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Autofagia, via di salvezza delle cellule tumorali

Cod. B13062007

Questo processo, stimolato dalla chemioterapia, permette alle cellule cancerose di sfuggire all'apoptosi

L’autofagia č un processo cellulare che consente alle cellule di riciclare il proprio contenuto e di rimuovere in modo selettivo mitocondri e altri organelli danneggiati. Nelle cellule tumorali essa viene stimolata dalla chemioterapia e dalla radioterapia, ma non č chiaro se essa contribuisca alla morte delle cellule tumorali o piuttosto non consenta a esse di sopravvivere alle terapie anticancro. In uno studio in cui č stato utilizzato un modello murino del linfoma a cellule B, alcuni ricercatori del Dipartimento di medicina dell’Universitą della Pennsylvania hanno ora dimostrato che l’autofagia rappresenta in realtą proprio un meccanismo attraverso cui le cellule tumorali cercano di superare la sfida rappresentata dalle terapie che stimolano l’apoptosi, o morte cellulare programmata. In un articolo on line, pubblicato in anteprima rispetto alla sua uscita sul numero di febbraio della rivista Journal of Clinical Investigation, Craig Thompson e colleghi spiegano come in un tumore in cui era stata indotta l’apoptosi attraverso l’attivazione del gene p53, l’autofagia ha interessato unicamente quelle cellule tumorali che non sono andate incontro ad apoptosi. Quando l’organismo del topo non era in grado di iniziare l’autofagia, veniva rilevato un maggior numero di cellule tumorali che andava incontro ad apoptosi. Inoltre, se l’animale veniva trattato con farmaci antitumorali come la ciclofosfamide, aumentava l’apoptosi cellulare e la eventuale durata di remissone del tumore si allungava. Lo studio ha implicazioni cliniche e indica che l’affiancamento di inibitori dell’autofagia alle terapie standard potrebbe aumentare l’efficacia dell’induzione dell’apoptosi che queste determinano.

(19 gennaio 2007)

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Mesazh i vjetėr 12 Qershor 2007 23:25
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Down e X fragile: un meccanismo in comune

Cod. C13062007

Troppi circuiti cerebrali "ciechi" all'origine del ritardo mentale nelle sindromi di Down e dell'X fragile

Le due principali cause di ritardo mentale, la sindrome di Down e quella dell'X fragile potrebbero derivare da una causa comune, ossia lo sviluppo di una rete di comunicazione neuronale cerebrale deficitaria, e cosģ pure l'autismo. Questo č quanto risulterebbe da due ricerche condotte presso la Stanford University School of Medicine, entrambe coordinate da Daniel Madison, i cui risultati sono pubblicati sul numero odierno del Journal of Neuroscience, per quanto riguarda le sindrome dell'X fragile, e sul numero del 15 aprile prossimo del Journal of Physiology, per quanto riguarda la sindrome di Down.

Responsabile della sindrome dell'X fragile č un gene, chiamato Fmr1, situato sul cromosoma X. Dato che i maschi possiedono una sola copia di questo cromosoma, sono in genere colpiti in modo pił severo dalla malattia quando Fmr1 č mutato; tuttavia anche le femmine non sono immuni dalla patologia, a causa della cosiddetta inattivazione X, un fenomeno per cui viene silenziato a caso uno degli elementi della coppia di cromosomi X, che in questo caso dą origine a un mosaico di neuroni cerebrali alcuni dei quali sono deficitari e altri no. In altre condizioni potenzialmente patologiche legate al cromosoma X, come l'emofilia, le cellule normali riescono a compensare l'inefficienza di quelle malate, ma questo non avviene in generale per la rete dei neuroni cerebrali, in cui la buona cooperazione fra tutti gli elementi č essenziale.

Per realizzare lo studio i ricercatori hanno realizzato un topo mutante in cui vi erano solo alcune cellule cerebrali con il gene mutante Fmr1, le quali hanno mostrato di avere molte maggiori difficoltą di quelle normali a formare connessioni sinaptiche. In questo cervello "a mosaico", le cellule normali possono riuscire ad aggirare i vicoli ciechi che si formano nella rete a causa dei neuroni con il gene Fmr1, ma la sua struttura complessiva appare meno articolata. "Se per esempio il 10 per cento dei vostri neuroni normali si deve far carico della metą di tutto il lavoro neuronale, č inevitabile che la capacitą di trasmissione delle informazioni del vostro cervello si abbassi", ha osservato Madison.

Lo studio ha perņ messo in evidenza anche un altro importante aspetto: "Finora - ha sottolineato Madison - in questo campo l'enfasi era stata posta sulle difficoltą di ricezione dei neuroni, ossia a livello post-sinaptico. Ma i nostri risultati mostrano inequivocabilmente che sono le cellule presinaptiche quelle rilevanti in questo difetto."

Esattamente lo stesso tipo di risultati č stato ottenuto nel parallelo studio condotto su topi con l'analogo murino della sindrome di Down. "Riteniamo che questa ridotta complessitą delle reti sia alla base del ritardo mentale che si verifica in entrambe le sindromi", ha concluso Madison. "Se riuscissimo a compensare le deficienze sinaptiche delle cellule mutanti, potremmo incominciare a pensare al modo di incrementare le capacitą mentali dei pazienti con sindrome di Down o dell'X fragile."

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Mesazh i vjetėr 12 Qershor 2007 23:33
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DNA: Dopo 4 anni i primi volumi sulla funzione dei geni

Cod. A14062007

ROMA - Ci sono voluti quattro anni di lavoro da parte di 35 gruppi di ricerca fra Europa e Stati Uniti per scrivere i primi volumi sulla funzione dei geni: un'impresa che é agli inizi e che finora ha permesso di descrivere come l'1% dei geni umani lavora per produrre proteine. E' perņ abbastanza per dimostrare aspetti del tutto inediti. Dai primi volumi di Encode, l'Enciclopedia degli elementi del Dna pubblicata su Nature, emerge "l'altra faccia del genoma", piena di elementi ripetuti e apparentemente inutili, ma che in realtą potrebbero rappresentare un vero e proprio magazzino dell'evoluzione.

"Il genoma umano - scrivono gli autori della ricerca su Nature - č un elegante ma criptico deposito di informazioni". Per decifrarlo il primo passo č stato fatto molti anni fa con il Progetto Genoma Umano, che nel 2001 ha fornito la prima mappa dei geni e della loro posizione. Allora meravigliņ sapere che il Dna dell'uomo era molto pił piccolo di quanto si credeva, composto com'era da appena 22.000 geni. E stupģ ancora di pił sapere che appena la metą di questi producono delle proteine.

Adesso la nuova impresa scientifica a caccia dei segreti del genoma consiste nel capire come i tre miliardi di lettere, ossia le unitą elementari del genoma, in modo diretto o indiretto, forniscono le istruzioni per fabbricare ogni organo, tessuto e cellula dell'organismo. In quattro anni la ricerca ha raggiunto la prima tappa: con il coordinamento di Ewan Birney, del Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare (Embl) e dell'Istituto Europeo di Bioinformatica della Wellcome Trust, ha dimostrato che "il genoma umano viene trascritto in modo pervasivo". Vale a dire che le informazioni contenute nei singoli geni vengono copiate pił e pił volte nell'acido ribonucleico (Rna), come se si volesse salvare un lavoro particolarmente importante fatto al computer e dello stesso file si creassero quindi pił copie.

Finora si sapeva che il genoma umano contiene un insieme relativamente piccolo di geni e una grandissima quantitą del cosiddetto "Dna spazzatura", fatto di sequenze che non producono proteine e che erano chiamate cosģ perché fino a pochi anni fa erano considerate del tutto inutili. Solo di recente sono state rivalutate, in seguito a scoperte che hanno dimostrato il loro ruolo nel controllare alcuni geni o alcune funzioni genetiche.

Adesso l'Enciclopedia del Dna mostra chiaramente che il Dna spazzatura č in realtą un magazzino prezioso, dove sono conservate sequenze di informazione genetica "silenziose" dal punto di vista biochimico ma certamente non inutili. Tanto che in alcune di queste sequenze silenziose sono state scoperte strutture di cromatina (ossia insiemi di geni e proteine che formano i cromosomi) sostanzialmente analoghe a quelle che si trovano in regioni attive del Dna, che producono proteine. La presenza di aree simili nel Dna di altri mammiferi suggerisce, infine, cosģ "la possibilitą che esista un grande insieme di elementi neutrali biochimicamente attivi ma che non forniscono nessun beneficio specifico all'organismo". La conclusione č che "questo insieme potrebbe servire come 'magazzino' della selezione naturale".

ANSA
(13 giugno 2007)

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Mesazh i vjetėr 13 Qershor 2007 23:46
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Da terapia genica due armi contro Parkinson

Cod. A23062007

ROMA - Un enzima che 'calma' i neuroni iperattivi e un farmaco che blocca 'azione dell'invecchiamento. Due armi leggermente diverse, ma entrambe riconducibili alla terapia genica, per colpire lo stesso bersaglio, il morbo di Parkinson. I risultati preliminari dei due studi sono stati pubblicati rispettivamente dalle riviste Lancet e Science. La prima ricerca č opera dei neurologi del Cornell Medical Center: tramite un virus innocuo per l'uomo, č stato introdotto nel cervello di 11 pazienti volontari affetti dal morbo di Parkinson un enzima chiamato Gad, che aumenta l'attivitą del Gaba, un neurotrasmettitore che abbassa l'attivitą delle cellule neuronali iperattive. Il risultato č stato un miglioramento del 27% dei sintomi della malattia. "Questi risultati devono essere convalidati da studi pił approfonditi - ha dichiarato Michael Kaplitt, che ha coordinato lo studio - ma crediamo che questa sia una pietra miliare non solo nel trattamento del morbo di Parkinson, ma in generale delle malattie neurodegenerative". Il miglioramento si č manifestato dopo tre mesi dall'intervento chirurgico per impiantare i virus, ed č rimasto stabile per i dodici mesi di durata delle osservazioni.

"Il 27% č una buona cifra, ma non č drammatica - commenta Gianni Pezzoli, direttore del centro Parkinson degli Istituti Clinici di Perfezionamento (ICP) di Milano - con la chirurgia e la stimolazione cerebrale profonda si arriva anche al 60. C'é da dire perņ che č la prima volta che la terapia genica offre questi risultati, č stata aperta una via molto interessante che ora puņ solo migliorare". Un altro enzima, ma che questa volta viene bloccato, č alla base dello studio della Harvard Medical School pubblicato da Science. I ricercatori hanno cercato di creare un farmaco che inibisce il Sirt2, una molecola coinvolta nel processo di invecchiamento delle cellule neuronali alla base dell'accumulo di una proteina tossica che causa il morbo di Parkinson nei neuroni. L'inibitore sviluppato dai ricercatori americani ha dimostrato, finora solo in colture cellulari e nel moscerino della frutta, di essere in grado di proteggere il cervello dall'accumulo della proteina dieci volte pił efficacemente dei preparati tradizionali. "Questa scoperta - ha dichiarato Aleksey Kazantsev, che ha coordinato la ricerca - potrebbe aprire la strada a nuovi farmaci per curare, e addirittura far regredire questa malattia. Inoltre, poiché l'accumulo di proteine tossiche č alla base anche di altre patologie degenerative come l'Alzheimer, stiamo pianificando di usare lo stesso metodo anche per questi casi". Anche se promettenti, i risultati della ricerca di Harvard sono perņ lontani dall'applicazione pratica. "Dali studi sui moscerini alla clinica la strada č lunga - conferma Pezzoli - questo insetto č usato perché vive poco, e quindi č possibile osservarne l'intero ciclo di vita. Il numero dei suoi cromosomi perņ č molto minore di quello dell'uomo, per cui non č detto che gli enzimi alla base della malattia siano gli stessi".

(22 giugno 2007)

per approfondire sulla malattia del Parkinson
-semundja e parkinsonit (Cod. A 15022007)
-qeliza staminale per parkinsonin? (Cod. A 26062006)
-levodopa-ilaci baze per Parkinsonin (Cod. A 08072006)

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Mesazh i vjetėr 23 Qershor 2007 00:32
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Celiachia, nuove armi nella lotta al glutine

Cod. B26062007

ROMA - La lotta al glutine, la proteina che scatena la risposta tossica in chi č affetto dal morbo celiaco, puņ essere fatta direttamente nella farina. Lo dimostrano due studi italiani pubblicati in questi giorni. I ricercatori dell'Istituto Superiore di Sanitą hanno sviluppato in collaborazione con il Cnr di Avellino e con l'universitą di Bari un metodo per 'predigerire' il glutine all'interno della farina tramite una miscela di lattobacilli ed enzimi. Nello studio, apparso su Applied Environmental Microbiology, si dimostra che la farina particolare, testata sul sangue di pazienti celiaci non genera la risposta immunitaria.

"La sola terapia oggi disponibile per il morbo celiaco č la dieta con alimenti privi di glutine, derivati da farine alternative a quella di grano, ma insipidi, cari e nutrizionalmente poveri spiegano Marco Gobbetti dell'Universitą di Bari e Massimo De Vincenzi dell'Iss - i nostri studi sono volti ad eliminare dal frumento le frazioni delle gliadine e glutenine, responsabili dell'intolleranza, per poter assicurare un alimentazione il pił possibile normale e simile a quella con materie prime a base di grano".

Un altro approccio č stato testato sempre dai ricercatori dell'Istituto di Scienze dell'alimentazione del Cnr di Avellino, in uno studio pubblicato dalla rivista Gastroenterology.

Gli scienziati hanno messo a punto una 'maschera' per il glutine che consiste in alcuni amminoacidi (piccole molecole organiche) che legano la parte della proteina che scatena la risposta immunitaria. I legami vengono 'aiutati' da alcuni enzimi gią utilizzati nell'industria alimentare.

L'intero processo, che viene effettuato durante la lavorazione delle farine č stato brevettato, e ora č in attesa di di applicazione industriale. "I nuovi legami introdotti nella molecola di glutine - precisa Mauro Rossi, che ha coordinato lo studio - rimangono intatti nell'intestino, ma poi sono scissi a livello renale per cui non si accumulano nell'organismo. Dai test in vitro si vede che i linfociti, cioé le cellule immunitarie, non riconoscono il glutine".

(25 giugno 2007)

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Mesazh i vjetėr 26 Qershor 2007 00:53
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Un test che vede chiaro e abbrevia la terapia

Cod. A06102007

di GIANNA MILANO
ULCERA Il nuovo esame permette di verificare in 24 ore se l’Helicobacter pylori č presente, e quali sono i farmaci da utilizzare per eliminarlo.



Promette di essere semplice, sensibile, ma soprattutto rapido. Č il nuovo metodo per eseguire l’antibiogramma e verificare la sensibilitą agli antibiotici dell’Helicobacter pylori, batterio presente nella mucosa dello stomaco responsabile talora di problemi di digestione e gastrite, e alla lunga di ulcera peptica. Il metodo attuale per testare da un campione di materiale biologico (biopsie dello stomaco) la resistenza o la sensibilitą verso un antibiotico del microrganismo č laborioso; e per fare l’antibiogramma ci vogliono circa 14 giorni.

«Con il nostro test, che utilizza un terreno di coltura liquido, diverso da quello solido convenzionale, l’antibiogramma č pronto invece in 24 ore. Abbiamo verificato il metodo con due studi e abbiamo visto che č in grado di valutare sia la presenza o l’assenza dell’agente infettivo sia il giusto antibiotico da usare nella terapia» spiega Dino Vaira, gastroenterologo che, con il microbiologo Federico Perna, ha messo a punto il nuovo test brevettato con il patrocinio dell’Universitą di Bologna, dove entrambi operano. L’universitą sta per concludere, non a scopo di lucro, un accordo con un’industria diagnostica americana che lo commercializzerą a un prezzo politico (attorno a 50 euro), prima della fine dell’anno.

Il test č utile per determinare la terapia dell’infezione da Helicobacter, poiché permette la scelta dell’antibiotico pił adatto. Se, nonostante l’antibiotico aggiunto alla coltura in vitro, le colonie del microrganismo continuano a estendersi, significa che il batterio č resistente al farmaco. «Oggi si prescrivono in maniera standard antibiotici come claritromicina o metronidazolo a tutte le persone affette dal batterio. Con il nuovo antibiogramma si potranno testare in modo pił personalizzato non solo gli antibiotici gią in uso per l’Helicobacter pylori, ma in modo rapido quelli di nuova scoperta» prevede Vaira.

«Il metodo classico di coltura, lungo e laborioso, puņ dare luogo a inquinanti quali muffe, o allo sviluppo di batteri che non consentono l’isolamento dell’Helicobacter. Il test rapido esclude a priori l’interferenza di altri microrganismi» osserva Vaira. Il gastroenterologo ha dimostrato, riferisce l’ultimo Lancet, che la terapia sequenziale con tre tipi di farmaci, cinque giorni con un solo antibiotico (amossicillina) e i successivi cinque con due antibiotici (claritromicina e tinidazolo) associati a un antiacido, č in grado di eradicare il batterio nel 92 per cento dei pazienti con gastrite o ulcera peptica.

(Panorama)

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Mesazh i vjetėr 06 Tetor 2007 15:28
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atiola
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ne shqip do lutesha

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asgje nuk esht5e reale ne kete jete nuk ka dicka tjeter per lojes genjeshtres urrejtjes thashethemeve ja kjo ehste jeta qe jetojme

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Mesazh i vjetėr 06 Tetor 2007 16:11
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atiola,kjo teme eshte per te vendosur shkrime ne italisht.ne shqip mund te gjesh ne temat e tjera qe ndodhen ne brendesi te kesaj zone

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Mesazh i vjetėr 06 Tetor 2007 17:01
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Verso il superamento del rigetto di organi

Cod. A29012008

Nel corso degli anni č stato sviluppato un approccio in cui il paziente trapiantato riceve, insieme con l’organo nuovo, anche il midollo osseo dello stesso donatore: ciņ consente di creare uno stato chiamato chimerismo, in cui il sistema immunitario conserva elementi sia del donatore sia del ricevente.

In un protocollo sperimentale svoltosi presso il Massachusetts General Hospital (MGH), si č riusciti a indurre una tolleranza immunitaria anche in pazienti che hanno ricevuto un rene da un donatore con incompatibilitą HLA.

Tale incompatibilitą, che riguarda l’antigene leucocitario umano (HLA) č considerata il maggiore ostacolo immunitario al trapianto d’organo. Secondo quanto riferisce un articolo pubblicato sulla rivista “New England Journal of Medicine” quattro dei cinque volontari che hanno partecipato al trial sono riusciti addirittura a interrompere l’assunzione di farmaci immunosoppressori.

Da pił di tre decenni, David Sachs e colleghi stanno cercando di evitare il rigetto di organi trapiantati ingannando il sistema immunitario dell’ospite, con l'obiettivo di indurlo a riconoscere come propri i tessuti estranei. Nel corso degli anni č stato sviluppato un approccio in cui il paziente trapiantato riceve, insieme con l’organo nuovo, anche il midollo osseo dello stesso donatore. Ciņ consente di creare uno stato chiamato chimerismo, in cui il sistema immunitario conserva elementi sia del donatore sia del ricevente.

Nel 1998, il gruppo utilizzņ questo approccio per la prima volta in una donna con una insufficienza renale causata da un mieloma multiplo, un cancro che puņ essere trattato con un trapianto di midollo. La paziente ricevette cosģ sia il midollo osseo sia un rene da una sorella con HLA compatibile, e fu cosģ in grado di interrompere l’assunzione di farmaci immunosoppressivi due mesi dopo.

Sulla scia di questo e di altri risultati positivi degli anni successivi, il gruppo si č dedicata a cinque pazienti con insufficienza renale dovuta a condizioni non oncologiche e che non avevano donatori viventi compatibili per l’HLA.

Si č proceduto dapprima distruggendo parzialmente il midollo osseo del ricevente e somministrando farmaci per ridurre il livello di cellule T, la componente del sistema immunitario pił immediatamente coinvolta nel fenomeno di rigetto. Gli stessi pazienti sono poi stati sottoposti a trapianto di rene e di midollo osseo. Quest’ultimo, una volta rigeneratosi, ha mostrato di poter produrre nuove cellule immunitarie tolleranti all’organo donato.

“Sebbene occorrano ulteriori studi per valicare questo approccio su un’ampia coorte di pazienti prima che sia disponibile per un uso clinico”, ha spiegato David Sachs, che ha guidato lo studio, occorre sottolineare che č la prima volta che viene indotta con successo e intenzionalmente una tolleranza in una serie di trapianti con problemi di compatibilitą.”

24 gennaio 2008
(Le Scienze)

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Del DNA non si butta via niente

Cod. A10022008

Crollato il dogma standard della genomica, i ricercatori si chiedono quale sia la funzione dell'eccesso di Rna trascritto.

Il dogma su cui si basava la genetica era molto semplice: il Dna produce Rna che, a sua volta, codifica proteine. Questo scenario idialliaco, perņ, č stato macchiato dai risultati di un gigantesco studio sul Dna umano.

In seguito a questa ricerca, sembra che il Dna produca molto pił Rna di quanto prevedeva il dogma standard e che trascriva anche il cosiddetto “Dna spazzatura”. ENCODE, il progetto per un enciclopedia degli elementi del Dna che coinvolge numerosi laboratori in tutto il mondo, ha quantificato le diverse copie di Rna trascritto e ha scoperto che non solo ogni copia di Rna viene tradotta in proteina, ma che per ogni Rna trascritto a partire da un gene ci sono anche molti Rna derivanti da altre sequenze di Dna. Poiché nessuno dei frammenti di Rna in sovrannumero viene tradotto in proteine, si aprono nuovi spiragli di ricerca per capire la loro funzione.

“La domanda chiave – sostiene Ewan Birney, capo del progetto genoma dell’Istituto europeo per la bioinformatica a Cambridge, UK, e coordinatore d’analisi del progetto ENCODE – č se questi frammenti sono importanti o no. Adesso non lo sappiamo”.

Birney ritiene che lo scheletro del dogma standard tenga ancora, ma la scoperta di tutto questo eccesso di Rna potrebbe significare la presenza di finezze ancora sconosciute nella regolazione genica. “Non č pił il chiaro e semplice genoma che credevamo di avere” commenta John Greally dell’Albert Einstein College of Medicine di New York.

I laboratori aderenti al progetto ENCODE hanno analizzato 30 milioni di basi – circa l’1 per cento delle lettere del Dna umano – studiando 44 siti del nostro genoma scelti a caso per poi misurare la trascrizione dell’Rna associato nelle cellule viventi. L’intero campione č stato analizzato con un vasto spettro di metodi in 38 laboratori e poi č stato sottoposto a un controllo incrociato.

Essendo a conoscenza di circa 400 geni per ogni campione, i ricercatori si aspettavano lo stesso numero di trascrizioni di Rna. Invece ne hanno trovato il doppio. Inoltre hanno scoperto dieci volte pił gene-switch, i punti del Dna su cui puņ iniziare la trascrizione, di quanto prevedevano.

Molti Rna trascritti erano copie di sequenza che giacevano fra i geni e il Dna spazzatura. Ancora pił a sorpresa, poi, i ricercatori hanno scoperto che erano tante le copie di Dna spazzatura situate lontano dai geni. Si pensa, quindi, che il sovrannumero di gene-switch possa spiegare la produzione di Rna in eccesso.

Birney crede che gli swicth addizionali siano mutazioni che compaiono per caso e che generano nuove copie di Rna. Poiché sono creati casualmente, secondo Birney, dal punto di vista evolutivo potrebbero essere fenomeni passeggeri e neutri che accadono sul genoma. Sono rare, infatti, le occasioni in cui nuovo Rna produce vantaggi.

Ma Tom Gingeras, capo dell’azienda specializzata in genomica Affymetrix con sede a Santa Clara in California nonché co-direttore di ENCODE, non č d’accordo. Gingeras č stato il primo a individuare il prcesso di trascrizione di Dna non codificante ed č convinto che il surplus di Rna abbia una funzione. Potrebbe servire a trasportare le molecole nella cellula oppure a sintonizzare e modulare l’attivitą dei geni. “Non credo che siano qui per caso”, taglia corto Gingeras.

Qualunque sia la veritą, i risultati di ENCODE sottopongono all'attenzione dei ricercatori una serie di nuovi interrogativi sul modi in cui i nostri geni agiscono. "Bisogna essere molto coraggiosi - chiosa Greally - per chiamare spazzatura il Dna che non codifica".

(14 giugno 2007)
Fonte del Informazione :
Ulisse in collaborazione con New Scientist [Link]

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