déją-vu
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Regjistruar: 24/02/2003
Vendbanimi: Tortoreto Lido
Mesazhe: 940
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Inferno(canto 4)
4. 1 Ruppemi l'alto sonno ne la testa
4. 2 un greve truono, sģ ch'io mi riscossi
4. 3 come persona ch'č per forza desta;
4. 4 e l'occhio riposato intorno mossi,
4. 5 dritto levato, e fiso riguardai
4. 6 per conoscer lo loco dov'io fossi.
4. 7 Vero č che 'n su la proda mi trovai
4. 8 de la valle d'abisso dolorosa
4. 9 che 'ntrono accoglie d'infiniti guai.
4. 10 Oscura e profonda era e nebulosa
4. 11 tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
4. 12 io non vi discernea alcuna cosa.
4. 13 «Or discendiam qua gił nel cieco mondo»,
4. 14 cominciņ il poeta tutto smorto.
4. 15 «Io sarņ primo, e tu sarai secondo».
4. 16 E io, che del color mi fui accorto,
4. 17 dissi: «Come verrņ, se tu paventi
4. 18 che suoli al mio dubbiare esser conforto?».
4. 19 Ed elli a me: «L'angoscia de le genti
4. 20 che son qua gił, nel viso mi dipigne
4. 21 quella pietą che tu per tema senti.
4. 22 Andiam, ché la via lunga ne sospigne».
4. 23 Cosģ si mise e cosģ mi fé intrare
4. 24 nel primo cerchio che l'abisso cigne.
4. 25 Quivi, secondo che per ascoltare,
4. 26 non avea pianto mai che di sospiri,
4. 27 che l'aura etterna facevan tremare;
4. 28 ciņ avvenia di duol sanza martģri
4. 29 ch'avean le turbe, ch'eran molte e grandi,
4. 30 d'infanti e di femmine e di viri.
4. 31 Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi
4. 32 che spiriti son questi che tu vedi?
4. 33 Or vo' che sappi, innanzi che pił andi,
4. 34 ch'ei non peccaro; e s'elli hanno mercedi,
4. 35 non basta, perché non ebber battesmo,
4. 36 ch'č porta de la fede che tu credi;
4. 37 e s'e' furon dinanzi al cristianesmo,
4. 38 non adorar debitamente a Dio:
4. 39 e di questi cotai son io medesmo.
4. 40 Per tai difetti, non per altro rio,
4. 41 semo perduti, e sol di tanto offesi,
4. 42 che sanza speme vivemo in disio».
4. 43 Gran duol mi prese al cor quando lo 'ntesi,
4. 44 perņ che gente di molto valore
4. 45 conobbi che 'n quel limbo eran sospesi.
4. 46 «Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore»,
4. 47 comincia' io per voler esser certo
4. 48 di quella fede che vince ogne errore:
4. 49 «uscicci mai alcuno, o per suo merto
4. 50 o per altrui, che poi fosse beato?».
4. 51 E quei che 'ntese il mio parlar coverto,
4. 52 rispuose: «Io era nuovo in questo stato,
4. 53 quando ci vidi venire un Possente,
4. 54 con segno di vittoria coronato.
4. 55 Trasseci l'ombra del primo parente,
4. 56 d'Abčl suo figlio e quella di Noč,
4. 57 di Moisč legista e ubidente;
4. 58 Abraąm patriarca e Davģd re,
4. 59 Isračl con lo padre e co' suoi nati
4. 60 e con Rachele, per cui tanto fé;
4. 61 e altri molti, e feceli beati.
4. 62 E vo' che sappi che, dinanzi ad essi,
4. 63 spiriti umani non eran salvati».
4. 64 Non lasciavam l'andar perch'ei dicessi,
4. 65 ma passavam la selva tuttavia,
4. 66 la selva, dico, di spiriti spessi.
4. 67 Non era lunga ancor la nostra via
4. 68 di qua dal sonno, quand'io vidi un foco
4. 69 ch'emisperio di tenebre vincia.
4. 70 Di lungi n'eravamo ancora un poco,
4. 71 ma non sģ ch'io non discernessi in parte
4. 72 ch'orrevol gente possedea quel loco.
4. 73 «O tu ch'onori scienzia e arte,
4. 74 questi chi son c'hanno cotanta onranza,
4. 75 che dal modo de li altri li diparte?».
4. 76 E quelli a me: «L'onrata nominanza
4. 77 che di lor suona sł ne la tua vita,
4. 78 grazia acquista in ciel che sģ li avanza».
4. 79 Intanto voce fu per me udita:
4. 80 «Onorate l'altissimo poeta:
4. 81 l'ombra sua torna, ch'era dipartita».
4. 82 Poi che la voce fu restata e queta,
4. 83 vidi quattro grand'ombre a noi venire:
4. 84 sembianz'avevan né trista né lieta.
4. 85 Lo buon maestro cominciņ a dire:
4. 86 «Mira colui con quella spada in mano,
4. 87 che vien dinanzi ai tre sģ come sire:
4. 88 quelli č Omero poeta sovrano;
4. 89 l'altro č Orazio satiro che vene;
4. 90 Ovidio č 'l terzo, e l'ultimo Lucano.
4. 91 Perņ che ciascun meco si convene
4. 92 nel nome che sonņ la voce sola,
4. 93 fannomi onore, e di ciņ fanno bene».
4. 94 Cosģ vid'i' adunar la bella scola
4. 95 di quel segnor de l'altissimo canto
4. 96 che sovra li altri com'aquila vola.
4. 97 Da ch'ebber ragionato insieme alquanto,
4. 98 volsersi a me con salutevol cenno,
4. 99 e 'l mio maestro sorrise di tanto;
4.100 e pił d'onore ancora assai mi fenno,
4.101 ch'e' sģ mi fecer de la loro schiera,
4.102 sģ ch'io fui sesto tra cotanto senno.
4.103 Cosģ andammo infino a la lumera,
4.104 parlando cose che 'l tacere č bello,
4.105 sģ com'era 'l parlar colą dov'era.
4.106 Venimmo al pič d'un nobile castello,
4.107 sette volte cerchiato d'alte mura,
4.108 difeso intorno d'un bel fiumicello.
4.109 Questo passammo come terra dura;
4.110 per sette porte intrai con questi savi:
4.111 giugnemmo in prato di fresca verdura.
4.112 Genti v'eran con occhi tardi e gravi,
4.113 di grande autoritą ne' lor sembianti:
4.114 parlavan rado, con voci soavi.
4.115 Traemmoci cosģ da l'un de' canti,
4.116 in loco aperto, luminoso e alto,
4.117 sģ che veder si potien tutti quanti.
4.118 Colą diritto, sovra 'l verde smalto,
4.119 mi fuor mostrati li spiriti magni,
4.120 che del vedere in me stesso m'essalto.
4.121 I' vidi Eletra con molti compagni,
4.122 tra ' quai conobbi Ettņr ed Enea,
4.123 Cesare armato con li occhi grifagni.
4.124 Vidi Cammilla e la Pantasilea;
4.125 da l'altra parte, vidi 'l re Latino
4.126 che con Lavina sua figlia sedea.
4.127 Vidi quel Bruto che cacciņ Tarquino,
4.128 Lucrezia, Iulia, Marzia e Corniglia;
4.129 e solo, in parte, vidi 'l Saladino.
4.130 Poi ch'innalzai un poco pił le ciglia,
4.131 vidi 'l maestro di color che sanno
4.132 seder tra filosofica famiglia.
4.133 Tutti lo miran, tutti onor li fanno:
4.134 quivi vid'io Socrate e Platone,
4.135 che 'nnanzi a li altri pił presso li stanno;
4.136 Democrito, che 'l mondo a caso pone,
4.137 Diogenés, Anassagora e Tale,
4.138 Empedoclčs, Eraclito e Zenone;
4.139 e vidi il buono accoglitor del quale,
4.140 Diascoride dico; e vidi Orfeo,
4.141 Tulio e Lino e Seneca morale;
4.142 Euclide geomčtra e Tolomeo,
4.143 Ipocrąte, Avicenna e Galieno,
4.144 Averoģs, che 'l gran comento feo.
4.145 Io non posso ritrar di tutti a pieno,
4.146 perņ che sģ mi caccia il lungo tema,
4.147 che molte volte al fatto il dir vien meno.
4.148 La sesta compagnia in due si scema:
4.149 per altra via mi mena il savio duca,
4.150 fuor de la queta, ne l'aura che trema.
4.151 E vegno in parte ove non č che luca.
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Voglio, avrņ se non qui, in altro luogo che ancora non so. Niente ho perduto. Tutto sarņ. (Fernando Pessoa)
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