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Paradiso (canto 3)

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3. 1 Quel sol che pria d'amor mi scaldò 'l petto,
3. 2 di bella verità m'avea scoverto,
3. 3 provando e riprovando, il dolce aspetto;

3. 4 e io, per confessar corretto e certo
3. 5 me stesso, tanto quanto si convenne
3. 6 leva' il capo a proferer più erto;

3. 7 ma visione apparve che ritenne
3. 8 a sé me tanto stretto, per vedersi,
3. 9 che di mia confession non mi sovvenne.

3. 10 Quali per vetri trasparenti e tersi,
3. 11 o ver per acque nitide e tranquille,
3. 12 non sì profonde che i fondi sien persi,

3. 13 tornan d'i nostri visi le postille
3. 14 debili sì, che perla in bianca fronte
3. 15 non vien men forte a le nostre pupille;

3. 16 tali vid'io più facce a parlar pronte;
3. 17 per ch'io dentro a l'error contrario corsi
3. 18 a quel ch'accese amor tra l'omo e 'l fonte.

3. 19 Sùbito sì com'io di lor m'accorsi,
3. 20 quelle stimando specchiati sembianti,
3. 21 per veder di cui fosser, li occhi torsi;

3. 22 e nulla vidi, e ritorsili avanti
3. 23 dritti nel lume de la dolce guida,
3. 24 che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.

3. 25 «Non ti maravigliar perch'io sorrida»,
3. 26 mi disse, «appresso il tuo pueril coto,
3. 27 poi sopra 'l vero ancor lo piè non fida,

3. 28 ma te rivolve, come suole, a vòto:
3. 29 vere sustanze son ciò che tu vedi,
3. 30 qui rilegate per manco di voto.

3. 31 Però parla con esse e odi e credi;
3. 32 ché la verace luce che li appaga
3. 33 da sé non lascia lor torcer li piedi».

3. 34 E io a l'ombra che parea più vaga
3. 35 di ragionar, drizza'mi, e cominciai,
3. 36 quasi com'uom cui troppa voglia smaga:

3. 37 «O ben creato spirito, che a' rai
3. 38 di vita etterna la dolcezza senti
3. 39 che, non gustata, non s'intende mai,

3. 40 grazioso mi fia se mi contenti
3. 41 del nome tuo e de la vostra sorte».
3. 42 Ond'ella, pronta e con occhi ridenti:

3. 43 «La nostra carità non serra porte
3. 44 a giusta voglia, se non come quella
3. 45 che vuol simile a sé tutta sua corte.

3. 46 I' fui nel mondo vergine sorella;
3. 47 e se la mente tua ben sé riguarda,
3. 48 non mi ti celerà l'esser più bella,

3. 49 ma riconoscerai ch'i' son Piccarda,
3. 50 che, posta qui con questi altri beati,
3. 51 beata sono in la spera più tarda.

3. 52 Li nostri affetti, che solo infiammati
3. 53 son nel piacer de lo Spirito Santo,
3. 54 letizian del suo ordine formati.

3. 55 E questa sorte che par giù cotanto,
3. 56 però n'è data, perché fuor negletti
3. 57 li nostri voti, e vòti in alcun canto».

3. 58 Ond'io a lei: «Ne' mirabili aspetti
3. 59 vostri risplende non so che divino
3. 60 che vi trasmuta da' primi concetti:

3. 61 però non fui a rimembrar festino;
3. 62 ma or m'aiuta ciò che tu mi dici,
3. 63 sì che raffigurar m'è più latino.

3. 64 Ma dimmi: voi che siete qui felici,
3. 65 disiderate voi più alto loco
3. 66 per più vedere e per più farvi amici?».

3. 67 Con quelle altr'ombre pria sorrise un poco;
3. 68 da indi mi rispuose tanto lieta,
3. 69 ch'arder parea d'amor nel primo foco:

3. 70 «Frate, la nostra volontà quieta
3. 71 virtù di carità, che fa volerne
3. 72 sol quel ch'avemo, e d'altro non ci asseta.

3. 73 Se disiassimo esser più superne,
3. 74 foran discordi li nostri disiri
3. 75 dal voler di colui che qui ne cerne;

3. 76 che vedrai non capere in questi giri,
3. 77 s'essere in carità è qui *necesse*,
3. 78 e se la sua natura ben rimiri.

3. 79 Anzi è formale ad esto beato *esse*
3. 80 tenersi dentro a la divina voglia,
3. 81 per ch'una fansi nostre voglie stesse;

3. 82 sì che, come noi sem di soglia in soglia
3. 83 per questo regno, a tutto il regno piace
3. 84 com'a lo re che 'n suo voler ne 'nvoglia.

3. 85 E 'n la sua volontade è nostra pace:
3. 86 ell'è quel mare al qual tutto si move
3. 87 ciò ch'ella cria o che natura face».

3. 88 Chiaro mi fu allor come ogne dove
3. 89 in cielo è paradiso, *etsi* la grazia
3. 90 del sommo ben d'un modo non vi piove.

3. 91 Ma sì com'elli avvien, s'un cibo sazia
3. 92 e d'un altro rimane ancor la gola,
3. 93 che quel si chere e di quel si ringrazia,

3. 94 così fec'io con atto e con parola,
3. 95 per apprender da lei qual fu la tela
3. 96 onde non trasse infino a co la spuola.

3. 97 «Perfetta vita e alto merto inciela
3. 98 donna più sù», mi disse, «a la cui norma
3. 99 nel vostro mondo giù si veste e vela,

3.100 perché fino al morir si vegghi e dorma
3.101 con quello sposo ch'ogne voto accetta
3.102 che caritate a suo piacer conforma.

3.103 Dal mondo, per seguirla, giovinetta
3.104 fuggi'mi, e nel suo abito mi chiusi
3.105 e promisi la via de la sua setta.

3.106 Uomini poi, a mal più ch'a bene usi,
3.107 fuor mi rapiron de la dolce chiostra:
3.108 Iddio si sa qual poi mia vita fusi.

3.109 E quest'altro splendor che ti si mostra
3.110 da la mia destra parte e che s'accende
3.111 di tutto il lume de la spera nostra,

3.112 ciò ch'io dico di me, di sé intende;
3.113 sorella fu, e così le fu tolta
3.114 di capo l'ombra de le sacre bende.

3.115 Ma poi che pur al mondo fu rivolta
3.116 contra suo grado e contra buona usanza,
3.117 non fu dal vel del cor già mai disciolta.

3.118 Quest'è la luce de la gran Costanza
3.119 che del secondo vento di Soave
3.120 generò 'l terzo e l'ultima possanza».

3.121 Così parlommi, e poi cominciò "*Ave,
3.122 Maria*" cantando, e cantando vanio
3.123 come per acqua cupa cosa grave.

3.124 La vista mia, che tanto lei seguio
3.125 quanto possibil fu, poi che la perse,
3.126 volsesi al segno di maggior disio,

3.127 e a Beatrice tutta si converse;
3.128 ma quella folgorò nel mio sguardo
3.129 sì che da prima il viso non sofferse;
3.130 e ciò mi fece a dimandar più tardo.


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Voglio, avrò — se non qui, in altro luogo che ancora non so. Niente ho perduto. Tutto sarò. (Fernando Pessoa)

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Mesazh i vjetër 01 Tetor 2003 13:46
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Paradiso (canto 4)

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4. 1 Intra due cibi, distanti e moventi
4. 2 d'un modo, prima si morria di fame,
4. 3 che liber'omo l'un recasse ai denti;

4. 4 sì si starebbe un agno intra due brame
4. 5 di fieri lupi, igualmente temendo;
4. 6 sì si starebbe un cane intra due dame:

4. 7 per che, s'i' mi tacea, me non riprendo,
4. 8 da li miei dubbi d'un modo sospinto,
4. 9 poi ch'era necessario, né commendo.

4. 10 Io mi tacea, ma 'l mio disir dipinto
4. 11 m'era nel viso, e 'l dimandar con ello,
4. 12 più caldo assai che per parlar distinto.

4. 13 Fé sì Beatrice qual fé Daniello,
4. 14 Nabuccodonosor levando d'ira,
4. 15 che l'avea fatto ingiustamente fello;

4. 16 e disse: «Io veggio ben come ti tira
4. 17 uno e altro disio, sì che tua cura
4. 18 sé stessa lega sì che fuor non spira.

4. 19 Tu argomenti: "Se 'l buon voler dura,
4. 20 la violenza altrui per qual ragione
4. 21 di meritar mi scema la misura?".

4. 22 Ancor di dubitar ti dà cagione
4. 23 parer tornarsi l'anime a le stelle,
4. 24 secondo la sentenza di Platone.

4. 25 Queste son le question che nel tuo *velle*
4. 26 pontano igualmente; e però pria
4. 27 tratterò quella che più ha di felle.

4. 28 D'i Serafin colui che più s'india,
4. 29 Moisè, Samuel, e quel Giovanni
4. 30 che prender vuoli, io dico, non Maria,

4. 31 non hanno in altro cielo i loro scanni
4. 32 che questi spirti che mo t'appariro,
4. 33 né hanno a l'esser lor più o meno anni;

4. 34 ma tutti fanno bello il primo giro,
4. 35 e differentemente han dolce vita
4. 36 per sentir più e men l'etterno spiro.

4. 37 Qui si mostraro, non perché sortita
4. 38 sia questa spera lor, ma per far segno
4. 39 de la celestial c'ha men salita.

4. 40 Così parlar conviensi al vostro ingegno,
4. 41 però che solo da sensato apprende
4. 42 ciò che fa poscia d'intelletto degno.

4. 43 Per questo la Scrittura condescende
4. 44 a vostra facultate, e piedi e mano
4. 45 attribuisce a Dio, e altro intende;

4. 46 e Santa Chiesa con aspetto umano
4. 47 Gabriel e Michel vi rappresenta,
4. 48 e l'altro che Tobia rifece sano.

4. 49 Quel che Timeo de l'anime argomenta
4. 50 non è simile a ciò che qui si vede,
4. 51 però che, come dice, par che senta.

4. 52 Dice che l'alma a la sua stella riede,
4. 53 credendo quella quindi esser decisa
4. 54 quando natura per forma la diede;

4. 55 e forse sua sentenza è d'altra guisa
4. 56 che la voce non suona, ed esser puote
4. 57 con intenzion da non esser derisa.

4. 58 S'elli intende tornare a queste ruote
4. 59 l'onor de la influenza e 'l biasmo, forse
4. 60 in alcun vero suo arco percuote.

4. 61 Questo principio, male inteso, torse
4. 62 già tutto il mondo quasi, sì che Giove,
4. 63 Mercurio e Marte a nominar trascorse.

4. 64 L'altra dubitazion che ti commove
4. 65 ha men velen, però che sua malizia
4. 66 non ti poria menar da me altrove.

4. 67 Parere ingiusta la nostra giustizia
4. 68 ne li occhi d'i mortali, è argomento
4. 69 di fede e non d'eretica nequizia.

4. 70 Ma perché puote vostro accorgimento
4. 71 ben penetrare a questa veritate,
4. 72 come disiri, ti farò contento.

4. 73 Se violenza è quando quel che pate
4. 74 niente conferisce a quel che sforza,
4. 75 non fuor quest'alme per essa scusate;

4. 76 ché volontà, se non vuol, non s'ammorza,
4. 77 ma fa come natura face in foco,
4. 78 se mille volte violenza il torza.

4. 79 Per che, s'ella si piega assai o poco,
4. 80 segue la forza; e così queste fero
4. 81 possendo rifuggir nel santo loco.

4. 82 Se fosse stato lor volere intero,
4. 83 come tenne Lorenzo in su la grada,
4. 84 e fece Muzio a la sua man severo,

4. 85 così l'avria ripinte per la strada
4. 86 ond'eran tratte, come fuoro sciolte;
4. 87 ma così salda voglia è troppo rada.

4. 88 E per queste parole, se ricolte
4. 89 l'hai come dei, è l'argomento casso
4. 90 che t'avria fatto noia ancor più volte.

4. 91 Ma or ti s'attraversa un altro passo
4. 92 dinanzi a li occhi, tal che per te stesso
4. 93 non usciresti: pria saresti lasso.

4. 94 Io t'ho per certo ne la mente messo
4. 95 ch'alma beata non poria mentire,
4. 96 però ch'è sempre al primo vero appresso;

4. 97 e poi potesti da Piccarda udire
4. 98 che l'affezion del vel Costanza tenne;
4. 99 sì ch'ella par qui meco contradire.

4.100 Molte fiate già, frate, addivenne
4.101 che, per fuggir periglio, contra grato
4.102 si fé di quel che far non si convenne;

4.103 come Almeone, che, di ciò pregato
4.104 dal padre suo, la propria madre spense,
4.105 per non perder pietà, si fé spietato.

4.106 A questo punto voglio che tu pense
4.107 che la forza al voler si mischia, e fanno
4.108 sì che scusar non si posson l'offense.

4.109 Voglia assoluta non consente al danno;
4.110 ma consentevi in tanto in quanto teme,
4.111 se si ritrae, cadere in più affanno.

4.112 Però, quando Piccarda quello spreme,
4.113 de la voglia assoluta intende, e io
4.114 de l'altra; sì che ver diciamo insieme».

4.115 Cotal fu l'ondeggiar del santo rio
4.116 ch'uscì del fonte ond'ogne ver deriva;
4.117 tal puose in pace uno e altro disio.

4.118 «O amanza del primo amante, o diva»,
4.119 diss'io appresso, «il cui parlar m'inonda
4.120 e scalda sì, che più e più m'avviva,

4.121 non è l'affezion mia tanto profonda,
4.122 che basti a render voi grazia per grazia;
4.123 ma quei che vede e puote a ciò risponda.

4.124 Io veggio ben che già mai non si sazia
4.125 nostro intelletto, se 'l ver non lo illustra
4.126 di fuor dal qual nessun vero si spazia.

4.127 Posasi in esso, come fera in lustra,
4.128 tosto che giunto l'ha; e giugner puollo:
4.129 se non, ciascun disio sarebbe *frustra*.

4.130 Nasce per quello, a guisa di rampollo,
4.131 a piè del vero il dubbio; ed è natura
4.132 ch'al sommo pinge noi di collo in collo.

4.133 Questo m'invita, questo m'assicura
4.134 con reverenza, donna, a dimandarvi
4.135 d'un'altra verità che m'è oscura.

4.136 Io vo' saper se l'uom può sodisfarvi
4.137 ai voti manchi sì con altri beni,
4.138 ch'a la vostra statera non sien parvi».

4.139 Beatrice mi guardò con li occhi pieni
4.140 di faville d'amor così divini,
4.141 che, vinta, mia virtute diè le reni,
4.142 e quasi mi perdei con li occhi chini.


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Paradiso (canto 5)

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5. 1 «S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore
5. 2 di là dal modo che 'n terra si vede,
5. 3 sì che del viso tuo vinco il valore,

5. 4 non ti maravigliar; ché ciò procede
5. 5 da perfetto veder, che, come apprende,
5. 6 così nel bene appreso move il piede.

5. 7 Io veggio ben sì come già resplende
5. 8 ne l'intelletto tuo l'etterna luce,
5. 9 che, vista, sola e sempre amore accende;

5. 10 e s'altra cosa vostro amor seduce,
5. 11 non è se non di quella alcun vestigio,
5. 12 mal conosciuto, che quivi traluce.

5. 13 Tu vuo' saper se con altro servigio,
5. 14 per manco voto, si può render tanto
5. 15 che l'anima sicuri di letigio».

5. 16 Sì cominciò Beatrice questo canto;
5. 17 e sì com'uom che suo parlar non spezza,
5. 18 continuò così 'l processo santo:

5. 19 «Lo maggior don che Dio per sua larghezza
5. 20 fesse creando, e a la sua bontate
5. 21 più conformato, e quel ch'e' più apprezza,

5. 22 fu de la volontà c;
5. 23 di che le creature intelligenti,
5. 24 e tutte e sole, fuoro e son dotate.

5. 25 Or ti parrà, se tu quinci argomenti,
5. 26 l'alto valor del voto, s'è sì fatto
5. 27 che Dio consenta quando tu consenti;

5. 28 ché, nel fermar tra Dio e l'uomo il patto,
5. 29 vittima fassi di questo tesoro,
5. 30 tal quale io dico; e fassi col suo atto.

5. 31 Dunque che render puossi per ristoro?
5. 32 Se credi bene usar quel c'hai offerto,
5. 33 di maltolletto vuo' far buon lavoro.

5. 34 Tu se' omai del maggior punto certo;
5. 35 ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa,
5. 36 che par contra lo ver ch'i' t'ho scoverto,

5. 37 convienti ancor sedere un poco a mensa,
5. 38 però che 'l cibo rigido c'hai preso,
5. 39 richiede ancora aiuto a tua dispensa.

5. 40 Apri la mente a quel ch'io ti paleso
5. 41 e fermalvi entro; ché non fa scienza,
5. 42 sanza lo ritenere, avere inteso.

5. 43 Due cose si convegnono a l'essenza
5. 44 di questo sacrificio: l'una è quella
5. 45 di che si fa; l'altr'è la convenenza.

5. 46 Quest'ultima già mai non si cancella
5. 47 se non servata; e intorno di lei
5. 48 sì preciso di sopra si favella:

5. 49 però necessitato fu a li Ebrei
5. 50 pur l'offerere, ancor ch'alcuna offerta
5. 51 sì permutasse, come saver dei.

5. 52 L'altra, che per materia t'è aperta,
5. 53 puote ben esser tal, che non si falla
5. 54 se con altra materia si converta.

5. 55 Ma non trasmuti carco a la sua spalla
5. 56 per suo arbitrio alcun, sanza la volta
5. 57 e de la chiave bianca e de la gialla;

5. 58 e ogne permutanza credi stolta,
5. 59 se la cosa dimessa in la sorpresa
5. 60 come 'l quattro nel sei non è raccolta.

5. 61 Però qualunque cosa tanto pesa
5. 62 per suo valor che tragga ogne bilancia,
5. 63 sodisfar non si può con altra spesa.

5. 64 Non prendan li mortali il voto a ciancia;
5. 65 siate fedeli, e a ciò far non bieci,
5. 66 come Ieptè a la sua prima mancia;

5. 67 cui più si convenia dicer "Mal feci",
5. 68 che, servando, far peggio; e così stolto
5. 69 ritrovar puoi il gran duca de' Greci,

5. 70 onde pianse Efigènia il suo bel volto,
5. 71 e fé pianger di sé i folli e i savi
5. 72 ch'udir parlar di così fatto cólto.

5. 73 Siate, Cristiani, a muovervi più gravi:
5. 74 non siate come penna ad ogne vento,
5. 75 e non crediate ch'ogne acqua vi lavi.

5. 76 Avete il novo e 'l vecchio Testamento,
5. 77 e 'l pastor de la Chiesa che vi guida;
5. 78 questo vi basti a vostro salvamento.

5. 79 Se mala cupidigia altro vi grida,
5. 80 uomini siate, e non pecore matte,
5. 81 sì che 'l Giudeo di voi tra voi non rida!

5. 82 Non fate com'agnel che lascia il latte
5. 83 de la sua madre, e semplice e lascivo
5. 84 seco medesmo a suo piacer combatte!».

5. 85 Così Beatrice a me com'io scrivo;
5. 86 poi si rivolse tutta disiante
5. 87 a quella parte ove 'l mondo è più vivo.

5. 88 Lo suo tacere e 'l trasmutar sembiante
5. 89 puoser silenzio al mio cupido ingegno,
5. 90 che già nuove questioni avea davante;

5. 91 e sì come saetta che nel segno
5. 92 percuote pria che sia la corda queta,
5. 93 così corremmo nel secondo regno.

5. 94 Quivi la donna mia vid'io sì lieta,
5. 95 come nel lume di quel ciel si mise,
5. 96 che più lucente se ne fé 'l pianeta.

5. 97 E se la stella si cambiò e rise,
5. 98 qual mi fec'io che pur da mia natura
5. 99 trasmutabile son per tutte guise!

5.100 Come 'n peschiera ch'è tranquilla e pura
5.101 traggonsi i pesci a ciò che vien di fori
5.102 per modo che lo stimin lor pastura,

5.103 sì vid'io ben più di mille splendori
5.104 trarsi ver' noi, e in ciascun s'udìa:
5.105 «Ecco chi crescerà li nostri amori».

5.106 E sì come ciascuno a noi venìa,
5.107 vedeasi l'ombra piena di letizia
5.108 nel folgór chiaro che di lei uscia.

5.109 Pensa, lettor, se quel che qui s'inizia
5.110 non procedesse, come tu avresti
5.111 di più savere angosciosa carizia;

5.112 e per te vederai come da questi
5.113 m'era in disio d'udir lor condizioni,
5.114 sì come a li occhi mi fur manifesti.

5.115 «O bene nato a cui veder li troni
5.116 del triunfo etternal concede grazia
5.117 prima che la milizia s'abbandoni,

5.118 del lume che per tutto il ciel si spazia
5.119 noi semo accesi; e però, se disii
5.120 di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia».

5.121 Così da un di quelli spirti pii
5.122 detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì
5.123 sicuramente, e credi come a dii».

5.124 «Io veggio ben sì come tu t'annidi
5.125 nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,
5.126 perch'e' corusca sì come tu ridi;

5.127 ma non so chi tu se', né perché aggi,
5.128 anima degna, il grado de la spera
5.129 che si vela a' mortai con altrui raggi».

5.130 Questo diss'io diritto alla lumera
5.131 che pria m'avea parlato; ond'ella fessi
5.132 lucente più assai di quel ch'ell'era.

5.133 Sì come il sol che si cela elli stessi
5.134 per troppa luce, come 'l caldo ha róse
5.135 le temperanze d'i vapori spessi,

5.136 per più letizia sì mi si nascose
5.137 dentro al suo raggio la figura santa;
5.138 e così chiusa chiusa mi rispuose
5.139 nel modo che 'l seguente canto canta.


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Paradiso (canto 6)

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6. 1 «Poscia che Costantin l'aquila volse
6. 2 contr'al corso del ciel, ch'ella seguio
6. 3 dietro a l'antico che Lavina tolse,

6. 4 cento e cent'anni e più l'uccel di Dio
6. 5 ne lo stremo d'Europa si ritenne,
6. 6 vicino a' monti de' quai prima uscìo;

6. 7 e sotto l'ombra de le sacre penne
6. 8 governò 'l mondo lì di mano in mano,
6. 9 e, sì cangiando, in su la mia pervenne.

6. 10 Cesare fui e son Iustiniano,
6. 11 che, per voler del primo amor ch'i' sento,
6. 12 d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano.

6. 13 E prima ch'io a l'ovra fossi attento,
6. 14 una natura in Cristo esser, non piùe,
6. 15 credea, e di tal fede era contento;

6. 16 ma 'l benedetto Agapito, che fue
6. 17 sommo pastore, a la fede sincera
6. 18 mi dirizzò con le parole sue.

6. 19 Io li credetti; e ciò che 'n sua fede era,
6. 20 vegg'io or chiaro sì, come tu vedi
6. 21 ogni contradizione e falsa e vera.

6. 22 Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,
6. 23 a Dio per grazia piacque di spirarmi
6. 24 l'alto lavoro, e tutto 'n lui mi diedi;

6. 25 e al mio Belisar commendai l'armi,
6. 26 cui la destra del ciel fu sì congiunta,
6. 27 che segno fu ch'i' dovessi posarmi.

6. 28 Or qui a la question prima s'appunta
6. 29 la mia risposta; ma sua condizione
6. 30 mi stringe a seguitare alcuna giunta,

6. 31 perché tu veggi con quanta ragione
6. 32 si move contr'al sacrosanto segno
6. 33 e chi 'l s'appropria e chi a lui s'oppone.

6. 34 Vedi quanta virtù l'ha fatto degno
6. 35 di reverenza; e cominciò da l'ora
6. 36 che Pallante morì per darli regno.

6. 37 Tu sai ch'el fece in Alba sua dimora
6. 38 per trecento anni e oltre, infino al fine
6. 39 che i tre a' tre pugnar per lui ancora.

6. 40 E sai ch'el fé dal mal de le Sabine
6. 41 al dolor di Lucrezia in sette regi,
6. 42 vincendo intorno le genti vicine.

6. 43 Sai quel ch'el fé portato da li egregi
6. 44 Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,
6. 45 incontro a li altri principi e collegi;

6. 46 onde Torquato e Quinzio, che dal cirro
6. 47 negletto fu nomato, i Deci e ' Fabi
6. 48 ebber la fama che volontier mirro.

6. 49 Esso atterrò l'orgoglio de li Aràbi
6. 50 che di retro ad Annibale passaro
6. 51 l'alpestre rocce, Po, di che tu labi.

6. 52 Sott'esso giovanetti triunfaro
6. 53 Scipione e Pompeo; e a quel colle
6. 54 sotto 'l qual tu nascesti parve amaro.

6. 55 Poi, presso al tempo che tutto 'l ciel volle
6. 56 redur lo mondo a suo modo sereno,
6. 57 Cesare per voler di Roma il tolle.

6. 58 E quel che fé da Varo infino a Reno,
6. 59 Isara vide ed Era e vide Senna
6. 60 e ogne valle onde Rodano è pieno.

6. 61 Quel che fé poi ch'elli uscì di Ravenna
6. 62 e saltò Rubicon, fu di tal volo,
6. 63 che nol seguiteria lingua né penna.

6. 64 Inver' la Spagna rivolse lo stuolo,
6. 65 poi ver' Durazzo, e Farsalia percosse
6. 66 sì ch'al Nil caldo si sentì del duolo.

6. 67 Antandro e Simeonta, onde si mosse,
6. 68 rivide e là dov'Ettore si cuba;
6. 69 e mal per Tolomeo poscia si scosse.

6. 70 Da indi scese folgorando a Iuba;
6. 71 onde si volse nel vostro occidente,
6. 72 ove sentia la pompeana tuba.

6. 73 Di quel che fé col baiulo seguente,
6. 74 Bruto con Cassio ne l'inferno latra,
6. 75 e Modena e Perugia fu dolente.

6. 76 Piangene ancor la trista Cleopatra,
6. 77 che, fuggendoli innanzi, dal colubro
6. 78 la morte prese subitana e atra.

6. 79 Con costui corse infino al lito rubro;
6. 80 con costui puose il mondo in tanta pace,
6. 81 che fu serrato a Giano il suo delubro.

6. 82 Ma ciò che 'l segno che parlar mi face
6. 83 fatto avea prima e poi era fatturo
6. 84 per lo regno mortal ch'a lui soggiace,

6. 85 diventa in apparenza poco e scuro,
6. 86 se in mano al terzo Cesare si mira
6. 87 con occhio chiaro e con affetto puro;

6. 88 ché la viva giustizia che mi spira,
6. 89 li concedette, in mano a quel ch'i' dico,
6. 90 gloria di far vendetta a la sua ira.

6. 91 Or qui t'ammira in ciò ch'io ti replìco:
6. 92 poscia con Tito a far vendetta corse
6. 93 de la vendetta del peccato antico.

6. 94 E quando il dente longobardo morse
6. 95 la Santa Chiesa, sotto le sue ali
6. 96 Carlo Magno, vincendo, la soccorse.

6. 97 Omai puoi giudicar di quei cotali
6. 98 ch'io accusai di sopra e di lor falli,
6. 99 che son cagion di tutti vostri mali.

6.100 L'uno al pubblico segno i gigli gialli
6.101 oppone, e l'altro appropria quello a parte,
6.102 sì ch'è forte a veder chi più si falli.

6.103 Faccian li Ghibellin, faccian lor arte
6.104 sott'altro segno; ché mal segue quello
6.105 sempre chi la giustizia e lui diparte;

6.106 e non l'abbatta esto Carlo novello
6.107 coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli
6.108 ch'a più alto leon trasser lo vello.

6.109 Molte fiate già pianser li figli
6.110 per la colpa del padre, e non si creda
6.111 che Dio trasmuti l'arme per suoi gigli!

6.112 Questa picciola stella si correda
6.113 di buoni spirti che son stati attivi
6.114 perché onore e fama li succeda:

6.115 e quando li disiri poggian quivi,
6.116 sì disviando, pur convien che i raggi
6.117 del vero amore in sù poggin men vivi.

6.118 Ma nel commensurar d'i nostri gaggi
6.119 col merto è parte di nostra letizia,
6.120 perché non li vedem minor né maggi.

6.121 Quindi addolcisce la viva giustizia
6.122 in noi l'affetto sì, che non si puote
6.123 torcer già mai ad alcuna nequizia.

6.124 Diverse voci fanno dolci note;
6.125 così diversi scanni in nostra vita
6.126 rendon dolce armonia tra queste rote.

6.127 E dentro a la presente margarita
6.128 luce la luce di Romeo, di cui
6.129 fu l'ovra grande e bella mal gradita.

6.130 Ma i Provenzai che fecer contra lui
6.131 non hanno riso; e però mal cammina
6.132 qual si fa danno del ben fare altrui.

6.133 Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,
6.134 Ramondo Beringhiere, e ciò li fece
6.135 Romeo, persona umìle e peregrina.

6.136 E poi il mosser le parole biece
6.137 a dimandar ragione a questo giusto,
6.138 che li assegnò sette e cinque per diece,

6.139 indi partissi povero e vetusto;
6.140 e se 'l mondo sapesse il cor ch'elli ebbe
6.141 mendicando sua vita a frusto a frusto,
6.142 assai lo loda, e più lo loderebbe».


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Paradiso (canto 7)

7. 1 «Osanna, sanctus Deus sabaòth,
7. 2 superillustrans claritate tua
7. 3 felices ignes horum malacòth!».

7. 4 Così, volgendosi a la nota sua,
7. 5 fu viso a me cantare essa sustanza,
7. 6 sopra la qual doppio lume s'addua:

7. 7 ed essa e l'altre mossero a sua danza,
7. 8 e quasi velocissime faville,
7. 9 mi si velar di sùbita distanza.

7. 10 Io dubitava e dicea "Dille, dille!"
7. 11 fra me, "dille", dicea, `a la mia donna
7. 12 che mi diseta con le dolci stille'.

7. 13 Ma quella reverenza che s'indonna
7. 14 di tutto me, pur per *Be* e per *ice*,
7. 15 mi richinava come l'uom ch'assonna.

7. 16 Poco sofferse me cotal Beatrice
7. 17 e cominciò, raggiandomi d'un riso
7. 18 tal, che nel foco faria l'uom felice:

7. 19 «Secondo mio infallibile avviso,
7. 20 come giusta vendetta giustamente
7. 21 punita fosse, t'ha in pensier miso;

7. 22 ma io ti solverò tosto la mente;
7. 23 e tu ascolta, ché le mie parole
7. 24 di gran sentenza ti faran presente.

7. 25 Per non soffrire a la virtù che vole
7. 26 freno a suo prode, quell'uom che non nacque,
7. 27 dannando sé, dannò tutta sua prole;

7. 28 onde l'umana specie inferma giacque
7. 29 giù per secoli molti in grande errore,
7. 30 fin ch'al Verbo di Dio discender piacque

7. 31 u' la natura, che dal suo fattore
7. 32 s'era allungata, unì a sé in persona
7. 33 con l'atto sol del suo etterno amore.

7. 34 Or drizza il viso a quel ch'or si ragiona:
7. 35 questa natura al suo fattore unita,
7. 36 qual fu creata, fu sincera e buona;

7. 37 ma per sé stessa pur fu ella sbandita
7. 38 di paradiso, però che si torse
7. 39 da via di verità e da sua vita.

7. 40 La pena dunque che la croce porse
7. 41 s'a la natura assunta si misura,
7. 42 nulla già mai sì giustamente morse;

7. 43 e così nulla fu di tanta ingiura,
7. 44 guardando a la persona che sofferse,
7. 45 in che era contratta tal natura.

7. 46 Però d'un atto uscir cose diverse:
7. 47 ch'a Dio e a' Giudei piacque una morte;
7. 48 per lei tremò la terra e 'l ciel s'aperse.

7. 49 Non ti dee oramai parer più forte,
7. 50 quando si dice che giusta vendetta
7. 51 poscia vengiata fu da giusta corte.

7. 52 Ma io veggi' or la tua mente ristretta
7. 53 di pensiero in pensier dentro ad un nodo,
7. 54 del qual con gran disio solver s'aspetta.

7. 55 Tu dici: "Ben discerno ciò ch'i' odo;
7. 56 ma perché Dio volesse, m'è occulto,
7. 57 a nostra redenzion pur questo modo".

7. 58 Questo decreto, frate, sta sepulto
7. 59 a li occhi di ciascuno il cui ingegno
7. 60 ne la fiamma d'amor non è adulto.

7. 61 Veramente, però ch'a questo segno
7. 62 molto si mira e poco si discerne,
7. 63 dirò perché tal modo fu più degno.

7. 64 La divina bontà, che da sé sperne
7. 65 ogne livore, ardendo in sé, sfavilla
7. 66 sì che dispiega le bellezze etterne.

7. 67 Ciò che da lei sanza mezzo distilla
7. 68 non ha poi fine, perché non si move
7. 69 la sua imprenta quand'ella sigilla.

7. 70 Ciò che da essa sanza mezzo piove
7. 71 libero è tutto, perché non soggiace
7. 72 a la virtute de le cose nove.

7. 73 Più l'è conforme, e però più le piace;
7. 74 ché l'ardor santo ch'ogne cosa raggia,
7. 75 ne la più somigliante è più vivace.

7. 76 Di tutte queste dote s'avvantaggia
7. 77 l'umana creatura; e s'una manca,
7. 78 di sua nobilità convien che caggia.

7. 79 Solo il peccato è quel che la disfranca
7. 80 e falla dissìmile al sommo bene,
7. 81 per che del lume suo poco s'imbianca;

7. 82 e in sua dignità mai non rivene,
7. 83 se non riempie, dove colpa vòta,
7. 84 contra mal dilettar con giuste pene.

7. 85 Vostra natura, quando peccò *tota*
7. 86 nel seme suo, da queste dignitadi,
7. 87 come di paradiso, fu remota;

7. 88 né ricovrar potiensi, se tu badi
7. 89 ben sottilmente, per alcuna via,
7. 90 sanza passar per un di questi guadi:

7. 91 o che Dio solo per sua cortesia
7. 92 dimesso avesse, o che l'uom per sé isso
7. 93 avesse sodisfatto a sua follia.

7. 94 Ficca mo l'occhio per entro l'abisso
7. 95 de l'etterno consiglio, quanto puoi
7. 96 al mio parlar distrettamente fisso.

7. 97 Non potea l'uomo ne' termini suoi
7. 98 mai sodisfar, per non potere ir giuso
7. 99 con umiltate obediendo poi,

7.100 quanto disobediendo intese ir suso;
7.101 e questa è la cagion per che l'uom fue
7.102 da poter sodisfar per sé dischiuso.

7.103 Dunque a Dio convenia con le vie sue
7.104 riparar l'omo a sua intera vita,
7.105 dico con l'una, o ver con amendue.

7.106 Ma perché l'ovra tanto è più gradita
7.107 da l'operante, quanto più appresenta
7.108 de la bontà del core ond'ell'è uscita,

7.109 la divina bontà che 'l mondo imprenta,
7.110 di proceder per tutte le sue vie,
7.111 a rilevarvi suso, fu contenta.

7.112 Né tra l'ultima notte e 'l primo die
7.113 sì alto o sì magnifico processo,
7.114 o per l'una o per l'altra, fu o fie:

7.115 ché più largo fu Dio a dar sé stesso
7.116 per far l'uom sufficiente a rilevarsi,
7.117 che s'elli avesse sol da sé dimesso;

7.118 e tutti li altri modi erano scarsi
7.119 a la giustizia, se 'l Figliuol di Dio
7.120 non fosse umiliato ad incarnarsi.

7.121 Or per empierti bene ogni disio,
7.122 ritorno a dichiararti in alcun loco,
7.123 perché tu veggi lì così com'io.

7.124 Tu dici: ``Io veggio l'acqua, io veggio il foco,
7.125 l'aere e la terra e tutte lor misture
7.126 venire a corruzione, e durar poco;

7.127 e queste cose pur furon creature;
7.128 per che, se ciò ch'è detto è stato vero,
7.129 esser dovrien da corruzion sicure''.

7.130 Li angeli, frate, e 'l paese sincero
7.131 nel qual tu se', dir si posson creati,
7.132 sì come sono, in loro essere intero;

7.133 ma li elementi che tu hai nomati
7.134 e quelle cose che di lor si fanno
7.135 da creata virtù sono informati.

7.136 Creata fu la materia ch'elli hanno;
7.137 creata fu la virtù informante
7.138 in queste stelle che 'ntorno a lor vanno.

7.139 L'anima d'ogne bruto e de le piante
7.140 di complession potenziata tira
7.141 lo raggio e 'l moto de le luci sante;

7.142 ma vostra vita sanza mezzo spira
7.143 la somma beninanza, e la innamora
7.144 di sé sì che poi sempre la disira.

7.145 E quinci puoi argomentare ancora
7.146 vostra resurrezion, se tu ripensi
7.147 come l'umana carne fessi allora
7.148 che li primi parenti intrambo fensi».


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Paradiso (canto 8)

8. 1 Solea creder lo mondo in suo periclo
8. 2 che la bella Ciprigna il folle amore
8. 3 raggiasse, volta nel terzo epiciclo;

8. 4 per che non pur a lei faceano onore
8. 5 di sacrificio e di votivo grido
8. 6 le genti antiche ne l'antico errore;

8. 7 ma Dione onoravano e Cupido,
8. 8 quella per madre sua, questo per figlio,
8. 9 e dicean ch'el sedette in grembo a Dido;

8. 10 e da costei ond'io principio piglio
8. 11 pigliavano il vocabol de la stella
8. 12 che 'l sol vagheggia or da coppa or da ciglio.

8. 13 Io non m'accorsi del salire in ella;
8. 14 ma d'esservi entro mi fé assai fede
8. 15 la donna mia ch'i' vidi far più bella.

8. 16 E come in fiamma favilla si vede,
8. 17 e come in voce voce si discerne,
8. 18 quand'una è ferma e altra va e riede,

8. 19 vid'io in essa luce altre lucerne
8. 20 muoversi in giro più e men correnti,
8. 21 al modo, credo, di lor viste interne.

8. 22 Di fredda nube non disceser venti,
8. 23 o visibili o no, tanto festini,
8. 24 che non paressero impediti e lenti

8. 25 a chi avesse quei lumi divini
8. 26 veduti a noi venir, lasciando il giro
8. 27 pria cominciato in li alti Serafini;

8. 28 e dentro a quei che più innanzi appariro
8. 29 sonava "*Osanna*" sì, che unque poi
8. 30 di riudir non fui sanza disiro.

8. 31 Indi si fece l'un più presso a noi
8. 32 e solo incominciò: «Tutti sem presti
8. 33 al tuo piacer, perché di noi ti gioi.

8. 34 Noi ci volgiam coi principi celesti
8. 35 d'un giro e d'un girare e d'una sete,
8. 36 ai quali tu del mondo già dicesti:

8. 37 "*Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete*";
8. 38 e sem sì pien d'amor, che, per piacerti,
8. 39 non fia men dolce un poco di quiete».

8. 40 Poscia che li occhi miei si fuoro offerti
8. 41 a la mia donna reverenti, ed essa
8. 42 fatti li avea di sé contenti e certi,

8. 43 rivolsersi a la luce che promessa
8. 44 tanto s'avea, e «Deh, chi siete?» fue
8. 45 la voce mia di grande affetto impressa.

8. 46 E quanta e quale vid'io lei far piùe
8. 47 per allegrezza nova che s'accrebbe,
8. 48 quando parlai, a l'allegrezze sue!

8. 49 Così fatta, mi disse: «Il mondo m'ebbe
8. 50 giù poco tempo; e se più fosse stato,
8. 51 molto sarà di mal, che non sarebbe.

8. 52 La mia letizia mi ti tien celato
8. 53 che mi raggia dintorno e mi nasconde
8. 54 quasi animal di sua seta fasciato.

8. 55 Assai m'amasti, e avesti ben onde;
8. 56 che s'io fossi giù stato, io ti mostrava
8. 57 di mio amor più oltre che le fronde.

8. 58 Quella sinistra riva che si lava
8. 59 di Rodano poi ch'è misto con Sorga,
8. 60 per suo segnore a tempo m'aspettava,

8. 61 e quel corno d'Ausonia che s'imborga
8. 62 di Bari e di Gaeta e di Catona
8. 63 da ove Tronto e Verde in mare sgorga.

8. 64 Fulgeami già in fronte la corona
8. 65 di quella terra che 'l Danubio riga
8. 66 poi che le ripe tedesche abbandona.

8. 67 E la bella Trinacria, che caliga
8. 68 tra Pachino e Peloro, sopra 'l golfo
8. 69 che riceve da Euro maggior briga,

8. 70 non per Tifeo ma per nascente solfo,
8. 71 attesi avrebbe li suoi regi ancora,
8. 72 nati per me di Carlo e di Ridolfo,

8. 73 se mala segnoria, che sempre accora
8. 74 li popoli suggetti, non avesse
8. 75 mosso Palermo a gridar: "Mora, mora!".

8. 76 E se mio frate questo antivedesse,
8. 77 l'avara povertà di Catalogna
8. 78 già fuggeria, perché non li offendesse;

8. 79 ché veramente proveder bisogna
8. 80 per lui, o per altrui, sì ch'a sua barca
8. 81 carcata più d'incarco non si pogna.

8. 82 La sua natura, che di larga parca
8. 83 discese, avria mestier di tal milizia
8. 84 che non curasse di mettere in arca».

8. 85 «Però ch'i' credo che l'alta letizia
8. 86 che 'l tuo parlar m'infonde, segnor mio,
8. 87 là 've ogne ben si termina e s'inizia,

8. 88 per te si veggia come la vegg'io,
8. 89 grata m'è più; e anco quest'ho caro
8. 90 perché 'l discerni rimirando in Dio.

8. 91 Fatto m'hai lieto, e così mi fa chiaro,
8. 92 poi che, parlando, a dubitar m'hai mosso
8. 93 com'esser può, di dolce seme, amaro».

8. 94 Questo io a lui; ed elli a me: «S'io posso
8. 95 mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
8. 96 terrai lo viso come tien lo dosso.

8. 97 Lo ben che tutto il regno che tu scandi
8. 98 volge e contenta, fa esser virtute
8. 99 sua provedenza in questi corpi grandi.

8.100 E non pur le nature provedute
8.101 sono in la mente ch'è da sé perfetta,
8.102 ma esse insieme con la lor salute:

8.103 per che quantunque quest'arco saetta
8.104 disposto cade a proveduto fine,
8.105 sì come cosa in suo segno diretta.

8.106 Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine
8.107 producerebbe sì li suoi effetti,
8.108 che non sarebbero arti, ma ruine;

8.109 e ciò esser non può, se li 'ntelletti
8.110 che muovon queste stelle non son manchi,
8.111 e manco il primo, che non li ha perfetti.

8.112 Vuo' tu che questo ver più ti s'imbianchi?».
8.113 E io: «Non già; ché impossibil veggio
8.114 che la natura, in quel ch'è uopo, stanchi».

8.115 Ond'elli ancora: «Or di': sarebbe il peggio
8.116 per l'omo in terra, se non fosse cive?».
8.117 «Sì», rispuos'io; «e qui ragion non cheggio».

8.118 «E puot'elli esser, se giù non si vive
8.119 diversamente per diversi offici?
8.120 Non, se 'l maestro vostro ben vi scrive».

8.121 Sì venne deducendo infino a quici;
8.122 poscia conchiuse: «Dunque esser diverse
8.123 convien di vostri effetti le radici:

8.124 per ch'un nasce Solone e altro Serse,
8.125 altro Melchisedèch e altro quello
8.126 che, volando per l'aere, il figlio perse.

8.127 La circular natura, ch'è suggello
8.128 a la cera mortal, fa ben sua arte,
8.129 ma non distingue l'un da l'altro ostello.

8.130 Quinci addivien ch'Esaù si diparte
8.131 per seme da Iacòb; e vien Quirino
8.132 da sì vil padre, che si rende a Marte.

8.133 Natura generata il suo cammino
8.134 simil farebbe sempre a' generanti,
8.135 se non vincesse il proveder divino.

8.136 Or quel che t'era dietro t'è davanti:
8.137 ma perché sappi che di te mi giova,
8.138 un corollario voglio che t'ammanti.

8.139 Sempre natura, se fortuna trova
8.140 discorde a sé, com'ogne altra semente
8.141 fuor di sua region, fa mala prova.

8.142 E se 'l mondo là giù ponesse mente
8.143 al fondamento che natura pone,
8.144 seguendo lui, avria buona la gente.

8.145 Ma voi torcete a la religione
8.146 tal che fia nato a cignersi la spada,
8.147 e fate re di tal ch'è da sermone;
8.148 onde la traccia vostra è fuor di strada».


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Mesazh i vjetër 01 Tetor 2003 14:03
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Paradiso (canto 9)

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9. 1 Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza,
9. 2 m'ebbe chiarito, mi narrò li 'nganni
9. 3 che ricever dovea la sua semenza;

9. 4 ma disse: <<Taci e lascia muover li anni>>;
9. 5 sì ch'io non posso dir se non che pianto
9. 6 giusto verrà di retro ai vostri danni.

9. 7 E già la vita di quel lume santo
9. 8 rivolta s'era al Sol che la riempie
9. 9 come quel ben ch'a ogne cosa è tanto.

9. 10 Ahi anime ingannate e fatture empie,
9. 11 che da sì fatto ben torcete i cuori,
9. 12 drizzando in vanità le vostre tempie!

9. 13 Ed ecco un altro di quelli splendori
9. 14 ver' me si fece, e 'l suo voler piacermi,
9. 15 significava nel chiarir di fori.

9. 16 Li occhi di Beatrice, ch'eran fermi
9. 17 sovra me, come pria, di caro assenso
9. 18 al mio disio certificato fermi.

9. 19 <<Deh, metti al mio voler tosto compenso,
9. 20 beato spirto>>, dissi, <<e fammi prova
9. 21 ch'i' possa in te rifletter quel ch'io penso!>>.

9. 22 Onde la luce che m'era ancor nova,
9. 23 del suo profondo, ond'ella pria cantava
9. 24 seguette come a cui di ben far giova:

9. 25 <<in quella parte della terra prava
9. 26 italica che siede tra Rialto
9. 27 e le fontane di Brenta e di Piava,

9. 28 si leva un colle, e non surge molt'alto,
9. 29 là onde scese già una facella
9. 30 che fece a la contrada un grande assalto.

9. 31 D'una radice nacqui ed io ed ella:
9. 32 Cunizza fui chiamata, e qui refulgo
9. 33 perché mi vinse il lume d'esta stella;

9. 34 ma lietamente a me medesma indulgo
9. 35 la cagion di mia sorte, e non mi noia;
9. 36 che parria forse forte al vostro vulgo.

9. 37 Di questa luculenta e cara gioia
9. 38 del nostro cielo che più m'è propinqua,
9. 39 grande fama rimase; e pria che moia,

9. 40 questo centesimo anno ancor s'incinqua:
9. 41 vedi se far si dee l'omo eccellente,
9. 42 sì ch'altra vita la prima relinqua.

9. 43 E ciò non pensa la turba presente
9. 44 che Tagliamento e Adice richiude,
9. 45 né per esser battuta ancor si pente;

9. 46 ma tosto fia che Padova al palude
9. 47 cangerà l'acqua che Vincenza bagna,
9. 48 per essere al dover le genti crude;

9. 49 e dove Sile e Cagnan s'accompagna,
9. 50 tal signoreggia e va con la testa alta,
9. 51 che già per lui carpir si fa la ragna.

9. 52 Piangerà Feltro ancora la difalta
9. 53 de l'empio suo pastor, che sarà sconcia
9. 54 sì, che per simil non s'entrò in malta.

9. 55 Troppo sarebbe larga la biconcia
9. 56 che ricevesse il sangue ferrarese,
9. 57 e stanco chi 'l pesasse a oncia a oncia,

9. 58 che donerà questo prete cortese
9. 59 per mostrarsi di parte; e cotai doni
9. 60 conformi fieno al viver del paese.

9. 61 Sù sono specchi, voi dicete Troni,
9. 62 onde refulge a noi Dio giudicante;
9. 63 sì che questi parlar ne paion buoni>>.

9. 64 Qui si tacette; e fecemi sembiante
9. 65 che fosse ad altro volta, per la rota
9. 66 in che si mise com'era davante.

9. 67 L'altra letizia, che m'era già nota
9. 68 per cara cosa, mi si fece in vista
9. 69 qual fin balasso in che lo sol percuota.

9. 70 Per letiziar là sù fulgor s'acquista,
9. 71 sì come riso qui; ma giù s'abbuia
9. 72 l'ombra di fuor, come la mente è trista.

9. 73 <<Dio vede tutto, e tuo veder s'inluia>>,
9. 74 diss'io, <<beato spirto, sì che nulla
9. 75 voglia di sè a te può esser fuia.

9. 76 Dunque la voce tua, che 'l ciel trastulla
9. 77 sempre col canto di quei fuochi pii
9. 78 che di sei ali facen la coculla,

9. 79 perché non satisface a' miei disii?
9. 80 Già non attendere' io tua domanda,
9. 81 s'io m'intuassi, come tu t'inmii>>.

9. 82 <<La maggior valle in che l'acqua si spanda>>,
9. 83 incominciaro allor le sue parole,
9. 84 <<fuor di quel mar che la terra inghirlanda,

9. 85 tra' discordanti liti contra 'l sole
9. 86 tanto sen va, che fa meridiano
9. 87 là dove l'orizzonte pria far suole.

9. 88 Di quella valle fu' io litorano
9. 89 tra Ebro e Macra, che per cammin corto
9. 90 parte lo Genovese dal Toscano.

9. 91 Ad un occaso quasi e ad un orto
9. 92 Buggea siede e la terra ond'io fui,
9. 93 che fé del sangue suo già caldo il porto.

9. 94 Folco mi disse quellla gente a cui
9. 95 fu noto il nome mio; e questo cielo
9. 96 di me s'imprenta, com'io fe' di lui;

9. 97 ché più non arse la figlia di Belo.
9. 98 noiando e a Sicheo e a Creusa,
9. 99 di me, infin che si convenne al pelo;

9.100 né quella Rodopea che delusa
9.101 fu da Demofoonte, né Alcide
9.102 quando Iole nel cuore ebbe rinchiusa.

9.103 Non però qui si pente, ma si ride,
9.104 non della colpa, ch'a mente non torna,
9.105 ma del valor ch'ordinò e provide.

9.106 Qui si rimira ne l'arte ch'addorna
9.107 cotanto affetto, e discernesi 'l bene
9.108 per che 'l mondo di sù quel di giù torna.

9.109 Ma perché tutte le tue voglie piene
9.110 ten porti che son nate in questa spera,
9.111 procedere ancor oltre mi convene.

9.112 Tu vuo' saper chi è in questa lumera
9.113 che qui appresso me così scintilla
9.114 come raggio di sole in acqua mera.

9.115 Or sappi che là entro si tranquilla
9.116 Raab; e a nostr'ordine congiunta
9.117 di lei nel sommo grado si sigilla.

9.118 Da questo cielo, in cui l'ombra s'appunta
9.119 che 'l vostro mondo face, pria ch'alt'alma
9.120 del triunfo di Cristo fu assunta.

9.121 Ben si convenne lei lasciar per palma
9.122 in alcun cielo de l'alta vittoria
9.123 che s'acquistò con l'una e l'altra palma,

9.124 perch'ella favorò la prima gloria
9.125 di Iosuè in su la Terra Santa,
9.126 che poco tocca al papa la memoria.

9.127 La tua città, che di colui è pianta,
9.128 che pria volse le spalle al suo fattore
9.129 e di cui è la 'nvidia tanto pianta,

9.130 produce e spande il maladetto fiore
9.131 c'ha disviate le pecore e li agni,
9.132 però che fatto ha lupo del pastore.
9.133 Per questo l'Evangelio e i dottori magni
9.134 son derelitti, e solo ai Decretali
9.135 si studia, sì che pare a' lor vivagni.
9.136 A questo intende il papa e 'cardinali;
9.137 non vanno i lor pensieri a Nazarette,
9.138 là dove Gabriello aperse l'ali.
9.139 Ma Vaticano e l'altre parti elette
9.140 di Roma che son state cimitero
9.141 a la milizia che Pietro seguette,
9.142 tosto libere fien de l'avoltero>>.

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Paradiso (canto 10)

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10. 1 Guardando nel suo Figlio con l'Amore
10. 2 che l'uno e l'altro etternalmente spira,
10. 3 lo primo e ineffabile Valore

10. 4 quanto per mente e per loco si gira
10. 5 con tant'ordine fé, ch'esser non puote
10. 6 sanza gustar di lui chi ciò rimira.

10. 7 Leva dunque, lettore, a l'alte rote
10. 8 meco la vista, dritto a quella parte
10. 9 dove l'un moto e l'altro si percuote;

10. 10 e lì comincia a vagheggiar ne l'arte
10. 11 di quel maestro che dentro a sé l'ama,
10. 12 tanto che mai da lei l'occhio non parte.

10. 13 Vedi come da indi si dirama
10. 14 l'oblico cerchio che i pianeti porta,
10. 15 per sodisfare al mondo che li chiama.

10. 16 Che se la strada lor non fosse torta,
10. 17 molta virtù nel ciel sarebbe in vano,
10. 18 e quasi ogne potenza qua giù morta;

10. 19 e se dal dritto più o men lontano
10. 20 fosse 'l partire, assai sarebbe manco
10. 21 e giù e sù de l'ordine mondano.

10. 22 Or ti riman, lettor, sovra 'l tuo banco,
10. 23 dietro pensando a ciò che si preliba,
10. 24 s'esser vuoi lieto assai prima che stanco.

10. 25 Messo t'ho innanzi: omai per te ti ciba;
10. 26 ché a sé torce tutta la mia cura
10. 27 quella materia ond'io son fatto scriba.

10. 28 Lo ministro maggior de la natura,
10. 29 che del valor del ciel lo mondo imprenta
10. 30 e col suo lume il tempo ne misura,

10. 31 con quella parte che sù si rammenta
10. 32 congiunto, si girava per le spire
10. 33 in che più tosto ognora s'appresenta;

10. 34 e io era con lui; ma del salire
10. 35 non m'accors'io, se non com'uom s'accorge,
10. 36 anzi 'l primo pensier, del suo venire.

10. 37 E' Beatrice quella che sì scorge
10. 38 di bene in meglio, sì subitamente
10. 39 che l'atto suo per tempo non si sporge.

10. 40 Quant'esser convenia da sé lucente
10. 41 quel ch'era dentro al sol dov'io entra'mi,
10. 42 non per color, ma per lume parvente!

10. 43 Perch'io lo 'ngegno e l'arte e l'uso chiami,
10. 44 sì nol direi che mai s'imaginasse;
10. 45 ma creder puossi e di veder si brami.

10. 46 E se le fantasie nostre son basse
10. 47 a tanta altezza, non è maraviglia;
10. 48 ché sopra 'l sol non fu occhio ch'andasse.

10. 49 Tal era quivi la quarta famiglia
10. 50 de l'alto Padre, che sempre la sazia,
10. 51 mostrando come spira e come figlia.

10. 52 E Beatrice cominciò: «Ringrazia,
10. 53 ringrazia il Sol de li angeli, ch'a questo
10. 54 sensibil t'ha levato per sua grazia».

10. 55 Cor di mortal non fu mai sì digesto
10. 56 a divozione e a rendersi a Dio
10. 57 con tutto 'l suo gradir cotanto presto,

10. 58 come a quelle parole mi fec'io;
10. 59 e sì tutto 'l mio amore in lui si mise,
10. 60 che Beatrice eclissò ne l'oblio.

10. 61 Non le dispiacque; ma sì se ne rise,
10. 62 che lo splendor de li occhi suoi ridenti
10. 63 mia mente unita in più cose divise.

10. 64 Io vidi più folgór vivi e
10. 65 far di noi centro e di sé far corona,
10. 66 più dolci in voce che in vista lucenti:

10. 67 così cinger la figlia di Latona
10. 68 vedem talvolta, quando l'aere è pregno,
10. 69 sì che ritenga il fil che fa la zona.

10. 70 Ne la corte del cielo, ond'io rivegno,
10. 71 si trovan molte gioie care e belle
10. 72 tanto che non si posson trar del regno;

10. 73 e 'l canto di quei lumi era di quelle;
10. 74 chi non s'impenna sì che là sù voli,
10. 75 dal muto aspetti quindi le novelle.

10. 76 Poi, sì cantando, quelli ardenti soli
10. 77 si fuor girati intorno a noi tre volte,
10. 78 come stelle vicine a' fermi poli,

10. 79 donne mi parver, non da ballo sciolte,
10. 80 ma che s'arrestin tacite, ascoltando
10. 81 fin che le nove note hanno ricolte.

10. 82 E dentro a l'un senti' cominciar: «Quando
10. 83 lo raggio de la grazia, onde s'accende
10. 84 verace amore e che poi cresce amando,

10. 85 multiplicato in te tanto resplende,
10. 86 che ti conduce su per quella scala
10. 87 u' sanza risalir nessun discende;

10. 88 qual ti negasse il vin de la sua fiala
10. 89 per la tua sete, in libertà non fora
10. 90 se non com'acqua ch'al mar non si cala.

10. 91 Tu vuo' saper di quai piante s'infiora
10. 92 questa ghirlanda che 'ntorno vagheggia
10. 93 la bella donna ch'al ciel t'avvalora.

10. 94 Io fui de li agni de la santa greggia
10. 95 che Domenico mena per cammino
10. 96 u' ben s'impingua se non si vaneggia.

10. 97 Questi che m'è a destra più vicino,
10. 98 frate e maestro fummi, ed esso Alberto
10. 99 è di Cologna, e io Thomas d'Aquino.

10.100 Se sì di tutti li altri esser vuo' certo,
10.101 di retro al mio parlar ten vien col viso
10.102 girando su per lo beato serto.

10.103 Quell'altro fiammeggiare esce del riso
10.104 di Grazian, che l'uno e l'altro foro
10.105 aiutò sì che piace in paradiso.

10.106 L'altro ch'appresso addorna il nostro coro,
10.107 quel Pietro fu che con la poverella
10.108 offerse a Santa Chiesa suo tesoro.

10.109 La quinta luce, ch'è tra noi più bella,
10.110 spira di tal amor, che tutto 'l mondo
10.111 là giù ne gola di saper novella:

10.112 entro v'è l'alta mente u' sì profondo
10.113 saver fu messo, che, se 'l vero è vero
10.114 a veder tanto non surse il secondo.

10.115 Appresso vedi il lume di quel cero
10.116 che giù in carne più a dentro vide
10.117 l'angelica natura e 'l ministero.

10.118 Ne l'altra piccioletta luce ride
10.119 quello avvocato de' tempi cristiani
10.120 del cui latino Augustin si provide.

10.121 Or se tu l'occhio de la mente trani
10.122 di luce in luce dietro a le mie lode,
10.123 già de l'ottava con sete rimani.

10.124 Per vedere ogni ben dentro vi gode
10.125 l'anima santa che 'l mondo fallace
10.126 fa manifesto a chi di lei ben ode.

10.127 Lo corpo ond'ella fu cacciata giace
10.128 giuso in Cieldauro; ed essa da martiro
10.129 e da essilio venne a questa pace.

10.130 Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro
10.131 d'Isidoro, di Beda e di Riccardo,
10.132 che a considerar fu più che viro.

10.133 Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,
10.134 è 'l lume d'uno spirto che 'n pensieri
10.135 gravi a morir li parve venir tardo:

10.136 essa è la luce etterna di Sigieri,
10.137 che, leggendo nel Vico de li Strami,
10.138 silogizzò invidiosi veri».

10.139 Indi, come orologio che ne chiami
10.140 ne l'ora che la sposa di Dio surge
10.141 a mattinar lo sposo perché l'ami,

10.142 che l'una parte e l'altra tira e urge,
10.143 tin tin sonando con sì dolce nota,
10.144 che 'l ben disposto spirto d'amor turge;

10.145 così vid'io la gloriosa rota
10.146 muoversi e render voce a voce in tempra
10.147 e in dolcezza ch'esser non pò nota
10.148 se non colà dove gioir s'insempra.


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Mesazh i vjetër 01 Tetor 2003 14:09
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Mesazhe: 2547

Tanto gentile e tanto onesta pare (Vita Nova, XXVIA) - Dante Alighieri

Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.
Ella si va, sententosi laudare,
benignamente d'umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi no la prova:
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: Sospira.

__________________
Lo scopo della nostra vita è di servire la Forza che ci ha creati,e dalla cui misericordia o approvazione dipende il nostro stesso respiro,servendo con lealtà le Sue creature.Questo significa amore,che dovrebbe sostituire l'odio che si vede ovunque.

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Mesazh i vjetër 24 Tetor 2003 17:01
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Mesazhe: 2547

Ne li occhi porta la mia donna Amore (Vita Nova, XXI) - Dante Alighieri

Ne li occhi porta la mia donna Amore,
per che si fa gentil ciò ch'ella mira;
ov'ella passa, ogn'om ver lei si gira,
e cui saluta fa tremar lo core,
sì che, bassando il viso, tutto smore,
e d'ogni suo difetto allor sospira:
fugge dinanzi a lei superbia ed ira.
Aiutatemi, donne, farle onore.
Ogne dolcezza, ogne pensero umile
nasce nel core a chi parlar la sente,
ond'è laudato chi prima la vide.
Quel ch'ella par quando un poco sorride,
non si pò dicer né tenere a mente,
sì è novo miracolo e gentile.

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Lo scopo della nostra vita è di servire la Forza che ci ha creati,e dalla cui misericordia o approvazione dipende il nostro stesso respiro,servendo con lealtà le Sue creature.Questo significa amore,che dovrebbe sostituire l'odio che si vede ovunque.

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Mesazh i vjetër 24 Tetor 2003 17:03
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