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Regjistruar: 18/12/2002
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D'Annunzio

D'Annunzio non interessa soltanto la storia della letteratura, ma anche quella della societą italiana, in quanto per alcuni decenni - dall'ultimo Ottocento sino almeno alla prima guerra mondiale - ha rappresentato un modello di comportamento, un ideale e uno stile di vita. Il dannunzianesimo intendendo con questo termine una vasta gamma di atteggiamenti mentali e pratici. dal vagheggiamento di una vita realizzata con pienezza e con scarse remore etiche al culto della Bellezza e alla contaminazione tra vita e arte, dall'esaltazione dell'avventura al mito superomistico e alle posizioni antidemocratiche dal compliacimento del "bel gesto" all'abuso della parola retoricamente agghindata - č stato un dato fondamentale della societą e dello spirito pubblico italiano.

D'Annunzio esercitava questa sua suggestiva influenza sia con la sua vita - brillante mondanitą, avventure amorose con "donne fatali ", duelli e scandali - sia con la sua produzione letteraria soprattutto romanzesca, nella quale trasferiva in una prosa di estrema ricercatezza gran parte delle sue esperienze biografiche e creava personaggi, miti umani, nei quali la sensibilitą e i gusti del decadentismo trovavano incarnazione ed esemplificazione: Andrea Sperelli protagonista del Piacere, nel quale ardore sensuale e tedio coesistevano e si accompagnavano ad una sofisticata sensibilitą; Claudio Cantelmo, protagonista. de Le Vergini delle rocce, nel quale l'elitario culto della Bellezza approdava ad un violento disprezzo per l'altrui "volgarltą" e alla teorizzazione dell'antidemocrazia.

Attorno agli anni Novanta infatti (Le Vergini delle rocce sono del 1896) D'Annunzio legge Nietzsche e innesta sul ceppo della cultura e della sensibilitą decadenti - di cui in Italia egli rappresenta la testimonianza pił vistosa - l'ideologia del superuomo, il vagheggiamento di un ideale umano proteso alI'affermazione di sé, al di fuori di ogni remora di ordine morale e sociale.
Questo mito umano che D'Annunzio elabora sia nei romanzi sia nelle opere teatrali si accompagna con l'elaborazione di un altro mito umano, ma al femminile, cioč con una galleria di "donne fatali", di "donne vampiro" che nella sua produzione si pongono come forza antagonista come ostacolo al maschio teso alla propria autoaffermazione. Si tratta di una sorta di superomismo al femminile, di una tipologia di donna che nelle sue varie incarnazioni - da Ippolita Sanzio del Trionfo della morte alla Fornarina del Fuoco, a Basiliola della Nave e, pur con un'angolazione e con esiti diversi, a Mila figlia di Jorio - deriva Ia sua "fatalitą" dall'oscura e
invincibile forza dell'eros, dall'«ossessione carnale» mediante la quale avvince e limita l'antagonista.

Ma D'Annunzio non fu solo un romanziere e un autore di testi teatrali; fu soprattutto (a parere di molti) un poeta. Mentre alcuni grandi poeti - un Petrarca, un Leopardi - hanno pochi temi di fondo che nella loro produzione vengono costantemente approfonditi, D'Annunzio ha una pressoché inesauribile varietą e disponibilitą tematica: puņ nelle sue prime raccolte di versi "Canto Novo, Intermezzo) cantare l'ardore sensuale e la bramosia di godimento di tutti gli aspetti della natura, e subito dopo (Poema paradisiaco) indulgere invece a toni di malinconico distacco, a vaghi. desideri di purificazione e rigenerazione; puņ farsi celebratore dell'avventura "ulissiaca" e degli, eroi (Maia) o, assumendo il ruolo di vate, dei destini della nazione (Merope), e puņ anche celebrare la natura nel variare delle stagioni e delle ore (Alcyone). E sempre, pur nella molteplice tematica, con una strenua ricerca di una forma raffinata e insolita, con un amore sensuale della parola.
Qualcuno ha visto in questa eccessiva disponibilitą e per cosģ dire facilitą tematica il limite specifico dell'arte dannunziana che non consisterebbe in altro che nella ricerca - indipendentemente dal tema trattato - di raffinate e squisite sensazioni; altri in tempi recenti hanno cercato di cogliere un filone, un ambito "autentico" in cosģ variegata produzione, e lo hanno individuato nel cosiddetto D'Annunzio "notturno", cioč nelle pagine di interiore ripiegamento, di malinconico distacco dai miti superomistici, di constatazione della sconfitta che si ritrovano soprattutto nel Notturno, ma che non sono assenti in altre sue opere dei primi anni del Novecento..

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Mesazh i vjetėr 09 Shtator 2003 07:55
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Regjistruar: 05/02/2003
Vendbanimi: Rio
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La pioggia nel pineto - Gabriele D'Annunzio

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole pił nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove sui mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
sui ginestri folti
di coccole aulenti,
piove sui nostri volti
silvani,
piove sulle nostre mani
ignude,
sui nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
l'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
pił rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nč il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
č molle di pioggia
come un foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
pił sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
pił roco
che di laggił sale,
dall'umida ombra remota.
pił sordo e pił fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancora trema, si spegne,
risorge, treme, si spegne.
Non s'ode voce del mare.
Or s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
pił folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
č muta; ma la figlia
del limo lontane,
la rana,
canta nell'ombra pił fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sģ che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita č in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto č come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i malleoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove sulle nostre mani
ignude,
sui nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione

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Lo scopo della nostra vita č di servire la Forza che ci ha creati,e dalla cui misericordia o approvazione dipende il nostro stesso respiro,servendo con lealtą le Sue creature.Questo significa amore,che dovrebbe sostituire l'odio che si vede ovunque.

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Mesazh i vjetėr 24 Tetor 2003 17:35
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Regjistruar: 05/02/2003
Vendbanimi: Rio
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Il Rinato - Gabriele D'Annunzio

Non videro la stella d'oriente
i magi, non andava innanzi a loro
ella per scorta su le nevi ardente;

non improvviso udiron elli il coro
dei Messaggeri in Betleem di Giuda
prostrandosi; non mirra, incenso ed oro

offersero alla creatura ignuda
sopra la paglia della mangiatoia
calda di fiati nella notte cruda;
né, curvi in calca sotto la tettoia
radiosa, i pastori di Giudea
intonarono cantico di gioia.

S'ebbe nativitą nella trincea cava il Figliuol dell'uomo; e solo quivi,
messo in fasce da piaghe, si giacea.

Fasciato di tristezza era tra i vivi
e i morti, solo; e il ferro e il sangue e il loto
erano innanzi a lui doni votivi.

E non piangea, ma intento era ed immoto.
Laude gli era il rimbombo senza fine
per il silenzio delle nevi ignoto;

cantico gli era il croscio delle mine
occulto; gli era arņmato il fetore
ventato su dalle carneficine.

E sanguinava in fasce; ed il rossore
Si dilatava come immenso raggio,
sicché tutti i ghiacciai parvero aurore,

tutte le nevi parvero il messaggio
dei dģ prossimi, l'ombra fu promessa
di luce, il buio fu di luce ostaggio.

Ed intendemmo la parola stessa
del suo profeta: "Un grido č stato udito
in Rama, un mugolio di leonessa,

un lamento, un rammarico infinito:
Rachele piange i suoi figliuoli che non sono pił.
Una cosa novella, ecco, č creata.

Il Signore ha creata una virtł
nella carne. Quel ch'apre la matrice
Ei farą santo. Ei semina quaggił

una semenza d'uomini". Ora dicembre una voce: "Io farņ rigermogliare
in carne i tuoi germogli, o genitrice.

Ritieni gli occhi tuoi di lacrimare,
ritieni la tua gioia del lamento;
perché come la rena del tuo mare

t'accrescerņ, come la rena al vento
ti spanderņ. Eccoti i tuoi figliuoli
moltiplicati dal combattimento.

Senza sudarii tu, senza lenzuoli,
li seppellisci ed io li dissotterro.
Rifioriranno ai tuoi novelli soli,

alla nova stagione ch'io disserro".
E quivi il Figliuol d'uomo era, il Rinato;
e quivi erano il loto e il sangue e il ferro.

E con fasce da piaghe era fasciato;
e sanguinava senza croce, come
per il colpo di lancia nel costato.

Ma "Colui ch'č il pił forte" era il suo nome.

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La sera fiesolana - Gabriele D'Annunzio

Fresche le mie parole ne la sera
ti sien come il fruscģo che fan le foglie
del gelso ne la man di chi le coglie
silenzioso e ancor s'attarda a l'opra lenta
su l'alta scala che s'annera
contro il fusto che s'inargenta
con le sue rame spoglie
mentre la Luna č prossima a le soglie
cerule e par che innanzi a sč distenda un velo
ove il nostro sogno giace
e par che la campagna gią si senta
da lei sommersa nel notturno gelo
e da lei beva la sperata pace
senza vederla.
Laudata sii pel tuo viso di perla,
o Sera, e pe'; tuoi grandi umidi occhi ove si tace
l'acqua del cielo!
Dolci le mie parole ne la sera
ti sien come la pioggia che bruiva
tepida e fuggitiva,
commiato lacrimoso de la primavera,
su i gelsi e su gli olmi e su le viti
e su i pinidai novelli rosei diti
che giocano con l'aura che si perde,
e su 'l grano che non č biondo ancora
e non č verde,
e su 'l fieno che gią patģ la falce
e trascolora,
e su gli olivi, su i fratelli olivi
che fan di santitą pallidi i clivi
e sorridenti.
Laudata sii per le tue vesti aulenti,
o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce
il fien che odora!
Io ti dirņ verso quali reami
d'amor ci chiami il fiume, le cui fonti
eterne a l'ombra de gli antichi rami
parlano nel mistero sacro dei monti;
e ti dirņ per qual segreto
le colline su i limpidi orizzonti
s'incurvino come labbra che un divieto
chiuda, e perchč la volontą di dire
le faccia belle
oltre ogni uman desire
e nel silenzio lor sempre novelle
consolatrici, sģ che pare
che ogni sera l'anima le possa amare
d'amor pił forte.
Laudata sii per la tua pura morte,
o Sera, e per l'attesa che in te fa palpitare
le prime stelle!

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