella e mansueta,
e là 'v'ella mi scorse
nel benedetto giorno,
volga la vista disiosa e lieta,
cercandomi; ed o pietà!
già terra infra le pietre
vedendo, Amor l'inspiri
in guisa che sospiri
sì dolcemente che mercé m'impetre,
e faccia forza al cielo
asciugandosi gli occhi col bel velo.

Da' be' rami scendea,
(dolce ne la memoria)
una pioggia di fior sovra 'l suo grembo;
ed ella si sedea
umile in tanta gloria,
coverta già de l'amoroso nembo;
qual fior cadea sul lembo,
qual su le treccie bionde,
ch'oro forbito e perle
eran quel dì a vederle;
qual si posava in terra e qual su l'onde,
qual con un vago errore
girando perea dir: "Qui regna Amore".

Quante volte diss'io
allor pien di spavento:
"Costei per fermo nacque in paradiso!".
Così carco d'oblio
il divin portamento
e 'l volto e le parole e'l dolce riso
m'aveano, e sì diviso
da l'imagine vera,
ch'i' dicea sospirando:
"Qui come venn'io o quando?"
credendo esser in ciel, non là dov'era.
Da indi in qua mi piace
quest'erba sì ch'altrove non ho pace.

__________________
Lo scopo della nostra vita è di servire la Forza che ci ha creati,e dalla cui misericordia o approvazione dipende il nostro stesso respiro,servendo con lealtà le Sue creature.Questo significa amore,che dovrebbe sostituire l'odio che si vede ovunque.

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Mesazh i vjetër 24 Tetor 2003 17:42
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